Bruno Gambardella

La Casa Bianca ha annunciato che il 16 febbraio Barack Obama incontrerà il Dalai Lama durante la sua visita a Washington. La notizia ha reso ancora più tesi i rapporti tra Cina e Stati Uniti, già resi difficili dalle discussioni dei giorni scorsi riguardo Google,  i cyber-attacchi e la vendita di armi a Taiwan.

Pechino, ovviamente, non ha accolto con gioia la notizia. Zhu Weiqun, responsabile del Partito comunista cinese per le Etnie e gli affari religiosi, ha sottolineato che se Obama incontrerà il Dalai Lama, andrà incontro alla ferma opposizione cinese e finirà per minacciare la fiducia e la collaborazione tra le due grandi potenze.
Già l’anno scorso, Obama aveva annunciato la sua volontà di incontrare il leader spirituale tibetano al presidente cinese Hu Jintao e questi gli aveva chiesto di annullare l’incontro per non offendere i sentimenti della popolazione cinese. Obama rispettò la volontà di Hu Jintao per evitare di compromettere la visita in Cina del mese successivo, ma promise al Dalai Lama di incontrarlo l’anno seguente.
Bill Burton, portavoce della Casa Bianca, fa sapere intanto che le relazioni tra i due Paesi sono abbastanza mature da poter permettere ai due leader di discutere con franchezza delle preoccupazioni comuni come il nucleare, l’economia mondiale e del surriscaldamento del pianeta. In risposta, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Ma Zhaoxu, fa sapere che Pechino è contraria a qualsiasi tipo di contatto tra Obama e il Dalai Lama e invita Washington ad accettare il consiglio onde evitare altri screzi tra le due comunità proprio perché gli attriti tra i due colossi rischiano di avere conseguenze che potrebbero andare ben oltre le loro relazioni bilaterali.
Non è la prima volta che la Cina minaccia ritorsioni economiche a discapito dei Paesi occidentali per impedire al leader spirituale del Tibet di avere contatti con i potenti del mondo. E anche questa volta Pechino ha preventivato, come conseguenza dell’incontro, una crisi diplomatica che potrebbe minare eventuali accordi in sede Onu sulle sanzioni all’Iran e alla Corea del Nord per i loro programmi nucleari, con tutte le conseguenze economiche del caso.
La pace e la stabilità mondiale ci stanno molto a cuore, ma non possiamo negare che siamo contenti del fatto che dagli Stati Uniti e dal suo presidente siano venute finalmente parole chiare accompagnate da conseguenti atti politici. Barak Obama ha acceso nel cuore di molti tanti, forse troppi entusiasmi; come abbiamo avuto modo di scrivere qualche mese fa, gli è stato riconosciuto un premio Nobel per la pace “sulla fiducia” ed è davvero ora che questa fiducia inizi a meritarla davvero. Il ruolo dei paesi occidentali e democratici, in primis gli Stati Uniti, è fondamentale per l’affermazione del diritto alla libertà di parola, di opinione, di religione in qualsiasi parte del mondo. Incontrare il Dalai Lama, il capo religioso tibetano che combatte con le armi della nonviolenza per affermare il diritto del suo popolo all’esistenza in un contesto politico autonomo (e non indipendente) dalla Cina è sempre una sfida al colosso asiatico. Sappiamo che presto i rappresentanti dei due Paesi più ricchi e potenti del mondo torneranno a incontrarsi e, dopo qualche momento di freddezza, parleranno di economia e non di Tibet (gli affari sono affari!), ma la presa di posizione di oggi di Obama ci fa sperare che non tutto è sacrificabile sull’altare dell’economia, delle finanze e del danaro.


Giovedì 04 Febbraio,2010 Ore: 02:06