Ma il hijab non è il niqab
di Amina Salina
carissimi fratelli e sorelle, vorrei intervenire sulla questione del niqab segnalando al contempo due interessanti prese di posizione la prima dell'intellettuale musulmano Tareq Ramadan - di cui troverete una sintesi su islam-online. it - la seconda di Sumaya Abdel QWadr su Farefuturo magazine, che condivido nelle loro linee generali.
La destra islamofoba ha attuato una furibonda campagna contro le donne che portano il niqab, nemmeno fossero assassine. Chiaramente è nostro dovere difenderle nella maniera più assoluta da ogni accusa infondata. Tuttavia la reazione della popolazione italiana media ad una donna completamente vestita di nero della quale si vedono a malapena gli occhi, va dalla paura al disgusto, all'indifferenza. Mi ricordo tanti anni fa di aver visto una donna, probabilmente una ricca saufita a via Condotti - ero una ragazzina e mi parve una marziana - davanti alla quale rimasi paralizzata non sapendo che dire o che fare. Questa è la normale reazione che si prova in Occidente checché ne dicano gli Ulema del Golfo e le sorelle che vogliono assomigliare, nell'aspetto esterno, alle Nobili Madri dei Credenti vissute in una società completamente diversa milletrecento anni fa. La situazione della comunità islamica qui in Italia è di grande povertà emarginazione sociale e mancanza di seri referenti politici anche solo per avviare qualsiasi discorso a livello nazionale. Al Nord la Lega sta proseguendo con esiti favorevoli da parte sua una furibonda campagna razzista ed islamofoba della quale vediamo i frutti avvelenati nelle ordinanze comunali che vorrebbero stabilire il divieto di costruire moschee o persino di farsi il bagno coperte. Altro che niqab ci vogliono in bikini per forza. Abbiamo la necessità assoluta di farci conoscere rispettare e anche amare fino a coinvolgere altre persone nel nostro cammino di fede, insh Allah, e il niqab non corrisponde alle nostre necessità di oggi qui ed ora. Non solo il niqab esclude le donne da qualsiasi ruolo sociale pubblico perché è impensabile che una donna così vestita possa partecipare ad un incontro sul dialogo interreligioso o ad una conferenza pubblica. È infatti contraddittorio ed indice di essere tutto sommato donne europee favorevoli ai diritti civili nonostante l'aspetto esteriore il fatto che donne col niqab scendano in piazza quando il niqab è l abito del silenzio femminile, della sparizione della donna ridotta ad un'ombra che cammina ad occhi bassi rasente al muro anche se può essere indice di una spiritualita' estrema che è difficile raggiungere qui anche dopo anni di pratica religiosa. Aisha (r. a) non era così, aveva un ruolo pubblico e lo esercitava e forse questo è possibile laddove il niqab è la normalità. La normalità in alcuni paesi e non in altri incluso musulmani. Non dico che le saudite dovrebbero levarselo, badate bene, ma qui in Occidente è un assurdo. Sara' pure un pregiudizio eurocentrico ma un'ombra semicieca e muta è un'immagine che non mi appartiene e che non appartiene alla mia fede, una fede di libertà ed autonomia per le donne. Come quella rivoltante del burka afghano in un paese dove le strade sono un pericolo e gli stupri da parte di gente a parole ultrapraticante insieme alla riduzione in schiavitù ed alle botte sono all'ordine del giorno. Per fortuna siamo ben lontani da quella pratiche tribali anche se la violenza contro le donne è una piaga mondiale. Ma a differenza di chi vive sotto l'oppressione tribale o maschilista, le donne europee o islamiche in genere che scelgono liberamente il niqab non hanno niente a che vedere col maschilismo anzi in massima parte lo rivendicano come qualcosa di loro appartenenza che le tutela come donna. Sfogliando alcuni blog di sorelle su internet si comprende che tutto sommato esse hanno scelto l'invisibilità fisica per reazione alla società dell'immagine credendo di preservarsi dalla corruzione e di praticare un islam più puro delle altre ma in realtà rinunciando ad aspetti della vita che l'islam permette, come sciare nuotare sorridere ad un bambino condannandosi ad una vita scomoda ed ad una quantità di inutili limitazioni. Da parte mia non credo che una legge possa risolvere la situazione che riguarda del resto poche decine di donne in Italia. Credo che l' educazione islamica ben intesa porti a scelte tutto sommato equilibrate, poi ognuna è libera di andarsi a tombare come vuole, basta che non rimproveri le altre per non averlo fatto, sarà sempre un gesto meritorio a differenza di chi va in giro coi capelli verdi e i pantaloni a vita bassa. Viceversa credo che l'apertura di alcune esponenti politiche alla comunità islamica - compresa la ministra Carfagna che in un primo momento aveva appoggiato la legge antiburka- sia importante perché non è vero che queste donne sono vicine ad aree terroriste o che rifiutino pregiudizialmente l'integrazione. Alcune di loro sono italiane, sarebbe utile riaprire il dibattito tra le istituzioni e la comunità islamica chiamando le donne più attive di tutte le tendenze perché la politica deve capire le donne musulmane ed uscire dagli stereotipi . Un settore di donne aveva iniziato a discutere ai tempi del Governo Prodi sulla campagna antiviolenza e quelle donne erano musulmane praticanti. I politici affondarono il dialogo che adesso spero si riapra a tutti i livelli. C'è anche una proposta di riapertura della Consulta da parte di un professore universitario vicino ai finiani ma non credo che Maroni aderirà mai . salam amina salina
Domenica 31 Gennaio,2010 Ore: 16:28 |