Teatro povero di Monticchiello
Valzer di mezzanotte come allegoria di una comunità disorientata

di Mauro Matteucci

Può il ritorno al rito collettivo di un pranzo o di una cena ricostituire l’unità di una società sempre più divisa, frammentata, impaurita? Andrea Cresti anche stavolta nel suo allestimento del Teatro povero di Monticchiello ha scelto di guardare in faccia la Medusa dell’evoluzione sociale della sua comunità, senza nulla nasconderci, anche se la realtà è a tratti disturbante, appunto quasi pietrificante come nel mito. Eppure all’inizio la presentazione delle autorità – che fanno pensare a certi politici – sembra volere per forza rassicurare, annunciando che la crisi è ormai passata, che il futuro sarà radioso. Ma subito emergono disuguaglianze, insicurezze, divisioni generazionali: chi ha perso il lavoro, chi spera nel colpo di fortuna del gratta e vinci, chi è condannato a un eterno precariato. Ci sono poi gli anziani, incerti tra nostalgici ricordi del passato e consumo del presente, i giovani che quasi non hanno posto in questo evento e ne sono protagonisti marginali, i bambini, anche loro estranei, completamente assorbiti con foga autistica dai loro tablets.
I fratelli, che rievocano il passato della comunità ricordando il fratello morto a Marcinelle, non ritrovano né gli ideali sociali di un tempo -le lotte contadine – né la sicurezza economica tanto sbandierata da politici e lobbisti. Come loro, gli altri non riescono più a parlare linguaggi condivisi e comprensibili, come se si trovassero in una moderna Babele. Infatti sono capaci di utilizzare solo un frasario impoverito e aggressivo, privo di capacità di argomentazione: sembra che un’intera società precipiti nell’abisso prodotto più dalla regressione etica e culturale – il cibo come unico fine quasi animalesco per l’uomo - che dall’impoverimento economico e sociale. Addirittura si arriva a rifiutare da parte di alcuni di essere serviti da camerieri africani! Siamo di fronte a quella mutazione antropologica e quel genocidio culturale delle classi popolari, che Pasolini denunciava e attribuiva al consumismo. Ritorna anche la spinta alla delega nei confronti di qualcuno provvidenziale che risolverà tutto, le Teste di rete, che però, dopo essere apparse per pochi attimi sullo sfondo della scena, scompaiono come fantasmi senza lasciare traccia.
Alla fine ci sono due momenti che appaiono aperti a un possibile avvenire dove la frammentazione sociale s’interrompe per costruire insieme un possibile futuro. La fotografia di gruppo con gli sposi: ma è la ricomposizione dell’unità tra generazioni per un progetto comune o ancora pura abitudine nel ripetere un altro rito esteriore senza vera partecipazione? L’altro momento è rappresentato dallo stringersi – però quasi con disperazione – tutti insieme in un mucchio indistinto, per la ricerca di una possibile solidarietà, che appare in questa fase storica tutta da ricostruire. Solidarietà, che vuol dire coniugare innanzi tutto umanità e giustizia sociale insieme, a partire dai bisogni delle persone in quanto esseri umani e non merce di scambio o protagonisti di riti futili e consolatori. Anche stavolta Andrea ci ha posto delle domande ineludibili che ci interrogano tutti sul complesso presente.
Mauro Matteucci – Pistoia



Martedì 21 Agosto,2018 Ore: 21:07