Clima.
A Copenaghen cristiani in prima linea

Rappresentanti di chiese di tutto il mondo in difesa dell'ambiente, per un clima di giustizia


Roma (NEV), 16 dicembre 2009 - In occasione della XV Conferenza dell'ONU sul clima (COP15), che si chiude il 18 dicembre, le strade di Copenaghen si sono riempite di messaggi delle centinaia di organizzazioni cristiane accorse in difesa dell'ambiente e delle popolazioni più vulnerabili. Tra le tante, il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), la Federazione luterana mondiale (FLM), la statunitense Global Peace Initiative of Women, e la Caritas Internationalis. Ai rappresentanti di governo presenti al summit chiedono un accordo equo e legalmente vincolante che punti ad una riduzione da parte dei paesi sviluppati del 40% delle emissioni di CO2 entro il 2020 e dell'80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990.
“Abbiamo una sola terra, questa terra, se la distruggiamo non ci rimane null'altro” ha affermato l'arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu, Premio Nobel per la pace, lo scorso 13 dicembre a conclusione della celebrazione ecumenica per la salvaguardia del creato svoltasi nella gremita cattedrale luterana di Copenaghen. Nella mattinata Tutu aveva consegnato al segretario generale della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, Yvo de Boer, le 500mila firme raccolte nell’ambito della campagna Poverty and Climate Justice, promossa da una piattaforma di organizzazioni cristiane internazionali, che in Italia è conosciuta con il titolo: Crea un clima di giustizia. La preghiera ecumenica del pomeriggio, che ha visto la partecipazione di leader religiosi e politici di tutto il mondo, è stata invece promossa dal Consiglio nazionale delle chiese della Danimarca e dal CEC. Tra i presenti anche la regina di Danimarca, Margrete II. L'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, che ha tenuto la predicazione, ha parlato di paura: sarebbe proprio questo il sentimento che impedisce ai potenti di prendere delle decisioni coraggiose contro il cambiamento climatico. “Siamo riuniti come persone di fede in un momento delicato per la storia dell'umanità. E siamo qui per dire: non abbiate paura – agite!”, ha detto Willimas, chiedendo a tutti un cambiamento nei propri stili di vita.
Alle 15, dopo la celebrazione, le campane della cattedrale, ed insieme a queste, quelle di tutta la Danimarca e dell'Europa, hanno suonato per 7 minuti. Il tempo di fare 350 rintocchi per ricordare che 350 sono le parti per milione di anidride carbonica che rappresentano un limite oltre il quale c’è il rischio reale di danni irreparabili al pianeta terra e alle future generazioni. Dal Pacifico alle Americhe, dall'Asia all'Europa, le campane hanno suonato l'allarme aderendo alla campagna “bellringing350” promossa dal CEC.
Ieri, a tre giorni dalla chiusura dei negoziati per un accordo post-Kyoto, il pastore Samuel Kobia, segretario generale del CEC, ha lanciato un appello ai rappresentanti di governo presenti a Copenaghen, chiedendo loro di essere più ambiziosi, auspicando un salto di qualità nei negoziati. In particolare ha sottolineato la necessità di garantire ai paesi in via di sviluppo sostanziose risorse finanziarie e tecnologiche per far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. Per Kobia un accordo serio non può prescindere dai principi dell'equità, della giustizia e dell'uguale diritto allo sviluppo per tutti. Ad oggi gli scogli maggiori nei negoziati rimangono proprio i tagli alle emissioni e gli aiuti finanziari da dare ai paesi poveri per aiutarli ad adattarsi alle tecnologie pulite.
 


Giovedì 17 Dicembre,2009 Ore: 15:11