Io sceglierei il Walhalla, le religioni e l'aldilà
Recensione di "Dopo - Le religioni e l’aldilà”, di Brunetto Salvarani, Editori Laterza (www.laterza.it ), prima edizione giugno 2020
di Giovanni Sarubbi
L
![]() Il libro non parla di morte in senso stretto. Non è un trattato di tanatologia (dal greco Tanatos - morte), di cui sono esperti gli anatomopatologi (quei medici che fanno le autopsie ai cadaveri) e che hanno un ruolo decisivo ai fini del prelievo di organi per i trapianti. La morte è una cosa seria, direbbe Totò e l’umanità, con i trapianti, ha la pretesa di dare un senso anche alla morte che è un fenomeno largamente studiato ed al centro della medicina. E prima che la medicina divenisse la scienza attuale, la morte è stata affrontata e fatta propria dalle religioni, ed è questo in sostanza il tema del libro.
![]() E anche con questa sua ultima fatica, Salvarani dimostra per l’ennesima volta di essere un teologo ecumenico impegnato a fornire una teologia, nel quadro di una cultura della postmodernità, ad un cristianesimo ormai post-metafisico e che è destinato a morire se non si libera quanto prima di tutto ciò che è metafisico.
Ma che cosa è l’escatologia? Non è un discorso sulle scatole, come dissi io da ragazzo quando lessi per la prima volta questo termine, rotte o intere che siano per i troppi discorsi, spesso terroristici, che le religioni hanno fatto sulla morte e su ciò che avverrebbe nel “dopo”, che è il tema del libro di Salvarani. Il termine “escatologia”, come si può leggere in un buon dizionario, “riguarda la dottrina degli ultimi fini, cioè quella parte delle credenze religiose (e, in qualche caso, di teorie filosofiche e teologiche) che riguarda i destini ultimi dell’umanità e del mondo”.
L’escatologia ha la pretesa di rispondere alle domande sul “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. Domande che a me oggi, quasi settantenne e oramai sulla discesa della rampa che è la vita, ricordano le domande simili della scena del passaggio della dogana del famoso film di Massimo Troisi e Roberto Benigni “Non ci resta che piangere”, con il doganiere che ripete continuamente: “chi siete? cosa fate? cosa portate? si ma quanti siete? Un fiorino”, e con Massimo Troisi che alla fine lo manda a quel paese.
Su queste domande e sulla paura della morte si sono costruite tutte le religioni. Della morte parla spesso Papa Francesco. La paura è stata usata per giustificare la “convenienza della fede”, come scrive Salvarani, partendo dal fatto che ogni essere umano, una volta raggiunta l’età della ragione, comprende che “Incerta omnia. Sola mors certa”. Solo la morte è certa, scriveva Agostino di Ippona. Non c’è scampo, lo si voglia o no ad un certo punto di quella cosa che noi chiamiamo “vita”, una parentesi dell’eternità, ognuno di noi morrà e il proprio corpo si decomporrà e finirà sottoterra o incenerito. E nessuno potrà toglierci questo momento che non è stato negato neppure a quel Gesù che le correnti maggioritarie del cristianesimo considerano “vero dio, vero uomo”.
Leggendo il libro mi sono chiesto se l’escatologia, come argomento teologico, può suscitare interesse fra i non addetti ai lavori. E dato che nessuno può dire nulla di serio e di fondato sull’aldilà, come del resto anche su “Dio”, ha senso parlarne? Non pronunciare il nome di Dio invano, dice il comandamento più violato dei dieci comandamenti scritti da Mosè sul monte Sinai.
Indubbiamente l’argomento “aldilà” è di grande attualità a causa della pandemia da Covid 19 che ha provocato una grande paura e ha fatto evocare, alle sette religiose fondamentaliste, l’inizio della fine del mondo e l’irrompere del giudizio finale nella storia.
Questo libro è dunque utile per orientarsi rispetto ad una situazione che vede l’emergere di paure irrazionali e del prevalere di un orizzonte culturale in sui sembra scomparso il futuro.
Sapere cosa dicono effettivamente l’islam, l’ebraismo o il cristianesimo sul “dopo” può aiutarci a discernere le vere e proprie follie da ciò che le religioni dicono effettivamente.
Rimettere ordine in ciò che le religioni dicono sul “dopo” forse ci potrà aiutare a mettere ordine su ciò che dovremmo fare nel “prima”. Il “dopo”, del resto, è sempre stato usato proprio in funzione del “prima”, per vincolarci a seguire comandamenti etici e morali o ad obbedire ad un Re o ad un Papa o al capo di una religione. Ed ancora oggi è così.
Ognuno dovrà poi fare i conti da solo con la propria morte, checché ne dicano le varie religioni o la religione a cui si è scelto di aderire. Ed è questo in sostanza quello che Salvarani cerca di aiutarci a fare nella parte finale del libro, ben sapendo che si tratta di una esperienza che ognuno dovrà vivere da solo e con i propri cari.
Non so voi, Io, lo confesso, se potessi scegliere in quale degli “aldilà” finire, sceglierei il Walhalla, per via delle valchirie.
![]() Giovanni Sarubbi
Martedì 21 Luglio,2020 Ore: 18:41 |