Morire di proibizionismo
Bruno Gambardella
Roma, una domenica d’ottobre. E’ sera. Due amici in un parco romano chiacchierano, bevono una birra, fumano una canna. Arrivano le forze dell’ordine. I due amici vengono perquisiti, fermati e condotti in caserma. Uno viene quasi subito rilasciato. Diversa la sorte dell’altro, Stefano Cucchi. Stefano, 31 anni, non aveva segni sul viso quando fu arrestato per possesso di una modesta quantità di stupefacenti. È morto sei giorni dopo all’Ospedale Pertini di Roma. Durante l’udienza del processo per direttissima il padre del giovane aveva notato il volto tumefatto del figlio, ma non era riuscito ad ottenere nemmeno un breve colloquio. La denuncia di Luigi Manconi, dell’Associazione Antigone e di Radicali Italiani richiede l’immediato accertamento della verità, senza pastoie burocratiche che allontanano dall’obiettivo. Giusto, quindi, che siano rese pubbliche le foto del viso tumefatto di Cucchi ed i suoi interrogatori, come accadrebbe se si trattasse di inchieste importanti. Al detenuto ignoto Stefano restituiamo almeno ora quella dignità che solo la forza della verità potrà dare alla sua famiglia e ricordiamoci che, in ogni caso, è morto per le conseguenze di un arresto per mero possesso di droga, tra l’altro in quantità poco significativa. Quando un uomo entra in carcere con le sue gambe e ne esce morto dopo pochi giorni, è indispensabile che le istituzioni spieghino cosa è successo in maniera pronta e trasparente e, se necessario, ammettano le loro responsabilità.
Marted́ 27 Ottobre,2009 Ore: 15:14 |