31 gennaio 2010 - IV del tempo ordinario
LA CITTÀ SUL CIGLIO DEL MONTE

di p. Ottavio Raimondi

Ti ho stabilito profeta delle nazioni (I lettura; Ger 1,4-5.17-19
La più grande di tutte è la carità (II lettura: 1 Cor 12,31-13,13)
Nessun profeta è bene accetto nella sua patria (III lettura: Lc 4,21-30)
 
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
 
Gli abitanti di Nazaret non si sbagliavano: Gesù era il figlio del falegname, falegname pure lui. Certamente altri giovani di Nazaret, dopo aver lasciato il villaggio, erano tornati ricchi e il popolo li aveva ammirati e forse sfruttati. Anche Gesù aveva lasciato il villaggio ed ora ritorna come Rabbì. Maestro, accompagnato da un gruppo di discepoli. Era logico che tutti si aspettassero una passerella di miracoli a buon mercato….
Gesù li delude facendo capire ai suoi compaesani che lui non cerca ammiratori ma discepoli. Non spettatori che si gongolano nell’ammirare meraviglie, ma persone che si lasciano coinvolgere..
Finché un profeta non ci coinvolge lo lodiamo, quando ci coinvolge diventa scomodo e facilmente lo rifiutiamo.
 
In verità vi dico che nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
 
Vivevano in un’isola a 100 km dalla riva. Avevano comprato quattro biglietti aerei di andata e ritorno per venire a battezzare il bambino. “E l’attestato della partecipazione agli incontri di preparazione al battesimo?” La risposta fu immediata: “I responsabili degli incontri sono persone che fino a poco tempo fa si ubriacavano con noi. Preferiamo partecipare qui”. Non valsero a nulla le loro rimostranze. Dovettero fare ritorno alla loro isola e accettare quei responsabili. Valente diceva apertamente: “Da quando sono responsabile della comunità (6.000 abitanti!) non ho più bevuto un goccio di birra e sono sempre stato fedele alla mia famiglia”.
Forse il profeta non viene accettato nel proprio ambiente perché con la sua testimonianza ci dice che è possibile vivere una vita nuova, che è possibile cambiare, che è possibile servire.
 
Lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
 
Quando non si accetta si elimina. A Nazaret ci sarà poi un attimo di esitazione e Gesù ne approfitterà per andare oltre.
Guardandomi attorno scopro le troppe città costruite sul ciglio del monte: città in cui le sicurezze servono per attaccare il più debole, diventano spirale di violenza, isolamento che emargina e uccide.  La città sul ciglio del monte non è il sogno di Dio che sogna la città come luogo dell’incontro libero e autentico di tutti.
Nelle città costruite sui cigli non c’è spazio per Gesù Cristo.
Ma Gesù che non si lascia gettare giù, Gesù si mette in cammino. In lui vediamo tante persone  che forse riteniamo che hanno abbandonato mentre, di fatto, sono persone con la forza di non lasciarsi gettare giù, la forza di mettersi in cammino.
Il Dio di Gesù non si riconosce né in chi vuole gettare giù l’altro né in chi si lascia gettare giù. Si riconosce in chi si mette in cammino.
La mia vocazione è di mettermi in cammino, sempre. Non posso vivere di risentimenti e delusioni, devo vivere di orizzonti e gli orizzonti si aprono camminando…
p. Ottavio Raimondo, missionario comboniano 348-2991393 oraimondo@emi.it


Mercoledì 27 Gennaio,2010 Ore: 11:25