Una Poesia contro il razzismo, di ieri e di oggi
a cura di Domenico Stimolo
Tanti sono i fatti e i misfatti che si sono consumati contro le persone che nel corso del tempo sono state costrette ad emigrare, dai loro luoghi nativi in tant’altri luoghi, in “patria” o nel cosiddetto estero. Per cercare esistenza, un destino migliore, fuggendo dalla fame e dalla sopraffazione.
In molti hanno perso la vita, uccisi, a seguito dell’odio rabbioso sollevato da vili mestatori, nullafacenti in arte e mestiere, professionisti della speculazione sulle sofferenze altrui, e di pratiche razziste dedicate ad oltraggiare l’altrui dignità umana.
Numerosi sono i cittadini provenienti dalle sponde italiche che nel corso del tempo, emigrati nei luoghi più vari dei cinque continenti ( assieme a tanti altri di diverso ceppo), per fame e disperazione, diventati “oggetti” di ludibrio, ghettizzazione ed assassinio.
O, diventati, schiavi, nell’esecuzione dei lavori più umili e faticanti. Pagando caro con il bene più prezioso, la vita, nelle “disgrazie” provocate dall’ingordigia altrui nei siti di lavoro. Proprio ieri si è commemorato il disastro di Marcinelle ( Belgio) avvenuto in miniera – 8 agosto 1956 -, provocando la morte di 262 lavoratori. Centotrentasei sono gli italiani, provenienti da: Molise, Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Veneto ( in memoria, per ricordare gli uccisi:
Tanti gli eventi singoli dove gli italiani sono stati presi di mira dalla furia sovranista dei razzisti locali. Fatti ubriacare dalle miscele imbevute d’odio propagate a piene mani. Una cronistoria lunga centosessant’anni di storia ( per ricordare l’era più recente). Si mette a parte l’assassinio scientifico razzista operato contro tutti i “diversi” della propagata razza eletta da parte nazifascista.
C’è una bella poesia dell’insigne aedo siciliano Ignazio Buttitta ( nato a Bagheria – Palermo il 19 settembre 1899, morto a Bagheria il 5 aprile del 1997).
U RAZZISMU – Il razzismo. I versi sono belli e tragici, Si racconta la vita e la morte di un giovane italiano di Caliscibetta ( Enna) ucciso in Germania a ventun anni , per odio razziale.
…..Sentite, che c’è proprio da udire, con il cuore e i sentimenti.
( a seguire il testo in italiano)
Era unu di chiddi, e sunnu tanti,
i canuscemu di facci e di pirsuna; ca partinu ca sorti d’emigranti ncerca di pani e ncerca di furtuna; e c’è cu i chiama zingari e cu i chiama genti du Sud parenti da fami. Era unu di chiddi du travagghiu
c’havia i manu ricchi e i vrazza sani; e na ciuccata dintra senza scagghiu senza muddìchi e né crusti di pani, e la ciocca aggiuccata cu la vozza vùncia di chiantu nni li cannarozza. Era sicilianu e carni nostra
Nunziu Lìcari di Catinanova; di picciriddu sucava culostra nta scorcia di sò matri, comu ova; di granni appi spini e appi chiova ventu e timpesta e mai un’arba nova. E da Germania, pi disfiziu e pena,
scrivìa littri d’amuri e di focu: “Si manciu o bivu agghiuttu vilenu, semu spartuti ma u me cori è ddocu. Cca sugnu un straniu, carni senza prezzu, sùcanu sangu e dunanu disprezzu”. C’è cu ritorna e c’è cu non ritorna
e lassa l’ossa dintra li mineri; cu chiudi l’occhi e chiudi li sò jorna senza li figghi allato e la muggheri; e c’è cu resta ddà mortu ammazzatu di manu strania supra u nciacatàtu. Unu di chisti fu Nunziu Lìcari,
ora a famigghia ci arrivanu l’ossa; e i picciriddi c’aspettanu u patri tàliano a casa e ci pari na fossa: scrivìa littri, e ora a littra è iddu ammazzatu nnuccenti e a sangu friddu. Il razzismo
Era uno di quelli, e sono tanti,
li conosciamo di faccia e di persona, che partono con il destino d’emigrante in cerca di pane e di fortuna; c’è chi li chiama zingari e chi li chiama genti del Sud parenti della fame. Era uno di quelli del lavoro
che aveva mani ricche e braccia sane; una covata in una casa senza becchime senza molliche e senza croste di pane; e la chioccia accucciata con il gozzo gonfia di pianto nella strozza. Era siciliano e carne nostra
Nunzio Lìcari di Catenanova; da bambino succhiava colostro nel guscio della madre, come uova; da grande ebbe spine ed ebbe chiodi vento e tempesta e mai un’alba nuova. Dalla Germania, avvilito per la pena,
scriveva lettere d’amore e di fuoco: “Se mangio o bevo inghiotto veleno, siamo divisi ma il mio cuore è con voi. Qui sono un estraneo, carne senza prezzo, succhiano sangue e mi danno disprezzo”. C’è chi ritorna, c’è chi non ritorna
e lascia l’ossa dentro la miniera; c’è chi chiude gli occhi e chiude i suoi giorni senza i figli e senza moglie vicino; e c’è chi resta lì morto ammazzato da una mano straniera sopra il selciato. Uno di questi fu Nunzio Lìcari,
adesso alla famiglia arrivano le ossa; e i bambini che aspettano il padre guardano la casa e gli pare una fossa: scriveva lettere, ora la lettera è lui ammazzato innocente e a sangue freddo.
( a cura di domenico stimolo)
Venerdì 09 Agosto,2019 Ore: 16:35 |