XV Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Dare corpo, nella quotidianità, alla pratica del dialogo

di Brunetto Salvarani

Questo testo è stato scritto come introduzione allo speciale ebook realizzato in occasione della XV edizione della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico che è anche possibile scaricare alla fine del testo in allegato.
  Quella conclusasi da poco è stata l’estate dell’islam, da tutti i punti di vista: dai ripetuti attentati jihadisti a ogni latitudine al vero e proprio martirio in una chiesetta della Normandia di un anziano prete francese, fino agli abbracci fra cattolici e musulmani durante molte messe, che lasciano intravvedere – a dispetto dei tanti distinguo - l’inizio di una storia nuova. Da parte mia (non solo un islamologo, ma mi occupo di teologia del dialogo e leggo i principali testi sull’argomento che escono da una trentina d’anni) non riesco a rassegnarmi, chiedo scusa, al pressapochismo dilagante. Il fatto è che, nonostante il fior di specialisti di diverse generazioni di cui disponiamo, a commentare gli eventi che coinvolgono il mondo islamico sui nostri media sono spesso convocati improbabili esperti più o meno improvvisati: i quali, ricorrendo con piglio sicuro a questo o quel versetto coranico, a un oscuro detto di Muhammad o a qualche precetto della Sharia, si lanciano di regola in letture di marca fondamentalista, che non ammettono repliche. Con gli esiti che balzano agli occhi, in cui l’inscalfibile ignoranza italica sulle religioni finisce per sposarsi alla convinzione di saperne anche troppo, di islam, e di non poterne più. I social, ahinoi, fanno il resto, con le profezie della Fallaci sovrapposte in genere al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona e contrapposte immancabilmente al trend buonista e lassista che costituirebbe la cifra del pensiero di papa Francesco al riguardo. Così, non ci accorgiamo che, più che indugiare su raffazzonate interpretazioni del Corano e della Sunna, faremmo meglio a interrogarci su come e perché si sia diffuso viralmente il fenomeno che ha dominato le cronache estive: vale a dire, l’islamizzazione del disagio (umano, sociale, o semplicemente psichico) su scala planetaria.
Un dialogo laicale
“Il dialogo percorre una traiettoria: inizia quando due uomini, incontrandosi, s’inchinano l’uno davanti all’altro e sono disposti a lavare i piedi l’uno all’altro”. Possiamo ammettere realisticamente che, nel complesso, siamo ancora distanti dal modello descritto qui dal priore di Bose Enzo Bianchi, ma anche dalla convinta valorizzazione del dialogo così tipica della stagione conciliare: che produsse entusiasmi forse un po’ ingenui ma anche spinte appassionate e sperimentazioni che lasciavano ben sperare per un futuro non lontano. La sensazione di chi ha operato nel campo dell’incontro interreligioso nei decenni successivi al Vaticano II è stata a lungo, piuttosto, quella di remare controcorrente rispetto al senso comune diffuso: che tende a leggere ideologicamente i conflitti in corso su scala mondiale, a considerarli inevitabili, figli di un naturale istinto di violenza che sarebbe caratteristico di alcuni sistemi religiosi (in primo luogo, naturalmente, dell’islam). Nonostante lo stesso papa Francesco, a più riprese, abbia vigorosamente respinto l’ipotesi che si sia di fronte a conflitti di matrice religiosa. In realtà l’idea di dialogo, a dispetto del trasparente fastidio che produce in vari ambienti e la deriva retorica cui è sottoposta, non è scomparsa, per vedersi realizzata in genere in un dialogo laicale nel metodo e nei soggetti coinvolti, di cittadini attivi più che di specialisti o di accademici, extra muros più che intra muros. Perché la com/presenza nello stesso territorio di differenze nazionali, linguistiche, religiose, comporta necessariamente trasformazioni notevoli tanto a livello delle forme religiose, quanto sul piano istituzionale, strutturale, politico e legislativo.
Piccoli semi di speranza
E’ per questo che i piccoli semi di speranza che esistono e resistono andrebbero valorizzati e fatti conoscere il più possibile, al fine di contrastare fattivamente una palpabile deriva pessimista che ritiene l’invito ad adottare il metodo del dialogo un atteggiamento irenista, debole, rinunciatario, o addirittura semplicemente impossibile. Mentre sarebbe ingeneroso se il pesante clima politico-culturale degli ultimi decenni e l'intransigenza eretta a sistema, generalizzata quanto pervasiva, ci spingessero a trascurare che tra donne e uomini diversamente credenti non si danno solo diffidenze o conflittualità irrisolte, ma anche esperienze di apertura e fiducia reciproca… Le buone pratiche in tal senso, fortunatamente, non mancano, anche qui da noi, non di rado operanti nel nascondimento. E se gli ambienti più avvertiti hanno colto da tempo come sia vitale passare finalmente dal dialogo delle buone maniere e dei salamelecchi al dialogo nella verità e nella franchezza, i loro esiti risultano purtroppo spesso poco notiziabili, per cui non varcano la soglia d'attenzione del grande pubblico. E’ urgente, in tale direzione, dare spazio al positivo che esiste, ma rimane affogato nell’informazione allarmistica e tutta urlata cui siamo ormai rassegnati: anche perché il dialogo fornisce ai credenti un'opportunità per decostruire assieme quell'universale tendenza umana all'esclusivismo, allo sciovinismo, alla violenza e all'odio che possono infettare - e nei fatti stanno pericolosamente infettando - il comportamento e le identità religiosi.
Una giornata senza alternative
“Sai, - mi disse una volta un’amica - questa vostra trovata della giornata dell’islam, con l’aria che tira, ha proprio il sapore di un miracolo all’italiana!”. Quella considerazione, buttata lì, non poteva che colpirmi. Quando, oltre quindici anni fa, ancora vivo negli occhi l’orrore per l’assalto terrorista di Al Qaeda alle Twin Towers l’11 settembre 2001, a un gruppetto di amici sparsi per l’Italia, tra cui il sottoscritto e il curatore di questo volume, che già allora operavano per il dialogo, venne in mente che era urgente fare qualcosa, prevedendo i contraccolpi che ne sarebbero giunti ai processi dialogici fra cristiani e musulmani, sarebbe stato difficile immaginare che quella semplice trovata avrebbe preso piede, su scala nazionale. Tanto più che le giornate a tema, dedicate nel corso dell’anno a questo o quell’argomento, rischiano di questi tempi di diventare un appuntamento scontato, a forte sapore di retorica (gli esempi in tal senso si sprecherebbero). Non è stato così, invece, per la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre, ancor oggi in buona salute, per molti motivi, dedicata nel 2016 a un tema caldo e strategico, Misericordia, diritti: presupposti per un dialogo costruttivo. Se questa Giornata ha saputo attraversare indenne questi anni bui, densi di islamofobia e di chiusure mentali, non è solo per l’impegno di quanti ne hanno colto la portata strategica, ma perché, in realtà, al dialogo non esiste alternativa. Il problema, piuttosto, riguarda la sua praticabilità, in un orizzonte di penose strumentalizzazioni politico-mediatiche e di scarso ascolto reciproco. La globalizzazione in atto, del resto, contrariamente a quanto ci si poteva ingenuamente aspettare, invece che a un indebolimento delle identità (reali o immaginarie), sta conducendo piuttosto a un loro irrigidimento, che non coglie le potenzialità positive pur presenti nell'inedito incontro di uomini e culture che si sta producendo, e tende invece ad enfatizzare diffidenze e timori. Ovvio, reciproci.
Una ricorrenza simbolica
Questo appuntamento, avviatosi in sordina ma pian piano radicatosi in tutto il Paese, s’ispira al fatto che il 14 dicembre 2001, ultimo venerdì del mese di Ramadan del 1422 dall’Egira, Giovanni Paolo II chiese a tutti, donne e uomini di buona volontà, nel cuore della guerra in Afghanistan, di condividere con i fratelli dell’islam il digiuno di Ramadan. Una pratica altrui, povera ma ricca d’implicazioni. Messaggio coraggioso e di alta portata, inviato ad appena un trimestre da quel tremendo 11 settembre che da tante parti fu letto, sbagliando, come l’avvio di un irrimediabile scontro fra civiltà. Da allora, quell’ultimo venerdì è divenuto, per tanti cristiani di diverse confessioni e per parecchi musulmani in Italia, la ricorrenza simbolica in cui ritrovarsi, guardarsi in faccia e rilanciare così l’urgenza di provare a camminare assieme. Nonostante tutto! Dal 2008, invece di svolgersi l’ultimo venerdì di Ramadan, la Giornata si è celebrata il 27 ottobre, a memoria del giorno che nel 1986 vide riunirsi ad Assisi i rappresentanti delle religioni mondiali a pregare per la pace, dono di Dio. Da allora, per ragioni pratiche (la ricorrenza era mobile come il calendario islamico, e presto si sarebbe giunti in piena estate), la data del 27 ottobre rimane fissa, permettendoci di segnare in anticipo la ricorrenza nelle nostre agende. Nel corso delle varie edizioni, con slogan ideati da un comitato promotore che ha un cuore virtuale nel sito www.ildialogo.org, animato dall’amico Giovanni Sarubbi che vi ha dedicato gran tempo ma ancor più passione, ma parecchie gambe locali (come i documenti qui raccolti testimoniano, almeno in parte), i momenti di incontro si sono via via moltiplicati. Con numerosi protagonisti che, semplicemente, hanno deciso di salire sul carro impervio del dialogo: da amministrazioni locali a comunità parrocchiali, da chiese evangeliche a movimenti ecclesiali, fino a tanti centri islamici e tanti, cosiddetti, cani sciolti. Indizio, questo, una volta di più, che la differenza può farla solo l’iniziativa dal basso, quando rompe gli schemi di quanti sono rinserrati nelle rispettive appartenenze e mette a contatto donne e uomini (religiosi o non) che si ritrovano assieme per proclamare che non ne possono più di odio, dei piccoli o grandi razzismi quotidiani cui ci stiamo purtroppo abituando, e di religioni strumentalizzate al servizio dei potenti di turno. Tanto più rilevante in una stagione in cui i fondamentalismi continuano a impazzare, con gli esiti che purtroppo ben conosciamo.
Guardando il futuro
La solenne sfida che la Giornata ci ha messo davanti è, una volta di più, quella di evitare una lettura delle differenze esistenti, logicamente anche profonde, come uno scontro tra il bene e il male, di rifiutare la demonizzazione dell’altro. Nella consapevolezza che il rischio di farsi prendere dalla sfiducia, dalla stanchezza, dalle delusioni, è molto alto! Si tratta quindi di dare corpo, nella quotidianità, alla pratica del dialogo: soprattutto al dialogo di vita, realisticamente, più che a quello teologico, ancora assai fragile. Educandoci, e educando le nostre comunità, a guardarsi dentro e a dialogare, attività che possiedono una valenza certo spirituale, ma non solo. In una società pluralista come quella italiana di oggi, che sta rischiando una deriva identitaria e/o apertamente razzista, un simile percorso ha infatti una valenza esplicitamente sociale, e serve a costruire convivenza, solidarietà civile e senso di appartenenza. Una posta non da poco, a ben vedere.
Brunetto Salvarani


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Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico 15 anni di impegno per la pace


a cura della Redazione del sito www.ildialogo.org
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Domenica 23 Ottobre,2016 Ore: 12:27