Abruzzo - Anniversario del terremoto
La ricostruzione che non c'è

di Paolo Naso, docente di Scienza Politica all'Università "La Sapienza" di Roma

Due anni fa L'Aquila tremava e il terremoto distruggeva il centro storico di una delle città italiane più ricche sotto il profilo storico, urbanistico ed artistico. Diversamente che in altre occasioni, la prima emergenza fu rapida ed efficiente ed in pochi giorni migliaia di persone furono accolte nelle tendopoli o negli alberghi della regione, soprattutto quelli sulla costa. L'obiettivo, però, era fare in fretta ad avviare la “fase due” per evitare che gli sfollati dovessero passare nelle tende anche l'inverno che in Abruzzo può essere molto rigido. Obbiettivo centrato a metà ma, gente pratica e resistente, gli abruzzesi non polemizzarono apertamente perché il loro obiettivo primario era l'avvio della ricostruzione vera e propria, la ricostruzione del loro centro storico e delle loro case.
Come si ricorderà, però, l'intervento del governo si mosse su assi ben diversi dalle aspettative della gente: si strutturò, infatti, nella semplice messa in sicurezza del centro storico e nella costruzione delle new town. Il sostegno alla ristrutturazione autonoma delle case danneggiate ma non distrutte costituì una variabile secondaria dell'intervento che intendeva affermare un “nuovo modello” di ricostruzione che nelle intenzioni del Governo avrebbe dovuto essere rapida ed efficace: le new town appunto, “satelliti” distanti dal centro storico e dai luoghi tradizionali frequentati dagli aquilani e, soprattutto, privi degli spazi e dei servizi sociali che trasformano una serie di caseggiati in un quartiere.
A due anni dal terremoto, le new town restano quello che erano nel giorno della loro celebrata inaugurazione: non luoghi, spazi senz'anima, un limbo in attesa di non si sa bene quale sviluppo.
Due anni dopo il terremoto, la ricostruzione è semplicemente ferma e, dopo l'enfasi sull'efficienza dei soccorsi e dell'intervento abitativo, L'Aquila è stata dimenticata sia dal Governo che dai media. E' facile prevedere che in occasione dei due anni dal sisma si riaccenderanno i riflettori ma è altrettanto prevedibile che si spegneranno il giorno dopo e gli aquilani rimarranno con i loro dubbi, le loro frustrazioni, la loro rabbia: i giovani universitari che non sanno se il loro ateneo tornerà mai ad essere un posto “normale”, chi ha avuto una casa ma ha scoperto quanto sia difficile vivere nelle new town, chi non ha avuto niente e si sente preso in giro dalla retorica sull'efficienza del “modello” di ricostruzione adottato.
La Federazione delle chiese evangeliche ha operato in alcune frazioni – specificatamente Camarda e Tempera – sin dalla prima fase dell'emergenza: e proprio in questa seconda frazione è attualmente impegnata a costruire un centro sociale che in larga misura sarà finanziato con i fondi dell'Otto per mille della Chiesa valdese. E' il contributo dovuto ai frazionisti di Tempera che hanno perso la loro piazza, il loro bar, i loro luoghi di socializzazione. Ma questo intervento vuole lanciare anche un messaggio culturale e politico: agli aquilani non basta un tetto sulla testa. Come tutti, hanno diritto anche a ricostruire spazi di socialità, di incontro e di aggregazione. Come hanno diritto a recuperare il centro storico della loro città, che non appartiene a loro soltanto ma - ricordiamocelo – anche a tutti noi (nev-notizie evangeliche 14/2011).


Giovedì 07 Aprile,2011 Ore: 16:28