EPIFANIA 2010. DONNE, UOMINI, MESSAGGIO EVANGELICO ("CHARITAS") E COSTITUZIONE. "Volere intendere la pura relazione come dipendenza significa voler svuotare della sua realtà uno dei portatatori della ralazione, e con ciò la relazione stessa (M. Buber, Il principio dialogico).
MATRIMONIO E RIFORMA: LA GRAZIA, LA FEDE, E LE OPERE. Un'intervista a Lidia Maggi, pastora della chiesa battista di Varese, della redazione di "Matrimonio".

(...) È all’interno del discorso simbolico sull’amore che abita il linguaggio dei diritti e doveri (...) la Riforma, che costruisce la sua identità sulla grazia, nel guardare al matrimonio sottolinea, (...) l’esigenza di dare voce innanzitutto all’assunzione di responsabilità dei coniugi. A dispetto dei ben noti luoghi comuni, si rivela riduttivo sostenere che il protestantesimo metta a tacere il linguaggio delle opere! (...)


a cura di Federico La Sala

Intervista a Lidia Maggi

Matrimonio nel mondo della Riforma

a cura della redazione di Matrimonio (“matrimonio” - in ascolto delle relazioni di amore - n. 3 del settembre 2009)

Abbiamo incontrato la pastora della chiesa battista di Varese Lidia Maggi, nostra amica e collaboratrice, per un confronto ecumenico. Le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa su come il matrimonio viene vissuto nel mondo della Riforma. Riportiamo qui stralci di questa conversazione.

Entriamo subito nel nodo della questione che sembra segnare una frattura ecumenica tra le chiese: È vero che nel mondo protestante il matrimonio non è considerato un sacramento?

L’affermazione è corretta e insieme imprecisa. Nelle chiese riformate il matrimonio non è considerato un sacramento, nel senso di gesto direttamente istituito da nostro Signore Gesù Cristo. Prima della sua venuta, ci si sposava già. Ogni cultura e ogni società conosce questa forma di legame. Il matrimonio non è, dunque, uno specifico cristiano. Noi diciamo: non esiste un matrimonio cristiano; esiste, tuttavia, un modo cristiano di vivere il matrimonio.

Il matrimonio è un patto di unione che attraversa le diverse culture, seppure con sottolineature differenti. Se questi sono i criteri, è comprensibile che le chiese della riforma considerino sacramenti solo due dei sette segni riconosciuti nella chiesa cattolico-romana: il battesimo e la Cena del Signore. Unicamente questi, in quanto segni istituiti da Gesù. Tuttavia, l’unione di due persone, che nella libertà e nella responsabilità si scelgono, viene considerata segno (e dunque sacramento, in senso lato) dell’amore di Dio.

Che conseguenze ha, dal punto di vista pratico, il fatto che nelle chiese riformate il matrimonio non è considerato sacramento in senso stretto?

La prima conseguenza è che riconosciamo validi anche i matrimoni celebrati soltanto con rito civile. Alcuni credenti protestanti scelgono di sposarsi solo con rito civile: una scelta accettata e giudicata come buona. Il matrimonio è prima di tutto un contratto sociale, che tutela la coppia e, nello specifico, il partner più debole, la donna perlopiù. Può non piacere il linguaggio, considerato poco poetico per una coppia innamorata. E’ tuttavia, essenziale spiegare a chi si sposa che un contratto sancisce chiari diritti e doveri, tutela nella vulnerabilità e getta le basi per costruire un futuro.

Il senso giuridico del matrimonio è spesso poco valorizzato dagli sposi stessi e dalle chiese. È come se l’aspetto legale fosse secondario rispetto al valore "religioso", come anche al sentire privato della coppia. Si sottovalutano le tante battaglie civili che hanno portato lo Stato a riconoscere come paritetica l’unione tra un uomo e una donna e a tutelarla al meglio.

Ma allora per voi protestanti quello che conta di più del matrimonio è soprattutto il profilo civile!

Le cose sono più complesse. Sono necessari tanti linguaggi per narrare l’esperienza matrimoniale! Il matrimonio è l’incontro con l’altro, la disponibilità a condividere la propria vita in due e per sempre. È fare posto a chi ti ha rapito il cuore, è lasciarsi sorprendere dall’inedito che questa nuova realtà produrrà, è un’alleanza fondata sulla gratuità dell’amore. Ma è pure un atto di responsabilità e di cura verso le generazioni future.

Questa logica di unione - che le Scritture ebraico-cristiane chiamano comunione, alleanza, riconciliazione compiuta - trova accoglienza nella Bibbia attraverso una molteplicità di linguaggi, i quali, mentre raccontano il rapporto di Dio con il suo popolo ed il singolo credente, alludono all’esperienza umana del matrimonio. Il rapporto d’amore che unisce un uomo e una donna diventa parabola, chiave di lettura privilegiata per comprendere qualcosa di più sul patto che unisce Dio a Israele. I

n questa logica di alleanza entrano in campo tutte le sfumature semantiche che spaziano dal linguaggio mistico a quello etico. Dio richiede di essere amato con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt 5); ma questa richiesta passionale, totalizzante, ha anche conseguenze giuridiche: rispettare i suoi precetti, non rompere il patto che con lui si è stipulato (Dt 10,12-13).

A somiglianza di questo sguardo plurale promosso dalla Bibbia, che per descrivere la relazione tra Dio e il fedele privilegia la metafora sponsale, sarebbe auspicabile che nelle considerazioni ecclesiali sul matrimonio confluissero sia il linguaggio della passione e della poesia che quello della responsabilità e dei vincoli. Ho la sensazione che ci sia stata sovente una sottovalutazione dell’aspetto giuridico del matrimonio. Motivare soprattutto sul piano religioso la scelta di sposarsi può, paradossalmente, portare ad una convergenza tra posizioni apparentemente opposte. Come quella di chi sceglie di non sposarsi perché non crede nell’istituzione del matrimonio e ritiene che la scelta affettiva sia da riservare alla sfera del privato. O chi privilegia così tanto il ruolo sacramentale del matrimonio a scapito di quello legale.

Questa sottolineatura del protestantesimo che valorizza l’aspetto giuridico a scapito di quello religioso non rischia di secolarizzare un’esperienza che per vivere ha bisogno di un linguaggio simbolico?

Il sospetto nei confronti del protestantesimo è che, in nome di una battaglia teologica che tende a separare dalla sfera sacramentale il matrimonio, si perda la possibilità di dare spazio simbolico ad un gesto che invece lo richiede. Si ritiene che il protestantesimo abbia secolarizzato la fede. Esso, in un certo senso, è iconoclasta non solo nelle rappresentazioni religiose, ma anche nelle espressioni della vita. E così, per precisare cosa ha stabilito Dio e cosa l’uomo, per non confondere la grazia divina e l’operato umano si perde la poesia della vita.

A un fraintendimento simile è stato soggetto anche Israele sulla questione della legge: l’accusa di legalismo è sorta a fronte di una sensazione di inaridimento di un’esperienza umana molto più ricca ... È invece proprio la fedeltà al matrimonio come espressione della logica di comunione e riconciliazione, che sollecita una precisa presa in carico dell’altro.

È all’interno del discorso simbolico sull’amore che abita il linguaggio dei diritti e doveri. Questa considerazione etico-giuridica non è, dunque, solo reattivo ad una prassi cattolica non condivisa ma esprime un aspetto peraltro poco considerato del modo protestante di vivere la fede. Proprio la Riforma, che costruisce la sua identità sulla grazia, nel guardare al matrimonio sottolinea, invece, l’esigenza di dare voce innanzitutto all’assunzione di responsabilità dei coniugi. A dispetto dei ben noti luoghi comuni, si rivela riduttivo sostenere che il protestantesimo metta a tacere il linguaggio delle opere! Potremmo sintetizzare quanto detto, affermando che, in fondo, l’operazione fatta dal protestantesimo è quella di opporsi ad una certa confusione tra il linguaggio mistico e quello politico. Là dove è all’opera Dio, l’essere umano non può arrogarsi il diritto di sostituirlo (e il linguaggio mistico serve per l’appunto ad esprimere la differenza di Dio); ma vale anche il viceversa (e il linguaggio politico enuclea le responsabilità umane, senza fare ricorso a Dio). Per dirla con il salmo: "i cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo".

Nelle chiese riformate non ci si sposa in chiesa, dunque ...

Sarebbe più preciso dire che nelle chiese della riforma ci si potrebbe anche non sposare con rito religioso. Questo non significa, tuttavia, che non sia previsto il rito religioso. I credenti che si sposano in chiesa non si limitano a giurare la loro fedeltà davanti alla società; essi lo fanno anche davanti a Dio e alla assemblea riunita. Sono loro i ministri di questo segno. Sposarsi nella lingua italiana è un verbo riflessivo. Non sposa il pastore: sono i nubendi a sposarsi reciprocamente, esprimendo un libero consenso. Mi è accaduto di recente di celebrare un matrimonio che potremmo definire "autogestito" dagli sposi. La mia presenza, come ministro, è stata marginale.

Gli sposi, di fronte alla comunità, senza avere accanto il pastore, si sono scambiati le promesse e le fedi, hanno testimoniato la loro volontà di unire le proprie vite ed hanno concluso il momento solenne con la formula: "ed è per questo che oggi io ti sposo". Solo alla fine sono intervenuta io, come ministro, per dichiararli marito e moglie. Questo, paradossalmente, non sarebbe stato necessario, se la cerimonia non avesse avuto valore legale. Se gli sposi cioè, avessero precedentemente contratto matrimonio civile. Ma in qualità di ministro dello Stato, che celebra un matrimonio con effetti civili, ho l’obbligo di formulare la dichiarazione di matrimonio (la classica "vi dichiaro marito e moglie"). Una motivazione non teologica.

Ministri e protagonisti del matrimonio nelle chiese della riforma sono, dunque, gli sposi. Mi sembra che ciò accada anche in ambito cattolico. Per le chiese ortodosse, invece, il ministro del matrimonio è Dio stesso, rappresentato in quel momento dal sacerdote. Ma su questo conviene sentire direttamente la voce ortodossa.

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SUL TEMA, IN RETE, SI CFR.:

UOMINI E DONNE. SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.

L’ANNUNCIO A GIUSEPPE E MARIA - DIO E’ AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 GV., 4.8): LA NUOVA ALLEANZA E LA NUOVA LEGGE. COME IN CIELO COSI’ IN TERRA: RESTITUIRE A GIUSEPPE L’ANELLO DEL PESCATORE - come già Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - ... E L’ONORE E LA GLORIA DOVUTA. PACEM IN TERRIS ...

NATALE, MA DI QUALE GESU’?! E’ NATO IL RE, IL "FIGLIO PRIMOGENITO" DELL’AMORE ("CHARITAS") DI MARIA E GIUSEPPE ("DUE GIOVANI COLOMBI") O DELL’AMORE ("CARITAS") DI PAPA RATZINGER E DELLA MADRE CHIESA CATTOLICO-IMPERIALE. La Buona-Notizia di Luca (2, 1-24)

EU-ANGELO E COSTITUZIONE . "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-16). «Et nos credidimus Charitati...»!!!! VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.

 

DONNE, UOMINI E VIOLENZA... L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi - nell’epoca dei Borromeo Ratzinger ... degli Innominati, e dei don Rodrigo Katzsav !!!

 

 

 



Lunedì 04 Gennaio,2010 Ore: 16:04