Testimoni dello Spirito

Don Pino Puglisi: martire per amore

Pasquale Pirone

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Un segno perenne, ma oggi particolarmente eloquente della verità dell’amore cristiano è la memoria dei martiri. Non sia dimenticata la loro testimonianza. (Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium 13)

"C’è un aspetto particolare nei martiri dei nostri giorni: essi vengono uccisi non perché credono, ma perché amano; non in odio della fede, ma in odio dell’amore… Don Pino è stato ucciso perché la mafia non poteva tollerare l’amore con cui egli si dedicava a sottrarre i giovani alla strada e alla malavita… La testimonianza che Salvatore Grigoli, l’assassino di don Puglisi, ha reso pubblicamente dopo essersi convertito, conferma che, per estirpare la mafia non basta il coraggio delle forze dell’ordine… (o) i politici e i magistrati onesti… La forza per sconfiggere la mafia è l’amore, la carità alimentata dalla fede, che sola può trasformare le coscienze, cambiare la mentalità, la cultura e la vita." (padre Bartolomeo Sorge, gesuita, direttore a Palermo del centro "Pedro Arrupe")

"I cosiddetti poveri, quale che sia la causa della loro "povertà", non cessano di essere tali per il solo fatto che tutte le leggi siano osservate. Occorre fare della giustizia una pratica quotidiana, capace di consegnare a ciascuno quel che gli appartiene e gli occorre per vivere decorosamente. Don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio di Palermo… con il suo sacrificio, ha messo in crisi la criminalità organizzata non soltanto per la sua bontà, ma perché ha inteso e vissuto la legalità come giustizia. Giustizia che esce dalle pagine del codice, per cercare chi è in strada, per cercare chi è più solo, per incontrare i minori a rischio di devianza e di abbandono, per farsi carico di queste povertà offrendo loro alternative possibili. .. Chi ha sbagliato o è a rischio si vede sempre più spinto verso spirali di ulteriori errori, mentre noi - gli altri, i buoni – tendiamo a separarci rigidamente dai cattivi… fino a difendere la nostra sicurezza con una legalità che può sconfinare nello stesso linguaggio di chi sbaglia: la violenza" (Giancarlo Caselli, già procuratore della repubblica a Palermo)

Ma chi era don Pino? Figlio di un calzolaio, don Treppì, come lo chiamavano i suoi ragazzi, era nato a Palermo il 15 settembre del ’37 a Romagnolo, una borgata a pochi passi da Brancaccio, il quartiere di cui diventerà parroco e nel quale nascerà il suo assassino. Poco prima del diploma magistrale gli arriva la vocazione. E’prete a Palermo, nella borgata di Settecannoli, poi parroco a Corleone, nella frazione di Godrano. Sarà il cardinale Pappalardo a spostarlo a Brancaccio, nella periferia orientale della città. Il posto lo conosce bene, conosce bene la mentalità, la gente e il suo difficile modo di tirare avanti. Sa che il problema principale è il lavoro e che, sulla sua mancanza, la malavita mette facili radici con le sue allettanti proposte. La formazione, l’istruzione potrebbero far molto, ma a Brancaccio non c’è neppure la Scuola Media: a sei anni dalla sua morte aspetta ancora di essere inaugurata. Pino comincia allora a lavorare coi più giovani, coi ragazzi: è convinto di essere ancora in tempo per formarli e per dar loro dignità e speranza. Per i suoi "figli" fonda il Centro "Padre nostro". "Coi più piccoli – diceva – riusciamo a instaurare un dialogo. I più grandicelli sfuggono, sono attirati da altre proposte". Racconta il suo assassino: "Cosa nostra sapeva tutto. (Che andava) in Prefettura e al Comune per chiedere la scuola media e fare requisire gli scantinati di via Hazon. Sapeva del Comitato intercondominiale, delle prediche. C’era gente vicina a don Pino che andava in chiesa e poi ci veniva a raccontare." Il piccolo e mite prete comincia a dar fastidio. Lavora in silenzio, non fa clamore, non va sui giornali, ma scava nelle coscienze, costruisce legami, apre prospettive diverse. Cominciano allora gli "avvertimenti": una ad una vengono incendiate le porte di casa dei membri del comitato. Poi le minacce, sempre più dirette, e il pestaggio di un ragazzo del Centro. Ma ad ammazzare un prete, fino ad allora, la mafia non si era ancora spinta. La chiesa era, tutto sommato, un territorio ancora franco. Se ne poteva sperare comprensione, rifugio. Ma quel prete… Arriva allora la condanna. Il killer viene allertato. "Lo avvistammo in una cabina telefonica. Era tranquillo. Che fosse il giorno del suo compleanno lo scoprimmo dopo. Spatuzza gli tolse il borsello e gli disse: Padre, questa è una rapina. Lui rispose: Me l’aspettavo. Lo disse con un sorriso… Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso… Io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo ancora provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso, anche se faccio fatica persino a tenermi impressi i volti, le facce dei miei parenti. Quella sera cominciai a pensarci: si era smosso qualcosa".

Un anno fa, il 28 febbraio, il pubblico ministero Lorenzo Matassa chiudeva così la sua requisitoria al processo per la morte di don Pino: "Ricordate, giudici della Corte d’Assise, cosa raccontò "il cacciatore? L’assassino riferì che lo Spatuzza Gaspare gli sottrasse il borsello e s’impossessò delle marche della patente. Singolare assonanza con ciò che è scritto nel Vangelo secondo Giovanni, dopo la crocifissione di Nostro Signore Gesù: "Si sono divise tra loro le mie vesti". Ma questo Spatuzza Gaspare e i suoi corrèi non potevano saperlo".

Don Pino non ha scritto molto. Un suo intervento però ci rimane. L’aveva tenuto a Trento, due anni prima di morire. Il testo è di un’agghiacciante profezia: "La testimonianza cristiana è una testimonianza che diventa martirio. Infatti testimonianza in greco si dice martyrion. Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza." Essa servirà a dar fiducia "a chi, nel profondo, conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile… A chi è disorientato, il testimone della speranza indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza. La speranza è Cristo, e si indica logicamente attraverso una propria vita orientata verso Cristo".

Mentre scrivo, il presidente della Repubblica Ciampi è in visita a Palermo nei luoghi di don Puglisi: a Brancaccio, nel Centro di accoglienza "Padre nostro". Forse, dopo la conversione del suo assassino, don Pino farà il miracolo di far aprire la scuola. Ma uno, certamente, continua a farlo tutti i giorni: quello di additare ai credenti e agli uomini di buona volontà la via della "compromissione" e della "prossimità" coi fratelli. Da un seme che è morto sta nascendo la spiga.

 


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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