Testimoni  
Rosario Livatino
Dieci anni fa, il 21 settembre 1990, veniva barbaramente assassinato dalla mafia un giovane magistrato, un "giudice ragazzino". "Un martire della giustizia ed indirettamente della fede" lo ha definito Giovanni Paolo II .
Pasquale Pirone

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Il mondo di oggi ha bisogno di persone che abbiano amore

e lottino per la vita almeno con la stessa intensità

con cui altri si battono per la distruzione e la morte.

Gandhi

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

Perché saranno saziati…

Beati i perseguitati per causa della giustizia,

perché di essi è il Regno dei cieli.

Matteo 5,6.10

   
Quando venne ammazzato dalla mafia, giù nel vallone, braccato come un animale ferito, giovane magistrato Rosario Livatino lo era davvero: due settimane più tardi avrebbe compiuto solamente trentott'anni. "Giudice ragazzino" l'aveva battezzato invece il presidente della Repubblica, Cossiga, e non si era certo trattato di un complimento. Un battesimo collettivo, insieme agli altri suoi colleghi impegnati nella lotta alla corruzione ed alla delinquenza assassina:

"Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l'azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno? … Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un'autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l'amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta".

Parole dure, sprezzanti. Come altrettanto dure - e sprezzanti - erano state e saranno altre parole pronunciate in quegli anni - non solo da Cossiga - sui "preti fanatici", sui "sindaci protagonisti", sui "professionisti dell'antimafia": col risultato di scavare, tutt'intorno a quei "testimoni scomodi", a quegli uomini che non piegavano la testa e incitavano a non piegarla con il lavoro o con le parole, una trincea sempre più incolmabile di solitudine e di pericolo. Rosario Livatino apparteneva alla prima categoria: quella dei lavoratori schivi, servitori silenziosi e infaticabili della giustizia: che alle pubbliche dichiarazioni preferiva, per carattere e per convinzione, il quotidiano impegno al tavolo di lavoro, scrupoloso, ostinato e senza risparmio. Su quel tavolo, anzi, su quei due tavoli - che molto del lavoro Livatino se lo portava a casa, la sera - egli teneva un crocifisso ed un Vangelo. Non come un arredo spocchioso. Non come una dichiarazione di facciata: ma come un programma di vita. "STD" c'era scritto nella sua agenda, Sub Tutela Dei, sotto la tutela di Dio, ed era davvero così.

Aveva detto in un discorso: "Il compito del magistrato è quello di decidere. Decidere è scegliere e, a volte, scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni; e scegliere è una delle cose più difficili che l'uomo sia chiamato a fare… (Ma) è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio: un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio". E ancora: "Il sommo atto di giustizia è necessariamente sommo atto di amore se è giustizia vera, e viceversa se è amore autentico."

Il Vangelo sul tavolo era tutto annotato, segno di una frequentazione continua: un codice di vita, un impegno morale che dava senso al lavoro e sapeva sostenere nei momenti di sconforto. Tutte le mattine, dalla sua casa di Canicattì, raggiungeva il Tribunale ad Agrigento: prima però si riconfermava alla tutela di Dio e si fermava a pregare da solo, nella vicina chiesa di S. Giuseppe. "Non sapevo chi fosse - ricorda il parroco don Giuseppe Di Marco, oggi vicario diocesano - avevo solo capito che era un magistrato. Rimaneva per un po’ e poi se ne andava in silenzio."

Rosario era nato a Canicattì, la capitale dell'uva, la città dei mille sfottò calcistici, il 21 settembre 1952. Studi brillanti. Laurea in giurisprudenza con 110 e lode. Poi una seconda laurea in scienze politiche e intanto la trafila dei concorsi, come mille e mille, giovani del Meridione. Rosario ce la fa: a ventisei anni vince un posto da dirigente nell'Ufficio del Registro di Agrigento. Ci rimane però solo otto mesi, poi arrivano i risultati, brillanti, del concorso in magistratura. L'assegnazione ad Agrigento, terra benedetta e solenne, terra antica, culla di Pirandello ma anche terra di mafia e di violenza, gli permette di rimanere nella casa paterna, accanto agli amatissimi genitori, Vincenzo e Rosalia. Genitori tenaci che dopo nove processi per lui hanno anche dovuto pagare di tasca propria le spese giudiziarie. Genitori antichi, piante miti e robuste di Sicilia, che custodiscono oggi il suo ricordo e sul luogo dell'agguato mortale hanno fatto costruire per lui una piccola stele.

Ha scritto di recente la rivista dei Paolini Jesus per ricordarne i dieci anni dalla morte: "In questi dieci anni, sulla sua tomba, intere scolaresche da ogni parte della Sicilia e anche dal resto d'Italia sono andate in pellegrinaggio. Bigliettini, lettere, messaggi, fiori. Come mai tanta attenzione, si domanda il vescovo di Agrigento? "Viviamo in una società che esalta il pensiero debole, la morale debole ed il conformismo. C'è anche una fede debole; ci sono progetti educativi deboli. Ecco: da Rosario Livatino i giovani sentono di avere una risposta".

Mons. Carmelo Ferraro ne è tanto convinto che, a cinque anni dalla morte, decise di aprire la fase informativa del processo di beatificazione. Oggi la prima fase si è conclusa e si stanno vagliando con attenzione le sentenze giudiziarie del giudice, quelle pagine in cui è racchiuso il suo amore per la giustizia e per gli uomini.

Sub Tutela Dei, sotto la tutela di Dio.

 

Due libri sono stati dedicati a Rosario Livatino dalla sua professoressa di Lettere al Liceo, Ida Abate, Il piccolo giudice e Rosario Livatino. Resta fondamentale il libro dedicatogli da Nando Dalla Chiesa - il figlio di un'altra vittima della mafia, il prefetto di Palermo, gen. Carlo Alberto - Il giudice ragazzino. Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione, dal quale nel 1993 fu ricavato l'omonimo film con Giulio Scarpati e Sabrina Ferilli.

Negli ultimi mesi, alla vicenda Livatino si sono aggiunti due fatti nuovi: l'arresto ad Acapulco, in Messico, di uno dei mandanti del suo assassinio e le dichiarazioni di una signora di Pavia, Elena Valdetara Canale, che si dichiara guarita da un cancro incurabile per intercessione proprio del "giudice ragazzino". Impegnata nel volontariato cattolico, la signora è madre, oltre che di di due figlie naturali, di due figli adottivi, una bambina down e un bimbo focomelico. "Ci si può credere o non credere in questi miracoli - ha scritto di recente dalla Chiesa - ma certo l'aria che si respira nella stanza di viale Margherita (la casa dei Livatino) sembra essa stessa un miracolo, di fronte all'aria fetida che tira in questa Italia di fine secolo".


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996