GANDHI, UN SANTO DI RELIGIONE INDU

di EMILIO BUTTURINI

[Dal quotidiano "L’Arena" di Verona del 30 gennaio 2008.

Biografia di Emilio Butturini


Sessanta anni fa, il 30 gennaio 1948, a poco piu’ di 78 anni, veniva ucciso Mohandas Karamchand Gandhi, che l’India considera "il Padre della Patria" (o, piu’ familiarmente, "papa’", bapu), "la grande anima", Mahatma. Era nato il 2 ottobre 1869 a Portbandar, nella casta dei mercanti ("droghieri", come indica il nome Gandhi) da un padre gia’ ministro di un governo locale e da una madre analfabeta, ma dal carattere forte e dalla profonda religiosita’ jaina. Sposato a 13 anni, secondo consuetudini indiane, da lui piu’ volte criticate, ad una coetanea, Kasturbai, le rimase sempre fedele, nonostante atteggiamenti di sospettosa gelosia e di maschilista autoritarismo, ammessi con molta semplicita’ nell’autobiografia (tradotta in italiano con il titolo La mia vita per la liberta’, Newton Compton). Dall’unione nacquero quattro figli: Harilal, Manilal, Ramdas e Devandas e nel 1906, all’eta’ di trentasette anni, d’accordo con la moglie, consultata pero’ solo all ’ultimo momento, Gandhi fece il voto di castita’ assoluta, per meglio ricercare Dio-Verita’ e praticare l’amore verso tutti (Brahmacharya).

Si era frattanto laureato in legge a Londra nel 1891 e stava compiendo numerosi "esperimenti con la Verita’" in Sudafrica, dal 1893 al 1914, combattendo contro la discriminazione razziale, di cui erano vittime in quel Paese neri e indiani. Negli anni londinesi, piu’ che i testi del dibattito culturale del tempo, come quelli di Darwin o di Marx, Gandhi conobbe la Bibbia e gli stessi testi sacri dell’induismo, per cui si puo’ dire con il famoso monaco americano Thomas Merton (1915-1968) - nell’importante introduzione ad un’antologia di scritti gandhiani, ora anche in italiano, per le edizioni Feltrinelli - che "Gandhi riscopri’ la propria tradizione e il proprio Dharma" attraverso il confronto con la tradizione biblica e con quella di autori cristiani (Ruskin, Tolstoj, Thoreau, ecc.).

Fu all’inizio della sua lotta contro il razzismo inglese che Gandhi adotto’ il termine di Satyagraha (fermezza nella verita’) che esprimesse in positivo la volonta’ di azione e di lotta nonviolenta rispetto ai termini di "disobbedienza civile" o di "resistenza passiva" o allo stesso termine indiano Ahimsa. Nel 1914 abbandono’ il Sudafrica per l’Inghilterra, dove - anche in vista di riconoscimenti sempre piu’ decisi dell’autonomia dell’India - non esito’ ad invitare i suoi connazionali ad arruolarsi nell’esercito britannico, gia’ impegnato nella prima guerra mondiale, che avrebbe poi definito "orgia fraticida negatrice di ogni valore cristiano", contrapposta a Cristo e al suo "puro stile di vita", per la quale "molti Cristi dovevano offrire se stessi in sacrificio sul terribile altare dell’Europa".

Seguirono le varie lotte in India contro gli inglesi negli anni del primo dopoguerra, con periodi di carcere ("gli alberghi di Sua Maesta’"), fino alla famosa "marcia del sale" (dal 12 marzo al 6 aprile 1930), con migliaia di indiani uniti a lui per percorrere a piedi circa 400 chilometri fino alla spiaggia di Dandi, dove Gandhi compi’ l’atto simbolico di raccogliere l’acqua marina in un secchio e farla evaporare per rivendicare la proprieta’ indiana del sale. Segui’ un nuovo periodo di prigione fino al patto del 4 marzo 1931, che consenti’ almeno alle popolazioni costiere di estrarre il sale, oltre a revocare altre misure repressive e a liberare molti prigionieri. Ci fu poi il "Programma costruttivo" fra gli anni 1933 e 1939, fino alla seconda guerra mondiale, durante la quale Gandhi fu investito di pieni poteri dal Congresso per attuare campagne di lotta nonviolenta, diffuse a livello individuale, in nome dell’indipendenza indiana, con nuovi arresti e prigionie e con il nuovo forte impegno per iniziative che portassero ad un’intesa indo-musulmana, che evitasse la divisione dell’India.

Fu questo il motivo di fondo delle sue ultime lotte, destinate al fallimento, perche’ lo stesso Congresso indiano fini’ per approvare la costituzione dei due Stati separati dell’India e del Pakistan. Proprio mentre con la parola, l’esempio, il digiuno tentava ancora una volta di riconciliare le due comunita’, fu colpito a morte con tre colpi di pistola da un giornalista indu’, "un fratello che non era riuscito a convincere", della casta dei brahmini, la sera del 30 gennaio 1948 a Nuova Delhi. Il Mahatma cadde al suolo giungendo le mani nel tradizionale saluto indiano (Pranam) e invocando il nome di Dio ("He Ram!").

Tratto da
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
Supplemento settimanale del martedì’ de
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Numero 144 del 4 febbraio 2008



Mercoledì, 06 febbraio 2008