Per Google Pechino val bene qualche diritto negato

Bruno Gambardella

Per fare affari si può sacrificare anche la tanto sbandierata difesa della libertà di parola e di informazione sul web. Devono aver pensato qualcosa del genere i dirigenti di Google, che dopo una lunga serie di schermaglie hanno accettato le condizioni poste dal governo cinese per concedere la licenza annuale necessaria per operare in quel Paese.

A fine gennaio il portavoce del  ministero degli Esteri di Pechino rispondeva a muso duro a Hillary Clinton e alla sua determinazione nel chiedere un’inchiesta internazionale su censura e pirateria informatica in Cina. Google aveva denunciato con forza le eccessive ingerenze (controlli sulle mail e individuazione dei soggetti ritenuti “pericolosi”) e aveva deciso di indirizzare automaticamente i propri utenti sul sito di Hong Kong, sfruttando così la sua autonomia amministrativa per aggirare la censura.

Dopo qualche mese l’eco di quelle aspre polemiche si è dissolta nel nulla. Qualche settimana fa il motore di ricerca americano ha teso per primo la mano rinunciando al rinvio degli internauti sull’ex colonia britannica. Il governo di Pechino ha apprezzato e rilasciato la tanta agognata licenza, consentendo così a Google di essere presente in un mercato con potenzialità straordinarie.

Alla fine della storia a uscirne senza perderci la faccia è stata proprio la dirigenza cinese.  L’amministrazione Obama si è trovata in grande imbarazzo e, c’è da giurarci, la prossima volta si guarderà bene dall’intervenire in modo netto su temi delicatissimi come quello della libertà di espressione e comunicazione.  Per Google tutto a posto: il rossore della vergogna per un umiliante compromesso avrà lasciato subito il posto all’eccitazione per i nuovi, grandi affari!

 



Mercoledì 14 Luglio,2010 Ore: 00:14