Testimoni del nostro tempo
QUATTRO PADRI

di Raniero La Valle

Dal sito http://www.giuseppebarbaglio.it/, un sito amico da conoscere e da visitare, Dalla sezione “Testimonianze” riprendiamo un articolo di Raniero La Valle

Nel giro di poche settimane, in questa prima parte del 2007, l’anno delle Grandi Delusioni, sono venuti a mancare quattro pilastri della Chiesa italiana, quattro Padri della Chiesa, potremmo dire. E la prima reazione è di sgomento: e adesso come facciamo? Non è la stessa cosa procedere senza di loro, siamo impoveriti, anche proprio come Chiesa, e altri non se ne vedono sorgere di eguali. E la seconda reazione è di dire: meno male che ci sono stati.

Il primo a morire è stato Giuseppe Barbaglio, un grande biblista innamorato di Paolo di Tarso e della sua folgorante relazione con Gesù di Nazaret; e innamorato anche di Gesù, di cui ha rifatto la storia come “ebreo di Galilea”, in modo tale da potersi affermare che dopo le sue ricerche conosciamo l’uomo Gesù come mai lo avevamo conosciuto prima; e questo ha fatto con rigore scientifico e fede, con libertà e fedeltà, cose che di rado vanno d’accordo, e che sono invece ben presenti e armoniose in tutte e quattro le persone che ci hanno lasciato.

Poi è morto mons. Luigi Sartori, il patriarca dei teologi italiani, senza il quale l’ecumenismo in Italia non sarebbe decollato, uomo di Chiesa e del Concilio, sempre più persuaso che il futuro della teologia e della fede stia nella grazia del pluralismo religioso.

La terza scomparsa è stata di una donna, e pochi se ne sono accorti perché già stava nascosta. Ma la Chiesa vera vive di mille e mille di queste persone che se ne stanno nascoste, ma sanno donare intelligenza e carità, leggere le Scritture e pregare come nessun altro mai, e che così generano (padri o madri che siano) e fanno crescere la Chiesa di tutti.

Si chiamava Maria Gallo, e quando l’ho conosciuta era una ragazza che studiava e amava come le altre di quella generazione. Poi ha scelto la vita monastica nella comunità di Dossetti, e ha continuato ad amare e studiare, per parlare in ebreo a Gerusalemme con gli ebrei, in greco nei monasteri ortodossi con i greci, in arabo con gli arabi in Palestina, leggendo e commentando i loro testi, dai “midrash” al Corano alla “Vita in Cristo” di Nicolas Cabasilas, ed elaborando i criteri di una “comunità fondata sulla Bibbia”.

Infine è venuto a mancare Giuseppe Alberigo, grande storico della Chiesa e dei Concili. Senza di lui il Concilio Vaticano II sarebbe stata un’altra cosa, perché non avrebbe potuto avvalersi di una edizione critica di tutte le decisioni dei precedenti Concili ecumenici, che egli predispose e pubblicò giusto in tempo prima del suo inizio; né il Concilio sarebbe stato agevolato nella ripresa del tema antico della collegialità episcopale, se egli non ne avesse dissodato il terreno con i suoi studi sull’episcopato, il cardinalato e i poteri nella Chiesa universale; né il Concilio né papa Giovanni avrebbero trovato chi subito ne mettesse insieme la portata storica, i documenti e la memoria, quando ancora freschi erano i ricordi e l’esperienza di quegli eventi.

Alberigo molto amava la Chiesa ed è morto “supplicando” l’episcopato italiano di non fare passi falsi e di non voler coartare la libertà dei parlamentari nelle sue incursioni nei problemi civili, ciò che definiva una “sciagura”. E novemila fedeli firmarono, d’accordo con lui. Per tutto questo “L’osservatore romano” non lo amava, mentre molto lo apprezzava il cardinale Ratzinger prima, Benedetto XVI poi, che in una recentissima udienza gli aveva confermato la promessa di lasciare al suo Istituto bolognese le carte personali relative alla sua partecipazione al Concilio.

Per Alberigo il punto vero non era che si dovesse fare la storia della Chiesa, ma che la Chiesa fosse storia. Il giornale vaticano invece ha continuato a preferire l’apologetica alla storia, molto disdegnando gli storici. Per questo attaccava Alberigo ad ogni suo libro sulla storia del Vaticano II che usciva; e da ultimo l’attaccò che già era in coma, col pretesto di una riedizione ampliata (e, secondo il giornale, troppo ampliata) delle decisioni degli antichi Concili. Erano passati i tempi in cui il quotidiano della Santa Sede parlava bene di lui, come quando, nel maggio 1971, pubblicò un articolo del grande Hubert Jedin, che riconosceva l’importanza del suo apporto alle elaborazioni del Concilio, sulla “linea genuina della tradizione”.

Ma degli ultimi sgarbi ecclesiastici, romani e bolognesi, Alberigo non ha potuto sapere; lo avrà saputo ora, quando però, accolto dall’amore di Dio, non ne poteva più essere ferito.


Raniero La Valle

Articolo tratto da:

FORUM (63) Koinonia

http://utenti.lycos.it/periodicokoinonia/



Martedì, 17 luglio 2007