La Ru486, Kabul e la Vergine di Norimberga

Bruno Gambardella

Qualche giorno fa, in un silenzio quasi assordante rotto solo dai soliti Il Manifesto, L’Unità, L’altro e da Radio Radicale, sono stati resi noti i dati sull’obiezione di coscienza dei medici nei confronti dell’interruzione volontaria di gravidanza.

In Italia meridionale (ai primi posti la Sicilia, poi la Basilicata) è più facile trovare il proverbiale ago nel pagliaio che un medico disposto ad assistere una donna che intende abortire. Nella Lombardia formigoniana, dove la gestione della sanità pubblica e privata è saldamente sotto il controllo di Comunione e Liberazione, le cose vanno molto peggio di qualche anno fa, ma il diritto di scelta della donna di non proseguire la gravidanza sembra essere ancora garantito.

I malpensanti hanno ricordato che proprio nel Sud Italia l’aborto clandestino costituiva la regola e che molti tra quei medici che di mattina per motivi religiosi rifiutavano l’intervento in ospedale, di pomeriggio, molto laicamente, lo praticavano nei loro studi o in cliniche private compiacenti in cambio di lauti onorari.

Con l’introduzione anche in Italia della Ru486 il dibattito sull’aborto si è riaperto più aspro e strumentale che mai. L’Agenzia per il farmaco ha dato il via libera alla commercializzazione di un prodotto, già ampiamente testato e utilizzato in tutta Europa, che interrompe la gravidanza senza la necessità di un intervento chirurgico. Immediatamente tuoni e fulmini dalla Città del Vaticano, piuttosto distratta quando il farmaco veniva introdotto in altri Paesi (ma si sa, l’Italia, terra di missione, è “cosa loro”). Vi sono stati il solito, arrogante invito all’obiezione di coscienza e la minaccia di scomunica, questa volta destinato non solo ai medici, ma anche agli infermieri e ai farmacisti (!!!), con il fronte politico clericale scattato immediatamente sugli attenti!

La cosa straordinaria è che gli storici avversari della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza ora indossano il mantello di difensori e di scrupolosi esegeti della 194. Oggi è chiaro quanto questa sia stata si una conquista di civiltà, ma anche una mediazione al ribasso rispetto alle richieste che venivano dal movimento delle donne. Vi sono dei varchi, abilmente sfruttati dai nemici dell’aborto farmacologico, i quali gridano all’incompatibilità di questo con la legge 194 e incitano i medici proprio all’obiezione di coscienza, vero vulnus nell’applicazione della legge. In sostanza, la Ru486 fa paura agli zelanti clericali perché i tempi di ospedalizzazione e il ruolo e numero del personale coinvolto risultano limitati e la donna rischia di diventare troppo libera, troppo autonoma nelle scelte che riguardano il suo corpo.

La sottosegretaria Roccella (che, genialmente, Beatrice Busi de L’altro ha definito “la vergine di Norimberga”), invece di tenere bene a mente la lezione impartita dalla Corte Costituzionale (che ha smontato pezzo per pezzo le linee guida della legge 40) ha già fatto sapere che saranno emanati divieti e regole molto stringenti. Tra le varie ipotesi: vincolare l’impiego della Ru486 ad un ricovero ospedaliero di almeno tre giorni; test socio-psicologico per stabilire i requisiti minimi di sicurezza ai fini dell’attuazione dell’intervento stesso; definizione di categorie a rischio (!!!) e individuazione di coloro che non possono accedere alla terapia. E qui la tragedia diventa farsa. Le donne che non conoscono bene l’italiano (leggi le migranti), invece di essere aiutate da mediatori culturali, sono da escludere, così come quelle che risiedono ad oltre un’ora dall’ospedale o che non possiedono un’auto; quelle che non dimostrano un’alta tolleranza al dolore (che fanno: le torturano per testare?); quelle “sole” o prive di assistenza (le ragazze-madri, ad esempio).

Complimenti davvero!Siamo all’etica sadomaso allo stato puro, con l’aggiunta del passaggio dal vecchio istituto del patriarcato maschile o maritale a quello dell’autorizzazione ministeriale. Gli italiani stanno accettando silenziosamente troppe controriforme nel campo dei diritti personali e civili, ma questa volta la capacità di reazione e di autodifesa delle donne non tenderà a dispiegarsi in difesa dell’autodeterminazione e contro gli attacchi politici e clericali alla legge 194. Anche i pochi laici italiani sembrano aver colto il rischio e ci si prepara ad uno scontro che segnerà i prossimi decenni.

Gentile Vergine di Norimberga, l’Italia non è l’Afghanistan, anche se quella piccola porzione di Roma collocata oltre Tevere prova a far somigliare sempre più Roma a Kabul.                           

 



Venerd́ 14 Agosto,2009 Ore: 18:56