Testimoni del nostro tempo
Il Mahatma Gandhi sessanta anni dopo

di Federico Fioretto

[Dal quotidiano "Liberta’" di Piacenza, del 30 gennaio 2008, col titolo "Piacenza ricorda il Mahatma Gandhi 60 anni dopo" e il sommario "Sessant’anni fa, alle cinque del pomeriggio del 30 gennaio 1948, a Nuova Delhi, Gandhi, il Mahatma, fu assassinato da un fanatico indu’. Piacenza stasera lo ricorda alle 21 con un convegno".

Federico Fioretto, ricercatore e amico della nonviolenza, e’ vicepresidente dell’Associazione Ariel di Gazzola (Piacenza) e collaboratore dei "Quaderni Satyagraha"]


"Se muoio di una malattia lunga... sara’ vostro dovere proclamare al mondo che non ero l’uomo di Dio che pretendevo di essere. Se lo farete, darete pace al mio spirito. Se qualcuno dovesse porre fine alla mia vita trapassandomi con una pallottola, come qualcuno tento’ di fare con una bomba l’altro giorno, e io ricevessi la sua pallottola senza un gemito ed esalassi l’ultimo respiro invocando il nome di Dio, allora soltanto giustificherei la mia pretesa".

La sera del 29 gennaio 1948, venti ore prima di morire in quel preciso modo, Mohandas K. Gandhi cosi’ elevava la propria imminente morte a testimonianza di fede e dedizione al servizio dell’umanita’. Un uomo di preghiera, un servo di Dio, cosi’ chiedeva umilmente di essere ricordato.

Invece, nei sei decenni trascorsi dalla morte, Gandhi e’ stato arruolato in molte cause improprie e nominato a sproposito un numero incalcolabile di volte in India e nel mondo, anche in Italia.

Ma ha anche ispirato tanti movimenti di lotta per la liberta’ e la giustizia e persone straordinarie come Martin Luther King, per dirne uno; ancora oggi il suo ritratto viene esposto, a rischio della vita, in Birmania accanto a quello di Aung San Suu Kyi a simboleggiare la riscossa della Verita’ sull’oppressione per mezzo dell’amore. La pratica dell’amore oltre la sfera personale, come mezzo di rivoluzione sociale e politica, e’ la grande innovazione di Gandhi: il "porgere l’altra guancia" elevato a prassi collettiva per combattere l’ingiustizia.

Lo scopo e’ risvegliare nell’avversario, che non e’ mai un "nemico", l’anima buona che e’ in lui e giungere alla riconciliazione; la vera "arma" della nonviolenza e’ dunque l’offerta della propria sofferenza.

Forse per questo il premio Nobel Romain Rolland defini’ Gandhi "un altro Cristo". Il Mahatma (termine che, del resto, significa "colui la cui anima e’ uno con Dio") teneva sempre con se’ accanto alla Bhagavad Gita, testo fondamentale della sua religione, il Vangelo e il Corano; fu ucciso da un fanatico indu’ poiche’ questi, come i suoi mandanti, non poteva tollerare che Gandhi amasse i musulmani come gli indu’. Una "colpa", questa dell’equanimita’ verso ognuno dei nostri fratelli indipendentemente dalla loro religione, razza, sesso o nazionalita’, che dovremmo assumere tutti con gioia.

"Tutte le religioni sono vere; tutte contengono qualche errore; tutte mi sono quasi altrettanto care del mio induismo, poiche’ tutti gli esseri umani dovrebbero esserci cari come i nostri parenti piu’ stretti. La mia venerazione per le altre fedi e’ uguale alla venerazione per la mia". In un’epoca in cui tanti irresponsabili maitres a’ penser incitano allo scontro di civilta’, recuperare il pensiero radicalmente ecumenico di Gandhi si fa urgente; solo nel rispetto reciproco si trovano le vie della comunicazione e della comprensione indispensabili alla costruzione di una pace globale e duratura.

Di Gandhi va ricordata anche la dimensione di riformatore sociale ed economico, poiche’ se la sua nonviolenza e’ "La via che porta a Dio - che e’ Verita’", questo percorso passa anche dal ristabilimento di un ordine sociale egalitario e di un modello economico basato sulla convinzione che "Dio non crea mai piu’ dello stretto necessario, con il risultato che se qualcuno si appropria di piu’ di quanto abbia realmente bisogno egli riduce il suo prossimo in poverta’".

La convinzione dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, della sacralita’ delle risorse naturali e di tutti gli esseri viventi che Gandhi trae dal suo retaggio culturale e’ attualissima in un tempo nel quale la ricerca di un diverso equilibrio nel rapporto tra l’umanita’ e l’ambiente e’ vitale. Dove il profitto prevale sulla vita e l’ambiente e’ visto come una dispensa da saccheggiare per soddisfare la nostra ingordigia, e’ prezioso il richiamo di Gandhi alla vita semplice e all’assunzione piena della responsabilita’ sociale, rifiutando a qualunque costo di collaborare al male; poiche’ a tutto si puo’ rinunciare, ma "non alla Verita’ e alla Nonviolenza".

"Dopo che me ne saro’ andato, nessuno sapra’ rappresentarmi in modo completo. Ma un pezzetto di me sopravvivra’ in molti di voi. Se ciascuno pone la causa per prima e se stesso per ultimo, il vuoto sara’ riempito in larga misura".

Con la sua caratteristica umilta’, Gandhi indica come prendere il suo testimone: con l’impegno personale e l’abnegazione a favore dalla causa suprema: la Verita’.

In questo spirito si ricorda il sessantesimo della morte di Gandhi a Piacenza, tra questa sera e sabato 2 febbraio, con il convegno nazionale "Neotopia: la nonviolenza di Gandhi per la democrazia partecipata oggi": per porre le basi di una societa’ fondata sulla solidarieta’ e sul servizio, sulla condivisione e sul rispetto, sulla responsabilita’ e sull’impegno. Di questi tempi, una bella rivoluzione!

Ma questa e’ la via per fare dell’utopia della pace una "neotopia", cioe’ un luogo reale, fortemente voluto e costruito mediante progetti concreti, condivisi e partecipati da chi dovrebbe governare in democrazia: il popolo sovrano.

Tratto da
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
Supplemento settimanale del martedì’ de
La nonviolenza è in cammino

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Numero 144 del 4 febbraio 2008



Mercoledì, 06 febbraio 2008