Il Calderoli, il Bossi e i professori terroni

Bruno Gambardella

Ancora una volta la Lega Nord dimostra di essere l’unico movimento politico realmente attento alle esigenze dei territori. La  proposta  di istituire un test obbligatorio di lingua e cultura locale per gli insegnanti che chiedono di lavorare nelle varie regioni italiane viene incontro ad una sacrosanta rivendicazione dei tanti genitori della Valle Brembana, del contado di Saluzzo e della zona del Polesine. Questi, assieme a migliaia di altre famiglie padane, pretendono giustamente che ad educare i loro teneri virgulti siano professori ariani, pardon, padani, esperti conoscitori di usi, costumi, linguaggi del posto. Siamo sinceri: come può un docente di Trapani pretendere di essere un buon educatore per un bambino altoatesino? Costui sarà anche un genio della matematica, conoscerà a fondo chimica, fisica o economia aziendale, ma come potrà trasmetterla se non ha mai mangiato lo strudel, non ama le mele della Val di Non e non è capace di intonare uno jodel? Vada a spiegare la teoria della relatività sui pescherecci di Mazara del Vallo…

Un professore napoletano, intossicato sin dalla nascita da sole, mare, pizza, ragù, sfogliatelle e babà, cultore di Pino Daniele, Teresa De Sio e della canzone classica partenopea come potrà mai interagire, dialogare con ragazzi che mangiano polenta con gli uccelletti, vivono nella nebbia e come classici della musica conoscono solo le canzoni della mala milanese interpretate da Ornella Vanoni e i pezzi storici di Memo Remigi (giusto perché i nonni ogni tanto ne parlavano)? Un insegnante centromeridionale correggerebbe con matita blu espressioni e modi di dire tipiche del nord. Perché pretendere che un giovane studente non scriva “la Silvia”, “il Gianmaria”, “il Bossi”, “la Brambilla” quando, da sempre, in Padania si è detto e scritto così? Potrei continuare a lungo e persino i più convinti sostenitori del multiculturalismo alla fine sarebbero costretti ad ammettere che il Calderoli e la Lega hanno ragioni da vendere.

Poco importa che un bergamasco non accetterebbe mai di studiare il dialetto milanese o un veronese quello veneziano: sono dettagli ininfluenti! Ciò che conta è che questi professori terroni, quelli che hanno approfittato per anni del fatto che pochi giovani padani rinunciavano ad un lavoro subito per iscriversi all’università, possono considerare concluso il tempo delle vacche grasse. Il fatto che le scuole siano infestate da bulli, che ogni anno aumenta il numero degli alunni per classe, che molte strutture siano prive di laboratori e fatiscenti sono leggende metropolitane messe in giro ad arte dai catastrofisti di turno… La scuola italiana cambia volto: i professori padani sapranno interpretare il loro ruolo. Che il dio Eridiano li aiuti!

 



Giovedì 30 Luglio,2009 Ore: 00:25