Migrazioni - Rflessione
Il totem dell’identità è pura follia

di Guglielmo Loffredi

Gentile Direttore,desidero iniziare questa lettera con alcuni versi di un grande poeta albanese: Gëzim Hajdari, tratti dalla raccolta Stigmate – VRAGË Besa Editrice, per dare un po’ di respiro allo scritto che segue:
in tutte le terre io dormo innamorato
in tutte le dimore mi sveglio bambino
la mia chiave può aprire ogni confine
e le porte di ogni prigione nera

Sul tema della migrazione sono dell’avviso che se ne parla poco e male. Forse solo la cronaca, quando sono coinvolti cittadini stranieri, richiama un poco di attenzione. Oppure quando decine di immigrati affogano nei nostri mari, perché respinti, la coscienza urla e suscita in noi qualche invettiva.
Ciò che mi preoccupa e addolora è che non noto un pensiero, a nessuna latitudine della politica, che affronti sensatamente questo tema. Per questo motivo ci troviamo in un pantano emozionale contraddittorio, dove facciamo fatica a riconoscere le diverse ragioni della parti e ci troviamo collocati per scelta ideologica e/o etica: tra chi respinge o tra chi accoglie sempre di più in posizioni lontane, o peggio tra chi pensa che la questione non lo riguardi.
Per superare questa paralisi, che in me richiama come immagine le trincee della prima guerra mondiale, occorre stimolare un pensiero costruttivo, che la politica da sola non è in grado di fare, e cioè che attraverso la testimonianza personale e pubblica sostenga i valori dell’umanità e con l’aiuto di una informazione onesta si possa ri-orientare l’attuale politica, tutta, mediocre a diventare adulta e responsabile.
Occorre in altri termini: una nuova pedagogia dell’incontro che ci aiuti a riconoscere la propria umanità nell’altro, oltre allo specifico alfabeto anche simbolico, attraverso il quale ognuno di noi comunica e comprende il mondo, il luogo che l’ha costruito.
Ascolto quasi tutti i giorni: Può l'Italia accogliere tutti quelli che arrivano?. Ha lavoro e strutture per tutti, soprattutto in un momento di crisi come questo che viviamo?.
Occorre quindi disincentivare i flussi, non con i respingimenti pensando che siano la soluzione, perchè tali iniziative aggiungono dolore alla disperazione e causano ulteriore smarrimento. Necessita investire nello sviluppo: sociale, economico, intellettuale, iniziando dai bisogni della gente dei paesi che sono origine della drammatica corrente migratoria, badando a non compromettere i delicati equilibri che regolano le comunità. Impiegando a questo scopo parte delle ingenti spese militari. Il personale militare italiano è presente in 20 paesi nel mondo, circa novemila soldati. (fonte: www.difesa.it )
Penso sia arrivato il momento di accettare la storia e la prova che ci sottopone oggi a forti sollecitazioni, volgendoci a creare le condizioni per regole condivise e rispetto per tutti, piuttosto che vivere una condizione di minaccia permanente.
Considero che non possiamo proprio fare a meno di incontrare o di scontrarci, se lo scegliamo, con le differenze di vario genere: linguistiche_culturali, sociali, religiose.
Non sono d’accordo con coloro che mi esprimono: abbiamo sempre accolto tutti e spesso ci siamo ritrovati aggrediti a casa nostra, non ci sentiamo tutelati adeguatamente dalle leggi !.
La mia opinione è che non bisogna generalizzare, non possiamo parlare per categorie. Un atto delittuoso va punito punto e basta, secondo le leggi ma non deve rispondere anche all’origine del delinquente. Purtroppo questo è un pensiero diffuso: cioè quello di collegare un reato ad una etnia o un gruppo. La cronaca giornalistica, da parte sua, non alleggerisce e spesso non contribuisce a chiarire.
Quando ci rivolgiamo ad un essere umano nominandolo: “clandestino” operiamo anche a livello culturale. Non lo riconosciamo “uomo nostro simile” depositario di una storia. Tranciamo tutto quanto  lo lega al suo mondo e ai suoi affetti. Abbiamo realizzato ciò che la legge aveva nella sua costruzione, ora purtroppo resa esecutiva: punire come reato una condizione di drammatica sofferenza senza che ci sia una condotta delittuosa che possa giustificare la punizione .
Penso alla migrazione italiana, in Europa, negli anni “60. In Germania, in Belgio dove i minatori italiani venivano chiamati Gueules Noires (musi neri) o in Svizzera dove era impedito l’accesso nei locali pubblici agli italiani e ai cani. Ho proprio l’impressione che non abbiamo imparato nulla da questi eventi che hanno lasciato nei nostri parenti: nonni, zii, fratelli e sorelle, cicatrici ancora visibili. Riconoscere sia le differenze che le somiglianze penso sia saggezza, mentre costruire il totem dell’identità  è pura follia. Fortunatamente, siamo tutti il risultato dell’ibridazione, della mescolanza, anche se qualcuno si ostina oggi a pensare il contrario e a costruire politiche a sostegno del pensiero oscuro che malauguratamente avanza.
 
Cordiali saluti, Guglielmo Loffredi


Lunedì 12 Ottobre,2009 Ore: 15:11