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Giorgio la Pira: la difficile carità della politica

Pasquale Pirone

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"Sull'orizzonte del tempo presente spunta, nonostante tutto, la speranza cristiana. Una delle ultime riprove si ha nel meraviglioso fiorire di santità laica. Noi incrociamo per le strade coloro che fra cinquant'anni saranno forse sugli altari: per le strade, nelle fabbriche, al Parlamento, nelle aule universitarie"

Giorgio la Pira, Biografia del servo di dio Vito Necchi

Da alcuni anni, gli scritti di Giorgio la Pira sono praticamente scomparsi dagli scaffali delle librerie: quasi tutti non più stampati, uno solo, L'attesa della povera gente, riprodotto in una collana di studi universitari.

Certo, il partito unico dei cattolici in cui La Pira ha militato (e che a un certo punto lo ha messo da parte) oggi non esiste più. E gli scenari internazionali in cui si è mosso, e nei quali si è battuto da instancabile tessitore di pace, sono profondamente mutati: la Russia atea e monolitica è scomparsa. Ma tutto ciò non basta a spiegarne l'eclissi. Nuovi Vietnam, nuove sanguinose contrapposizioni hanno insanguinato il mondo; nuove guerre hanno confermato la barbarie delle bombe e l'urgenza della tolleranza e del dialogo fra i popoli. C'è stata Tangentopoli; e una nuova fame di moralità della politica. La disoccupazione non è stata sconfitta, anzi: avanzano nuove povertà e i cristiani sono ancora più fortemente interpellati da una necessità di impegno sociale, nel volontariato e nella politica.

Scrive La Pira ne Le città sono vive:

"Quando Cristo mi giudicherà, io so di certo che Egli mi farà questa domanda: Come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?

Nè potrò addurre, a scusa della mia inazione o della mia inefficace azione, le ragioni "scientifiche" del sistema economico. Abbiamo una missione trasformante da compiere: dobbiamo mutare - quanto è possibile - le strutture di questo mondo per renderle al massimo adeguate alla vocazione di Dio. Siamo dei laici: padri di famiglia, insegnanti, operai, impiegati, industriali, artisti, commercianti, militari, uomini politici, agricoltori e così via; il nostro stato di vita ci fa non solo spettatori, ma necessariamente attori dei più vasti drammi umani. Si resta davvero stupiti quando, per la prima volta, si rivela alla nostra anima l'immenso campo di lavoro che Dio ci mette davanti... Il nostro piano di santificazione è sconvolto: noi credevamo che bastassero le mura silenziose dell'orazione! Credevamo che chiusi nella fortezza interiore della preghiera, noi potevamo sottrarci ai problemi sconvolgitori del mondo; e invece nossignore... L' "elemosina" non è tutto: è appena l'introduzione al nostro dovere di uomini e di cristiani; le opere anche organizzate della carità non sono ancora tutto; il pieno adempimento del nostro dovere avviene solo quando noi avremo collaborato, direttamente o indirettamente, a dare alla società una struttura giuridica, economica e politica adeguata al comandamento principale della carità.

Abbiamo veramente compreso che la perfezione individuale non disimpegna da quella collettiva? Che la vocazione cristiana è un carico che comanda di spendersi, senza risparmio, per gli altri? Problemi umani, problemi cristiani; niente esonero per nessuno"

E in un convegno aveva detto:

"Facemmo la Costituzione. Fu un'esperienza interessante. Ma se ora faccio il confronto fra quella esperienza e l'esperienza di dopo al Ministero del lavoro e quella successiva come sindaco di una città, vedo che quando scrivevo certi miei articoli, molto belli, ero ancora un poco ingenuo, consideravo le cose da un punto di vista teorico. Al Ministero del Lavoro fui improvvisamente messo a contatto con le correnti dei lavoratori, occupati e disoccupati. E poi il problema si è allargato. Dovetti studiare i problemi a dimensione mondiale, per rendermi conto di cosa la disoccupazione fosse... Mi accorsi che si tratta di una patologia del sistema nazionale e internazionale, un grande fatto che ha una sua logica, una sua terapia. Cerco di dire: "Ma va, il mondo si aggiusta da sè... Poi penso al giudizio finale. Per quel giudizio sta scritto chiaramente così: "Ebbi fame e mi desti da mangiare, ebbi sete e mi desti da bere, fui senza tetto e mi hai ospitato, fui malato e mi hai visitato". Aggiungo: "Fui disoccupato e mi hai occupato"...

Quando colui che viene da me mi dice: "Lei è un sindaco?" "Sì" "Anche sottosegretario?" "Sì" "E allora perchè non si spara se non è capace di darmi il lavoro?" Sono cose che mi lasciano perplesso. Siamo invitati tutti a fare il nostro esame. C'è un testo di San Giovanni Crisostomo che dice: "Iddio chiederà conto di tutto il mondo, a te". E ciascuno di noi, nella posizione in cui si trova e soprattutto se appartiene alla classe dirigente, deve fare in modo che, fallita la precedente architettura liberale dello Stato, fallita quella comunista, si realizzi quell'architettura che fa di ogni Stato il membro della comunità degli Stati, e di tutti i problemi il problema di tutti gli uomini e della comunità degli uomini."

"Non è consentita al cristiano nessuna neutralità - aveva scritto già nel '39 in Princìpi - Se c'è un male, egli deve intervenire per porre riparo, per quanto è possibile, agli effetti dannnosi del male. Perchè altrimenti che senso avrebbe il precetto dell'amore? Se scorgo il fratello ferito dai ladroni, io sono tenuto a piegarmi amorevolmente presso di lui: devo intervenire per riparare alle conseguenze dell'odio. Cristo è intervenuto nel dramma doloroso dell'uomo: ed ha pagato questo intervento redentore con il sacrificio della croce.".


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

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