In memoria di Luigi Piacenza, un genovese precolombiano

di don Paolo Farinella

[pubblicato su la Repubblica/Il Lavoro (locale) domenica 14 febbraio 2010, p. XVIIcon il titolo: «La lezione di Luigi Piacenza, scienziato lontano dai riflettori»
Oggi 14 febbraio 2010 ricorre l’anniversario del terzo mese dalla morte di un genovese che visse in silenzio e in silenzio morì: Luigi Piacenza, archeologo e botanico, studioso di civiltà precolombiane. Di lui sanno le persone che ebbero la fortuna di conoscerlo e i circoli scientifici che lo onorarono per la sua competenza e austerità di sapere. Io non l’ho conosciuto, ma ho incontrato la moglie, Maria Grazia Barbenghi, con la quale onoreremo il marito oggi con una Messa in San Torpete alle ore 10,00. Luigi Piacenza è legato alla civiltà «Nazca», una delle più fiorenti sviluppate in Perù  dal sec. I al VI d. C. (1400-800 anni prima di Colombo). Egli operò con l’equipe del prof. Giuseppe Orefice negli scavi di Cahuachi, che significa «luogo dove vivono i vedenti», centro cerimoniale della civiltà Nazca, di cui fece conoscere la flora e i resti vegetali presenti nelle strutture del «Centro cerimoniale» di quella civiltà. In medio oriente agli antipodi del mondo nel frattempo sorgeva il Cristianesimo. Lavorò in Messico e all’Isola di Pasqua, lasciando ovunque il segno e il risultato dei suoi lavori di classificazione dei reperti vegetali.
Il prof. Luigi Piacenza portò Genova nel mondo della scienza e della ricerca attraverso la solidità della sua sapienza e la dignità della sua riservata grandezza senza chiedere mai in cambio qualcosa. Visse scavando, catalogando e datando le civiltà precolombiane, a cui, in compagnia della moglie Maria Grazia, ha dedicato il meglio di sé e del suo sconfinato sapere. Ha studiato la flora delle Americhe come nessun altro e questa breve memoria vuole essere un debito di riconoscenza che si leva dalla sua città e dal cuore delle persone che lo hanno conosciuto e amano la cultura e la scienza per onorare un uomo che da Genova meriterebbe ben più di un semplice ricordo su un quotidiano. Attraverso gli scavi e lo studio, Luigi Piacenza ha saputo portare in vita civiltà viventi che noi ci ostiniamo stupidamente a definire «morte», perché i suoi studi hanno svelato i segreti nascosti di una civiltà precolombiana, ricostruendone la dieta, l’habitat, i rituali  e anche il senso, la portata e la profondità di tutto questo.
Uomo umile, lavorò sempre per amore della scienza e mai per vanagloria e così morì stroncato non dal caldissimo sole precolombiano o dalle grotte e dai cunicoli che esplorava, ma da un male inesorabile che ne minò la fibra e la forza.  Penso che la sua vita sia stata la parola migliore che egli abbia detto e ciò che lascia potrà essere utilizzato da altri perché il nostro mondo possa  crescere nella conoscenza della nostra storia che è grande come l’umanità intera. Nessun rimpianto, solo la certezza che sono le persone come Luigi Piacenza a reggere le sorti del mondo: senza grida, senza lamenti, senza palcoscenico lavorano in profondità, a quelle dimensioni dove solo le persone vere sanno stare perché non si sentono onnipotenti, ma parte di un tutto e umili servi della scienza.
Uomo sapiente seppe fare dello studio e della ricerca il senso della sua vita, insegnandoci che l’archeologia non è solo scienza del passato che porta alla luce vite e mondi nascosti, attraverso oggetti di uso comune, ma anche un metodo per leggere la nostra vita che si fonda su tre pilastri: scavare, catalogare e datare. Tre attività che ognuno di noi dovrebbe realizzare contemporaneamente per vivere una vita armonica e completa. Luigi Piacenza, archeologo e botanico, umile come sempre, anche in silenzio ci dice che l’archeologia è sì una scienza, ma anche un simbolo  e un mistero: simbolo dell’animo umano assetato di conoscenza e mistero di storia che emerge dagli abissi della vita. Faccio un appello alla Sindaco perché trovi un modo per onorare questo figlio di Genova che «ha illustrato» la sua città all’insaputa di tutti. Un rado esempio di gigante nel cuore del deserto della vanità.
 
Paolo Farinella, prete
Parrocchia S. Torpete - Genova


Mercoledì 17 Febbraio,2010 Ore: 12:09