La benedizione del cambiamento.

La riflessione delle suore Usa sulle sfide della vita religiosa


da Adista Documenti n. 33 del 22/09/2012

DOC-2470. SAINT LOUIS-ADISTA. «Credo che sarebbe un errore dare troppa importanza alla valutazione dottrinale. Non possiamo permettere che consumi una quantità eccessiva del nostro tempo e della nostra energia o che ci distragga dalla nostra missione. Non è la prima volta che una forma di vita religiosa si scontra con la Chiesa istituzionale. E non sarà l’ultima». Così si è espressa suor Pat Farrell, la presidente uscente della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), l’organismo che raccoglie l’80% delle superiore delle congregazioni religiose statunitensi, nel corso dell’assemblea annuale svoltasi a Saint Louis dal 7 al 10 agosto scorso (v. Adista Notizie n. 30/12). Un’assemblea dominata da un clima di preoccupazione, a causa della recente diffusione di una “valutazione dottrinale” sull’organizzazione da parte del Vaticano, che accusa le superiore di posizioni radicalmente femministe e che affida a un vescovo, mons. Peter Sartain di Seattle, il compito di rivedere statuti e programmi dell’Lcwr.

«C’è una tensione inerente ed esistenziale tra le funzioni complementari della gerarchia e della vita religiosa che è improbabile che cambi», ha detto la religiosa. «In un mondo ecclesiale ideale, i diversi ruoli si mantengono in tensione creativa, nel rispetto e nell’apprezzamento reciproci, all’interno di un dialogo aperto, per l’edificazione di tutta la Chiesa. La valutazione dottrinale indica che attualmente non stiamo vivendo in un mondo ecclesiale ideale».

Nel corso dell’assemblea è stato conferito il premio per la migliore leadership religiosa a suor Sandra Schneiders, docente presso la Jesuit School of Theology dell’Università di Santa Clara, a Berkeley, in California. Nel discorso di accettazione del premio, suor Schneiders ha riflettuto, traendo spunto dal pesante intervento del Vaticano sulle attività dell’organizzazione, sul tipo di leadership ecclesiale oggi necessaria, che deve essere evangelica, non coercitiva, sul modello di quella esercitata da Gesù.

Di seguito, il testo della relazione pronunciata da suor Farrell e dell’intervento di ringraziamento di suor Schneiders, tratti dal sito della Lcwr (lcwr.org). (ludovica eugenio)

NAVIGARE TRA I CAMBIAMENTI

di Pat Farrell

Il discorso che sto per pronunciare non è quello che avevo in mente. Pensando all’incantevole carattere contemplativo assunto dalla nostra assemblea della scorsa estate, avevo pensato semplicemente di articolare, partendo dalle riflessioni della nostra vita religiosa contemporanea, alcune delle cose nuove che ci è sembrato che Dio stesse facendo. E davvero abbiamo potuto cogliere cose nuove. Tuttavia, la valutazione dottrinale non è quella che io avevo immaginato!

È chiaro che vi è stato un cambiamento! Il grande cambiamento avvenuto nella Chiesa e nel mondo ha fatto irruzione nella LCWR. Viviamo in un tempo di crisi e questo suscita grandi speranze. Come ha indicato Barbara Marx Hubbard, la crisi precede la trasformazione. È come se una trasformazione ecclesiale e anche cosmica stesse cercando di sbocciare e di farsi strada. E a noi, attraverso la valutazione dottrinale, è stata data la possibilità di dare a questa trasformazione una spinta. Non stavamo cercando il conflitto. Tuttavia, non credo sia casuale che questo ci abbia investito. Ci sono troppe coincidenze negli eventi che lo hanno preparato. La visita apostolica ha rafforzato la solidarietà tra di noi. La nostra riflessione contemplativa di gruppo ha portato a maturazione la nostra profondità spirituale. Si avvicina il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II. Che cosa significativa, per noi che lo abbiamo preso tanto sul serio e che da esso siamo state formate! E questo ci porta a riconoscere con dolorosa chiarezza che ora viviamo in un momento assai diverso. È per questo che ultimamente la mia preghiera assume spesso la forma di una lamentazione. Sì, qualcosa è cambiato! E ora ci troviamo qui, nell’occhio di un ciclone ecclesiale, con un riflettore puntato su di noi e un microfono di fronte alle nostre bocche. In tutto ciò, qual è l’invito? Qual è l’opportunità? Che responsabilità abbiamo? Quello che ci ricorda la nostra dichiarazione sulla missione della LCWR è che il nostro tempo è sacro, la nostra leadership è un dono e le nostre sfide sono benedizioni.

Credo che sarebbe un errore dare troppa importanza alla valutazione dottrinale. Non possiamo permettere che consumi una quantità eccessiva del nostro tempo e della nostra energia o che ci distragga dalla nostra missione. Non è la prima volta che una forma di vita religiosa si scontra con la Chiesa istituzionale. E non sarà l’ultima. (…). C’è una tensione inerente ed esistenziale tra le funzioni complementari della gerarchia e della vita religiosa che è improbabile che cambi. In un mondo ecclesiale ideale, i diversi ruoli si mantengono in tensione creativa, nel rispetto e nell’apprezzamento reciproci, all’interno di un dialogo aperto, per l’edificazione di tutta la Chiesa. La valutazione dottrinale indica che attualmente non stiamo vivendo in un mondo ecclesiale ideale.

Penso che sarebbe sbagliato anche dare troppa poca importanza alla valutazione dottrinale. L’impatto storico di questo momento è evidente. Ciò si riflette nell’attenzione con cui tutte noi della LCWR abbiamo risposto o ci siamo astenute dal rispondere, in uno sforzo di parlare con una sola voce. E nella preoccupazione espressa da preti e vescovi in conversazioni private. Come pure nell’immensa ondata di solidarietà da parte dei nostri fratelli religiosi e delle persone laiche. È chiaro che tutti e tutte loro condividono la nostra preoccupazione riguardo all’intolleranza attuale verso la dissidenza (…) e ai continui sforzi per limitare il ruolo della donna. Leggo solo un passaggio di una delle tante lettere che ho ricevuto: «Mi rivolgo a lei in questo momento decisivo della nostra storia spirituale planetaria. Credo che tutti i fedeli cattolici debbano unirsi ai vostri sforzi e che questa crisi rappresenti il catalizzatore del XXI secolo per promuovere un dibattito aperto e permettere che una ventata di aria fresca passi per le finestre di questa terra». Sì, in gioco c’è molto. E, in mezzo a tutto, possiamo solo andare avanti con autenticità e integrità. Spero che si possa farlo in un modo che contribuisca al benessere di tutta la vita religiosa e alla guarigione di questa Chiesa fratturata che tanto amiamo. Non è una cosa semplice. Camminiamo su una linea sottile. Grazie a Dio, camminiamo insieme.

Nel quadro della presentazione di Barbara Marx Hubbard, è facile considerare questo momento della LCWR come un microcosmo di un mondo in movimento, annidato nel complesso e immenso cambiamento attuale di paradigma. I nuovi germogli che sorgono come conseguenza della rottura cosmica che stiamo sperimentando ci offrono un contesto più ampio. Molte istituzioni, tradizioni e strutture sembrano appassire. Perché? Io credo che i fondamenti filosofici su cui abbiamo organizzato la realtà non siano più validi. La famiglia umana non può giovarsi dell’individualismo, del patriarcato, di una mentalità meschina o della competizione. Il mondo sta superando le costruzioni dualiste superiore/inferiore, vincere/perdere, buono/cattivo, dominazione/sottomissione. Al loro posto si stanno affermando l’uguaglianza, la comunione, la collaborazione, l’integrità, l’abbondanza, la pienezza, la reciprocità, la conoscenza intuitiva, l’amore. Tale cambiamento, per quanto doloroso, è una buona notizia! È l’araldo di un futuro di speranza per la nostra Chiesa e per il nostro mondo. Come parte naturale del progresso evolutivo, non si nega o sottovaluta in alcun modo ciò che vi era prima. Neppure c’è motivo di temere i cataclismi circostanti. Bisogna solo riconoscere questo movimento, entrare nella corrente e lasciarsene trasportare. Di fatto, tutta la creazione geme nel dare alla luce. Lo Spirito di Dio volteggia ancora sul caos. (…).

Vorrei suggerire alcuni modi che ci permettano di navigare attraverso i grandi e piccoli cambiamenti che stiamo sperimentando. Dio ci sta chiamando dal futuro. Credo ci stia arruolando per una fresca irruzione del Regno di Dio. Cosa ci può preparare? Forse le risposte sono all’interno del nostro stesso Dna spirituale. Gli strumenti che abbiamo usato in secoli di vita religiosa continuano ad essere, credo, una bussola che può ancora guidarci. Consideriamone alcuni, uno per uno.

PER MEZZO DELLA CONTEMPLAZIONE

In che altro modo potremmo avanzare se non a partire da uno spazio di orazione profonda? La nostra vocazione, le nostre vite, cominciano e finiscono nel desiderio di Dio. (…). Il cammino della contemplazione che abbiamo percorso insieme è il modo più sicuro che abbiamo per entrare nell’oscurità attraverso cui ci conduce Dio. In situazioni di stallo, solo un tempo sufficientemente lungo di preghiera permette a ciò che vuole emergere di manifestarsi. E oggi ci troviamo in tale situazione. (…). Stiamo aspettando che Dio coltivi in noi una conoscenza più profonda. (…).

Ecco un’immagine per la contemplazione: la prateria. Le radici dell’erba della prateria sono straordinariamente profonde. (…). Le radici profonde ossigenano la terra e si decompongono trasformandosi in una terra ricca e produttiva. Curiosamente, una prateria sana deve essere bruciata regolarmente. C’è bisogno del calore del fuoco perché le sostanze nutritive delle radici profonde siano portate in superficie. (…). Forse anche in noi esistono parti più profonde del nostro essere che vengono attivate soltanto quando gli strati più superficiali sono eliminati. Veniamo potate e purificate nella notte oscura. Tanto nella contemplazione quanto nel conflitto siamo concimate per la fertilità. Come il fuoco della prateria spinge l’energia delle radici verso l’alto e verso l’esterno, la contemplazione genera in noi azioni fruttifere. Per questo la contemplazione è seme di vita profetica. Attraverso di essa, Dio ci modella e ci rafforza per ciò di cui c’è bisogno oggi.

CON UNA VOCE PROFETICA

La vocazione della vita religiosa è profetica e carismatica per natura, offrendo uno stile di vita alternativo alla cultura dominante. Il Vaticano II, il cui invito abbiamo tanto coscienziosamente preso sul serio, ci ha spinto a rispondere ai segni dei nostri tempi. Per 50 anni le religiose negli Stati Uniti hanno cercato di di essere una voce profetica. Tuttavia, non abbiamo la garanzia di esserlo semplicemente in virtù della nostra vocazione. La profezia è tanto un dono di Dio quanto il risultato di un rigoroso ascetismo. Il nostro radicamento in Dio deve essere abbastanza profondo e la nostra lettura della realtà abbastanza chiara perché si riesca a diventare una voce di coscienza. In generale, è facile riconoscere la voce profetica quando è autentica. Possiede la freschezza e la libertà del Vangelo: aperta e rivolta ai poveri. La voce profetica sfida (…) le strutture che escludono gli uni e favoriscono gli altri. La voce profetica ci spinge a scegliere il cambiamento e l’azione.

Considerando i cambiamenti piccoli e grandi del nostro tempo, quale dovrebbe essere una risposta profetica alla valutazione dottrinale? Credo che dovrebbe essere umile, ma non sottomessa; radicata in un solido senso della nostra identità, ma non farisaica; verace, ma gentile e senza timore. (…). Questa valutazione dottrinale è un’espressione di preoccupazione o uno strumento di controllo? La preoccupazione si fonda sull’amore e invita all’unità. Il controllo attraverso la paura e l’intimidazione sarebbe un abuso di potere. (…). Sant’Agostino ha evidenziato quello di cui c’è bisogno per un confronto rispettoso con queste parole: «Che si deponga ogni arroganza da entrambe le parti. Nessuno di noi dica di aver già trovato la verità: cerchiamola, come se sia ignota ad entrambi. La si può dunque cercare in modo diligente e concorde, purché non si creda con una temeraria presunzione di averla già trovata e conosciuta».

Allo stesso modo, come dovrebbe essere una risposta profetica ai grandi cambiamenti paradigmatici del nostro tempo? Spero che includa tanto l’apertura quanto il pensiero critico e che l’una e l’altro siano motivo di speranza. Possiamo rivendicare il futuro che vogliamo e agire ora a partire da lì. E questo ci obbliga a scegliere dove rivolgere la nostra attenzione. (…). Nulla di quello che facciamo è insignificante. Anche una piccola scelta consapevole può contribuire alla trasformazione del tutto. Potrebbe essere, per esempio, la decisione di investire la propria energia in ciò che ci appare più autentico e spostarla da quello che non lo è. È questo che Joanna Macy definisce come speranza attiva, che è creativa e profetica. In questo difficile tempo di transizione, il futuro ha bisogno della nostra immaginazione e del nostro ottimismo. Nelle parole del poeta francese Rostand: «È di notte che è bello credere alla luce; occorre forzare l'aurora a nascere credendo in essa».

ATTRAVERSO LA SOLIDARIETÀ VERSO GLI EMARGINATI

Non possiamo vivere profeticamente senza una vicinanza a coloro che sono vulnerabili ed emarginati. In primo luogo, è questa la nostra appartenenza. La nostra missione è dare amore, soprattutto a quanti si trovano in estrema necessità. È la nostra identità di donne religiose. Ma il punto di vista degli emarginati è anche un luogo privilegiato di incontro con Dio, la cui preferenza va sempre agli esclusi. Da chi vive ai margini si trae una profonda saggezza. Gli esseri umani più vulnerabili ci pongono più in contatto con la verità dei nostri limiti e della nostra confusa condizione umana, segnata com’è dalla fragilità, dalla nostra mancanza di totalità e da una lotta inevitabile. (…). Dobbiamo vedere ciò che essi vedono per essere voci profetiche per il mondo e per la Chiesa, anche quando lottiamo per bilanciare la nostra vita in periferia con la fedeltà al centro.

Da un punto di vista collettivo le religiose presentano immense e varie esperienze di ministeri ai margini. Non è stato il privilegio delle nostre vite quello di schierarci con i popoli oppressi? Non ci hanno forse insegnato quanto essi hanno appreso per sopravvivere: integrità, creatività, solidarietà, energia nella resistenza e gioia? (…).

ATTRAVERSO LA COMUNITÀ

Noi religiose abbiamo navigato attraverso molti cambiamenti negli ultimi anni perché lo abbiamo fatto insieme. Abbiamo trovato grande forza l’una nell’altra. Nei 50 anni trascorsi dal Concilio Vaticano II il nostro stile di vita in comunità è cambiato drammaticamente. Non è stato facile, e il cambiamento continua nella particolare sfida di creare comunità all’interno di una cultura individualista come quella degli Stati Uniti. Ciononostante, abbiamo appreso lezioni impagabili. Noi che occupiamo posizioni di leadership siamo costantemente sfidate ad onorare un ampio spettro di opinioni. Abbiamo imparato molto su come creare comunità nella diversità e celebrare le differenze. Siamo giunte a confidare nelle opinioni divergenti come via unica verso una maggiore chiarezza. Ci spinge a questo il nostro impegno con la comunità: è insieme che perseguiamo il bene comune.

Nelle nostre congregazioni siamo efficacemente passate da uno stile di vita gerarchicamente strutturato a un modello più orizzontale. Ed è sorprendente, tenendo conto della rigidità in cui ci siamo formate. Le strutture di partecipazione e i modelli di leadership a partire dalla collaborazione che abbiamo sviluppato ci hanno rafforzato e vivificato. Tali modelli possono costituire il nostro dono alla Chiesa e al mondo.

Da un’esperienza rinnovata di comunità la nostra comprensione dell’obbedienza è anch’essa cambiata. Ciò è di particolare importanza per noi nel discernere una risposta alla valutazione dottrinale. Come siamo giunte a comprendere cosa significa un’obbedienza libera e responsabile? (…). La domenicana Judy Schaefer ha articolato molto bene i fondamenti teologici di quello che lei chiama «obbedienza in comunità» o «discepolato attento». Tali fondamenti riflettono l’esperienza che abbiamo vissuto a partire dal Vaticano II di discernimento comunitario e di assunzione di decisioni come un modo di vivere fedelmente l’obbedienza. «Solo quando tutti/e partecipano attivamente in un ascolto attento – dice – la comunità può star sicura del fatto che si è mantenuta aperta e obbediente alla pienezza della chiamata di Dio e alla grazia in ogni momento particolare della storia». Per caso non è questo che stiamo facendo in questa assemblea? (…).

CON LA NONVIOLENZA

La realizzazione di un cambiamento di paradigma rappresenta un processo violento. E, al tempo stesso, ci invita, facendo leva sulla nostra forza interiore, a dare una risposta nonviolenta. È Gesù il nostro modello. (…). Egli è stato violentemente rifiutato come minaccia all’ordine costituito. Tuttavia, non ha considerato nessuno come nemico, amando, piuttosto, quanti lo perseguitavano. (…). Cosa significa, allora, per noi la nonviolenza? Certamente, non è la passività della vittima. Presuppone una resistenza anziché la complicità con un potere abusivo. Tuttavia significa, questo sì, accettare la sofferenza invece che infliggerla. (…). La nonviolenza è creativa. Si rifiuta di accettare ultimatum e definizioni definitive che non permettano tentativi creativi di riformulazione. Se necessario, confido nel fatto che sapremo resistere a comportamenti nocivi, senza rappresaglie. Possiamo assorbire un certo grado di negatività senza drammi e spacconate, scegliendo di non attaccare a nostra volta. (…). Vi offro qui l’immagine di un parafulmine. (…). Il parafulmine non trattiene l’energia distruttiva, ma fa sì che fluisca nella terra in modo che venga trasformata.

VIVENDO IN UNA GIOIOSA SPERANZA

(…) Guardiamo al futuro con speranza, malgrado la realtà indichi il contrario. La speranza ci fa essere attente ai segni dell’irruzione del Regno di Dio. Gesù descrive l’avvento del Regno con la parabola del chicco di senape. Pensiamo a cosa sappiamo della senape. Per quanto possa venir coltivata, la senape è una pianta infestante, essenzialmente un’erbaccia. (…). Alcuni esegeti dicono che quando Gesù parla del piccolo chicco di senape che cresce fino a diventare un albero grande su cui gli uccelli del cielo vengono a costruire il loro nido stava probabilmente scherzando. È comica l’immagine degli uccelli che costruiscono il nido su una piccola e fragile pianta di senape. È probabile che quello che Gesù voleva dire realmente fosse qualcosa del tipo: “Non immaginatevi che seguendo me diventerete come un albero maestoso. Non aspettatevi di essere come cedri del Libano o come qualsiasi altra cosa assomigli a un impero grande e rispettabile. Tuttavia, anche la piccola e fragile piantina di senape può sostenere la vita”. (…). Specie ricca di sapore, la senape possiede anche meravigliose proprietà curative. Sta qui il suo più grande valore. Ciononostante ricordiamo che in generale la senape è un’erba infestante. Cresce ovunque, senza chiedere permesso. Ed è incontenibile: può arrivare ad invadere interi campi coltivati. Si può dire persino che questa piccola e molesta erbetta era illegale ai tempi di Gesù. C’erano leggi che prescrivevano dove piantarla per tenerla sotto controllo.

Ora, che ci dice il fatto che Gesù abbia utilizzato questa immagine per descrivere il Regno? Pensateci. Possiamo, di fatto, vivere in una speranza gioiosa, perché non vi sono erbicidi politici né ecclesiastici che possano stroncare il movimento dello Spirito di Dio. La nostra speranza è nel potere incontenibile e assoluto di Dio. Noi che impegniamo le nostre vite in una sequela radicale di Gesù possiamo aspettarci di essere considerate come un’erbaccia da sradicare. Ma se le piante infestanti del Regno di Dio sono sradicate in un luogo, sorgeranno di sicuro in un altro. Mi sovvengono a questo proposito le parole dell’arcivescovo Oscar Romero: «Se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno».

Viviamo quindi nella speranza gioiosa, disposte ad essere, una e tutte, un’erbaccia. Manteniamoci salde nel potere della morte e della resurrezione di Gesù. Conserverò per sempre nel mio cuore un’espressione dei giorni della dittatura in Cile: «Possono strappare alcuni fiori, ma non possono arrestare la primavera».

Articolo tratto da
ADISTA
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Giovedì 20 Settembre,2012 Ore: 17:09