DIVORZIATI RISPOSATI: IL CARD. SCOLA BLOCCA IL DIBATTITO. MA IL CONSIGLIO PRESBITERALE NON LO SEGUE

da Adista Notizie n. 13 del 07/04/2012

36608. MILANO-ADISTA. Il trend è nazionale, ma Milano è l’avanguardia. Lo ribadiscono i numeri forniti appena qualche mese fa, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario: tra il 2009 e il 2010, nel capoluogo lombardo, le cause di separazione e divorzio sono aumentate di quasi il 10%, passando da 8.445 a 9.243. Un dato sottolineato anche dal confronto fra il secondo semestre del 2010 e il primo del 2011, dove si registra un ulteriore balzo in avanti. In particolare aumentano del 37% i divorzi consensuali, dove entrambe le parti arrivano a un accordo senza andare avanti anni in un (oneroso) contenzioso giudiziario su soldi e figli.

Un fenomeno che non può non destare la preoccupazione della Chiesa ambrosiana che infatti già da diversi anni discute sul tema dei divorziati risposati e su come “accogliere” queste persone, che per la dottrina ufficiale sono escluse dai sacramenti e che vivono una oggettiva esclusione dalla comunità ecclesiale.

Durante l’episcopato del card. Carlo Maria Martini la questione aveva prodotto anche una presa di posizione ufficiale della Chiesa ambrosiana, che all’epoca fece grande scalpore: il 25 maggio 2001, il Consiglio pastorale della diocesi aveva votato con 78 voti favorevoli, 2 contrari e 12 astensioni una mozione in cui era contenuto l’auspicio «che anche nella Chiesa cattolica d’Occidente fosse considerata e rivalutata, nell’ambito della comune tradizione cristiana, la prassi della Chiesa d’Oriente che prevede, dopo un adeguato periodo penitenziale, l’accesso all’Eucaristia».

Prima di Martini, nel 1993, erano stati tre vescovi tedeschi – Karl Lehmann (poi eletto presidente della Conferenza episcopale tedesca), Walter Kasper (in seguito presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani) e Oskar Saier – a pubblicare il documento pastorale Accompagnamento pastorale dei divorziati, nel quale indicavano casi e modalità per riammettere i divorziati risposati ai sacramenti (ma il primo a sollevare il tema, all’interno della gerarchia cattolica, era stato l’allora vescovo ausiliare di Vienna Helmut Krätzl, nel 1979). Dal Vaticano replicò l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, che negò che la soluzione escogitata dei vescovi tedeschi valesse per la Chiesa universale. Ma ne ammise la validità, a particolari condizioni, all’interno delle diocesi interessate.

Martini, all’epoca, assicurò che avrebbe sottoposto la questione a Roma. Ma in questi anni nulla è cambiato nella rigida dottrina della Chiesa cattolica in materia. Pochissime le voci che nella gerarchia hanno chiesto che il tema fosse messo all’ordine del giorno: tra questi, il vescovo di Innsbruck mons. Manfred Scheuer, che lo scorso anno, dialogando con i preti del movimento Pfarrer-initiative (v. Adista n. 55/11), affermò che sulla questione dei divorziati convolati a nuove nozze vi è davvero «bisogno di cambiamento».

In questo contesto, il Consiglio presbiterale della diocesi di Milano avrebbe quindi potuto legittimamente riprendere in mano il discorso. Ma i tempi sono evidentemente cambiati, e sotto la guida del nuovo arcivescovo, il ciellino card. Angelo Scola, la questione a Milano pare diventata tabù.

Questi i fatti di cui Adista è venuta a conoscenza: durante il Consiglio presbiterale della diocesi svoltosi il 30 gennaio scorso, sui cui contenuti nessuna nota o comunicato è stato diffuso, un docente di teologia morale del seminario di Venegono, Aristide Fumagalli, aveva proposto che si mettesse all’ordine del giorno la discussione sulla condizione dei divorziati risposati e sul divieto per costoro di accedere ai sacramenti, poiché il problema appare di urgenza sempre più stringente per chi ha un diretto contatto con le quotidiane attività pastorali delle parrocchie. Ma il card. Scola ha espresso una netta contrarietà anche alla sola possibilità che si aprisse un dibattito sul tema. Fumagalli ha allora ritirato la sua proposta, che è però stata ripresentata da mons. Giovanni Giavini, un anziano biblista molto noto in diocesi. A quel punto è stato quindi necessario votare. La proposta è stata bocciata con 13 no, 7 sì e ben 27 astensioni. Un risultato che stronca sul nascere la possibilità che in diocesi si affronti di petto un tema ritenuto troppo “scottante”. Ma che testimonia anche, con tutta evidenza, il ben ridotto consenso che il nuovo arcivescovo ha presso gli esponenti più rappresentativi del clero diocesano.

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ADISTA
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Mercoledì 04 Aprile,2012 Ore: 15:15