Lutto
Addio a Giuseppe Alberigo il partigiano del Concilio

Storico della Chiesa, si batté a fianco di Dossetti


di ACHILLE SCALABRIN

Riprendiamo questo articolo dal "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 16/06/2007 riportato nella rassegna stampa di articolo 21 del 16 giugno u.s.
Coordinate: http://www.articolo21.info/rassegne/generale16062007/Art00316.htm


E’ MORTO l’ultimo ’partigiano del Concilio’, protagonista laico di una stagione che ha segnato il volto della Chiesa e del mondo. Giuseppe Alberigo, storico della Chiesa di fama internazionale, si è spento a Bologna all’età di 81 anni, dopo aver dedicato gli ultimi quaranta alla ’difesa’ di un evento la cui importanza si va sempre più confondendo nelle nebbie.
Nel capoluogo emiliano era giunto - questo giovane lombardo di belle speranze, allievo di Delio Cantimori e di Hubert Jedin - richiamato soprattutto dalla presenza di Giuseppe Dossetti, sulla cui scia muoverà il suo percorso intellettuale, fino a diventarne il più fedele allievo e aiuto. E’ a fianco del ’padre costituente’ quando questi nel ’53 dà vita nella Bologna comunista all’Istituto per le scienze religiose, l’’alta scuola dei dotti’ alla quale il futuro monaco di Monte Sole affida le sopravvissute speranze di rinnovamento culturale del cattolicesimo italiano. E’ a fianco a don Dossetti quando nel ’63 questi viene nominato segretario dei quattro moderatori del Vaticano II - il bolognese card. Lercaro, Agagianian, Dopfner, Suenens -, al cui lavoro contribuirà con proposte e stimoli determinanti, provenienti dall’«officina bolognese». Ed è «lo spirito del Concilio» che impronterà la vita e l’opera di questo intellettuale dolce e intransigente, al punto di sfidare, con ragionamenti di matrice evangelica, la Curia romana e ogni sua manovra di ridimensionamento di quell’evento storico.

LA NECESSITÀ di un rinnovamento della Chiesa è ben chiara ad Alberigo già negli anni Cinquanta, quando nell’Istituto di via San Vitale 114 (di cui è stato la guida onnipresente) metterà le sue energie al servizio di un dibattito storico e culturale che vedrà via via coinvolti tra gli altri, e sotto la supervisione di Dossetti, Delio Cantimori, Augusto Del Noce, Paolo Prodi, Gabriella Zarri. Il papato di Pio XII è quanto di più lontano possano desiderare. Rivelerà lo stesso Alberigo molti anni dopo in un’intervista che nel ’53 un monaco benedettino «pio e assai famoso», in quei giorni ospite a casa sua, lo invita a pregare per la morte del papa - avvenuta cinque anni dopo - con queste parole: «Ora il Santo Padre è un peso per la Chiesa, preghiamo perché il Signore se lo prenda presto». Le speranze occupano l’animo di questi cattolici inquieti con l’arrivo al Soglio pontificio di Giovanni XXIII e con l’annuncio del Vaticano II. Tra il ’58 e il ’63 il riformismo è il nuovo sigillo che segna le pagine più importanti, infrangendo resistenze e paure. I lavori si chiudono nel ’65, due anni dopo l’elezione di Paolo VI.

A CAVALLO tra l’Italia contadina e quella industriale, alla vigilia del Sessantotto e dei suoi rivoluzionamenti, è dal Concilio che una schiera sempre più ampia di fedeli attinge ispirazioni e conferme. La sacramentalità della consacrazione episcopale, la collegialità, il diaconato, le nuove relazioni tra la Chiesa e il popolo ebraico, l’universalismo che si sostituisce all’eurocentrismo - idee su cui il contributo di Dossetti e dei suoi allievi è stato importante - sono lì a rendere «attuale la speranza e l’ottimismo del Vangelo». Il Vaticano II, nella lettura che ne dà Alberigo, va letto come una rottura e un nuovo inizio. Quasi un passaggio di frontiera. Ma ben presto i ’bolognesi’ e quanti si ispirano a questa lettura, devono a malincuore rendersi conto che l’evento «si è concluso troppo presto», per usare parole di Dossetti. La possibilità di un costume nuovo, di uno spirito nuovo, di un’anima nuova nella Chiesa evapora velocemente. Prova ne è anche la «liquidazione» del card. Lercaro da parte di papa Montini, perché reo di essersi mosso contro la guerra in Vietnam e, secondo molti, di aver accettato la cittadinanza onoraria di Bologna dalle mani del sindaco comunista Fanti.

NEI CINQUE volumi in cui tra il 1995 e il 2001 Giuseppe Alberigo, con l’apporto di studiosi di varie provenienze, racchiude la «Storia del Concilio Vaticano II» (la più consultata nel mondo) c’è tutta l’interpretazione cara ai cattolici democratici e meno alla Curia romana. Non è un caso che l’opera sia stata paragonata dal card. Camillo Ruini, allora presidente della Cei, a quella di fra’ Paolo Sarpi sul Concilio di Trento, messa all’indice dei libri proibiti. E non è un caso che a fronte di oltre duecento recensioni favorevoli in tutto il mondo spicchino quattro stroncature dell’Osservatore romano.

MA L’AUTOREVOLEZZA di Alberigo è sempre stata tale da consentirgli di tenere rapporti a 360 gradi con le gerarchie cattoliche e vaticane, di sfidarle sul piano delle idee e delle interpretazioni. Ha avuto frequentazioni con quattro papi, da Roncalli a Montini, da Wojtyla a Ratzinger, ma senza paura di esprimere in pubblico i suoi dissensi. Con quest’ultimo, allora teologo di punta, collaborò ai tempi del Vaticano II ma non mancò poi di imputargli «la massima resistenza agli impulsi conciliari» quand’era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nel marzo del 2007 il contrasto si è fatto più aspro sulle convivenze di fatto. Alberigo scongiurò la Cei di non redigere il documento di ’scomunica’ sui Dico. Parole durissime, quelle usate del professore bolognese nel suo appello, che accusava la Chiesa italiana di subire «un’immeritata involuzione», tale da far ricadere l’Italia «nella deprecata condizione di conflitto tra la condizione di credente e quella di cittadino». Insomma ai tempi del «non expedit». E supplicava (inutilmente) ai Pastori di «evitare tanta sciagura». Il cattolico conciliare Alberigo vedeva in questa Italia del XXI secolo un «residuo dello Stato Pontificio» in cui la Chiesa «si è ridotta ad essere un partito politico», e la Cei «una caserma» in cui vige «il bisogno del nemico», che dopo la caduta del comunismo è diventato «la cultura e la società laica, la modernità».

UN PUNGOLO, ecco cosa è stato questo storico della Chiesa. Uno spirito guerriero alieno alle crociate, un cattolico liberale predisposto al dialogo, dentro e fuori la comunità cristiana. All’indomani dell’11 settembre, in un’intervista ci diceva coraggiosamente quanto pericoloso fosse «vedere i rapporti con l’Islam solo come conflittuali», e rimandava ancora una volta a Giovanni XXIII per il quale «è sempre molto di più ciò che unisce da ciò che divide».
Anche per questo Alberigo lascia un vuoto che non sarà facile colmare. Tra i credenti come tra i laici.
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Lunedì, 18 giugno 2007