ACHILLE ARDIGÒ: UNA VITA SPESA NELL’IMPEGNO E NELLA FEDELTÀ

di Agenzia Adista n. 65 del 27/09/2008

34596. BOLOGNA-ADISTA. Lutto nel mondo del cattolicesimo democratico per la scomparsa, lo scorso 10 settembre, in seguito ai postumi di un infarto, di Achille Ardigò, 87 anni, partigiano, sociologo cattolico – anzi “padre della sociologia cattolica”, come molti lo definiscono –, politico impegnato nella sinistra Dc di Giuseppe Dossetti prima e nell’Ulivo poi, sempre su posizioni di minoranza tanto sconfitte quanto profetiche. I funerali si sono svolti a Bologna, nella piccola chiesa di San Giuseppe – a due passi da casa sua – il 12 settembre, alla presenza di numerosi rappresentanti delle istituzioni e della politica, sia nazionali che locali, studiosi, collaboratori, ‘discepoli’ e gente comune. Grande assente la Curia bolognese, che del resto si era mantenuta a distanza di sicurezza già alle esequie di un altro illustre ‘dossettiano’ bolognese, lo storico Giuseppe Alberigo (v. Adista nn. 45 e 47/08).

Nato a San Daniele del Friuli nel 1921, Ardigò ha sempre vissuto e lavorato in Emilia Romagna e a Bologna dove, giovanissimo, partecipò alla Resistenza, collaborando anche al giornale clandestino dei partigiani cattolici bolognesi La punta, per cui – racconta il suo amico ed ex vice sindaco della città felsinea Luigi Pedrazzi - realizzò un memorabile reportage sulla strage nazifascista di Marzabotto (dove vennero massacrate 1.830 persone) spiegando - contro  l’omertà e le reticenze della stampa di regime - quello che era realmente accaduto a Monte Sole. Dopo la fine della guerra si avvicinò al gruppo di Cronache Sociali, fu consigliere comunale a Bologna e, anche grazie alla comune militanza nella Fuci, iniziò a collaborare strettamente con Dossetti (allora vicesegretario della Dc e grande oppositore da sinistra di Alcide De Gasperi) che proprio ad Ardigò affidò la preparazione del programma elettorale per le elezioni comunali del 1956, in cui lo stesso Dossetti – che nel frattempo aveva abbandonato la politica attiva – venne candidato, e sconfitto, dal comunista Giuseppe Dozza. Il “Libro bianco su Bologna” – così venne chiamato il programma elettorale dei dossettiani redatto da Ardigò –, nonostante la sconfitta elettorale, venne in parte adottato da Dozza e dalla giunta ‘rossa’, per le idee fortemente innovative in tema di decentramento amministrativo. Lo stesso Ardigò ha sempre ricordato quell’esperienza in Consiglio comunale come esempio di fruttuosa collaborazione fra forze politiche che si contrapponevano frontalmente, battezzandola “concordia discorde”.

Negli anni successivi Ardigò si dedicò maggiormente alla cultura e all’università: con Alberigo e Nino Andreatta fondò a Bologna prima la facoltà di Scienze Politiche, dove per decenni insegnò sociologia, ispirandosi al pensiero personalista di Emmanuel Mounier, e di cui fu preside dal 1970 al 1972; e poi promosse la scuola di specializzazione in Sociologia Sanitaria. E proprio alla sanità è legato il suo ultimo rilevante incarico istituzionale: commissario straordinario, dal 1994 al 2001, agli Istituti ortopedici Rizzoli di Bologna, lacerati da cruenti conflitti interni baronali e da anni di difficoltose amministrazioni, che riuscì a riorganizzare e a risanare vincendo pressioni e intimidazioni di ogni genere.

Uomo del Concilio – che visse accanto al card. Giacomo Lercaro, a Dossetti e a Raniero La Valle, allora direttore del quotidiano L’Avvenire d’Italia –, convinto sostenitore dell’autonomia del laicato, negli ultimi anni ha vissuto con qualche disagio la linea conservatrice impressa alla Chiesa dal card. Camillo Ruini (per quanto riguarda l’Italia), da Wojtyla e Ratzinger. Il Concilio, ebbe a dire Ardigò qualche anno fa in un’intervista a Repubblica (v. Adista n. 54/05), “fu un momento di grande comunione ecclesiale e di grande ispirazione divina, che cambiò profondamente il rapporto tra la Chiesa e il mondo”, ma “più tardi fu riassorbito”, tanto che oggi il card. Ruini sostiene che rappresentò una “continuità nella tradizione”. “Temo che anche questa rilettura normalizzante del Concilio – aggiunse – faccia parte del nuovo modo di interpretare il ruolo della Chiesa nella società”: da parte delle gerarchie è ormai “esplicita” la volontà di “scendere direttamente, in prima persona, sul terreno politico più operativo, quello dell’organizzazione, delle scelte tattiche, delle valutazioni di convenienza e opportunità, del fine che giustifica i mezzi”. I vescovi - sosteneva Ardigò - dovrebbero avere fiducia nel laicato, ma “se scendono in campo direttamente, vuol dire che non ne hanno più”: quello che “mi addolora è la sensazione che Ruini non abbia più stima nei laici credenti. Come se ci ritenesse tutti incapaci di ricavare norme di comportamento personali e opzioni politiche positive dai principi indicati dalla Chiesa. Noto con dispiacere che vescovi e cardinali si fidano, lusingandoli, molto più dei cosiddetti ‘atei devoti’, i Ferrara, le Fallaci, che dello spirito e della mente dei credenti. L’unica speranza è che il laicato cattolico ricordi di possedere un mandato, lo rivendichi e lo eserciti”. (luca kocci)

Articolo tratto da
ADISTA

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Martedì, 23 settembre 2008