Vivere nella legalità...

di Giuseppe P. Fazio

Spesso si sente parlare, ed in modo particolare negli ultimi tempi, di legalità come espressione del vivere civile, di modello da raggiungere per una più armoniosa convivenza tra gli esseri umani nella società ma, in fondo… cos’è la legalità? Legalità è soprattutto, nell’accezione comune, la capacità degli individui di uniformarsi alle norme stabilite dalla società di appartenenza in un continuo distruggersi e ricomporsi di quell’equilibrio che rende un popolazione un organismo unico. Legalità è quindi conformazione? Per taluni versi è così e soprattutto nella misura in cui sono le regole a stabilire ciò che è lecito e ciò che non è lecito fare.

Esiste però anche il rovescio della medaglia e ci si accorge di ciò quando magari ci si rende conto di come un qualcosa che nella nostra società, o viceversa, è considerato negativamente o addirittura punibile in basa elle leggi vigenti, in altre società è il modo consueto ed apprezzabile di agire. Ma allora cos’è e cosa non è legale? A mio personalissimo avviso bisogna distinguere in modo netto e preciso, onde evitare di cadere in errore e per provare a dare risposta, due diverse concezioni di quello che è l’esistere. Bisogna considerare un individuo come immerso primariamente in un mondo precostituito e solo successivamente come immerso in una qualsivoglia società fatta di regole scritte e non scritte che in una cerata misura veicolano l’agire. Un individuo calato nella realtà sociale per coesistere in modo funzionale deve necessariamente conformarsi a delle regole poiché il verificarsi del contrario determinerebbe, se tutti facessero allo stesso modo, la disintegrazione della società stessa e la sua impossibilità di essere una unità. Ma una persona immersa nel mondo, contrariamente a quanto detto finora non può, ed in taluni casi non deve, sforzarsi di vivere nella legalità ma sforzarsi, più di ogni altra cosa, di convivere nella moralità.

Ovviamente bisogna fare attenzione a non caricare il termine moralità di significati esclusivamente religiosi, fatto ciò si rischierebbe di tagliar fuori da quest’obbligo chi è o si proferisce ateo. Moralità deve essere intesa come un modo corretto di vivere, rispettoso delle esigenze proprie e altrui nel limite in cui queste non vadano a ledere le libertà personali. Correttezza quindi, come concretizzazione di quel principio che sancisce di non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te. Se vista in quest’ottica e se svincolata dall’aurea di sacralità che molto spesso l’avvolge, la legalità diventa la naturale ed ovvia conseguenza di un vivere armonico. Di un vivere che nella cooperazione tra i singoli e non nella convivenza forzata trova la sua comune radice.



04 marzo 2008