M.me Rocher ha fatto il presepe
di Eleonora Bellini
- Sì, Ambrogio - risponde lei e si avvicina a guardare bene l’opera sua. Nel presepe c’è la capanna, un po’ strana e molto simile a un sottoscala o a un sottopassaggio ferroviario, con la sacra famiglia molto intabarrata, seduta per terra su coperte e al posto dell’asino e del bue ci sono un braciere e un carrello del supermercato pieno di masserizie varie (tutto in miniatura, ovviamente). E poi c’è la folla festante che va a trovare Gesù bambino. Si distinguono benissimo, anche perché in qualche caso sono contraddistinti da cartelli: gli operai FIAT di Termini Imerese, i ricercatori precari dell’ISPRA, un po’ di supplenti di scuole diverse che stringono ancora i compiti da correggere sotto il braccio, una decina di bambinetti dell’asilo Taci, se no ti meno accompagnati dalla sorella maggiore di uno di loro, i vecchietti della casa di riposo Fa la nanna vecchia nonna affacciati ai finestrini di uno sgangherato pulmino, la maestra di sostegno – quella che abita al sesto piano del condominio storto di Dormelletto – e che porta i suoi ragazzi a passeggio sul lungolago anche fuori dall’orario di lavoro (tanto glielo hanno ridotto) per toglierli alla tv ed alla play. Da un lato, sopra un rilievo ci sono due tende azzurre decorate con fili d’oro e palline dell’albero di Natale; i fili reggono un cartello con scritto L’Aquila, quelli ancora in tenda. E lì vicino, un piccolo cimitero: su una croce è posto un minuscolo cartiglio con scritto 1006 morti sul lavoro nel 2009 (finora, 24/12).
Ambrogio addita proprio quest’ultimo e chiede: “Ma le sembra il caso, madame?”
“Certo, Ambrogio caro, nascita e morte vanno assieme. Chi mai nacque non potrà nemmeno morire. Allegria! Questo già gli antichi lo sapevano”. Ambrogio fa il gesto di andarsene, si rintanerà in cucina e aprirà il panettone, che il pomeriggio della vigilia si può. Ma Madame lo richiama: “Non hai guardato bene, là in fondo c’è la parte più bella”.
Ambrogio si avvicina di nuovo e guarda bene: là in fondo, già quasi contro il muro, c’è il castello di Erode, posto su una collinetta di ciocchi di legna da bruciare. Ma è stato un poco modificato: le finestre sono sbarrate e nere, un grosso cane ringhia davanti al portone, tutto intorno corre una cancellata e sul cancello d’ingresso si legge: ERODE-PADANIA PADRONI A CASA NOSTRA E ANCHE A QUELLA DEGLI ALTRI, ai lati del cancello c’è un’edicola e dentro un affresco, ma non è quello della madonnina né di san Carlo né di sant’Antonio. Rappresenta invece un personaggio nerboruto, con manganello e giubbotto da difesa, moschetto sulla spalla; il personaggio guarda verso il mare, un mare color del vino come quello di Sciascia e di Omero e nel mare si dibattono naufraghi che nessuno soccorre, si vedono canotti capovolti. Il personaggio ha sul volto un leggero sorriso mentre in alto su di lui aleggia un cartiglio verdolino con scritto in rozzi caratteri “Coccaglio docet”.
- Ma quanto ci ha messo, madame, per mettere insieme tutta questa roba? – chiede ad alta voce Ambrogio girandosi di scatto – E per quindici giorni, poi? Non le pare tempo sprecato? E poi quella scritta lì su Coccaglio non avrebbe dovuto essere in padano celtico? -
- Non strillare, Ambrogio, che domani è Natale. Sediamoci qui, piuttosto. E pensiamo. Ho la sensazione di avere dimenticato qualcosa -.
I due siedono, guardano il presepe di Madame, pensano e cala il sipario. Luned́ 28 Dicembre,2009 Ore: 17:11 |