Molti schindler: dunque si poteva resistere al nazismo

Parte seconda e conclusiva


di Enrico Peyretti

[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey@libero.it) per averci messo a disposizione questo suo scritto fin qui inedito e piu’ volte aggiornato. Enrico Peyretti e’ uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu’ nitidi della cultura e dell’impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la’ del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall’albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e’ pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e’ disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e’ in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e’ nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu’ ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e’ nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario]


3. Gli "altri Schindler"

Veniamo ora a quelli che fecero come Schindler, o magari anche di piu’, se consideriamo il numero di ebrei salvati e le condizioni in cui i salvatori agirono. Ci sono, questi "altri Schindler", ci sono. Con questo nome ci riferiamo unicamente a chi, dentro e contro la persecuzione razziale, salvo’ ebrei. Non ci riferiamo ad altre azioni di protezione e aiuto dato a popolazioni occupate, o azioni di resistenza ad altre forme di violenza. Essi sono tedeschi - anche militari - e non tedeschi, operarono in zone sotto dominio nazista, oppure sotto la sua minaccia, oppure resistettero con forza agli effetti di quella violenza razzista, che arrivavano anche in paesi neutrali. Il grande interesse dell’opinione pubblica attorno al film di Spielberg ha fatto ricordare storie simili o scoprirne di nuove. Non faccio altro che presentare alcune schede sintetiche, in ordine casuale, rinviando alla stampa anche non specialistica che, in questa occasione, ne ha parlato. Ringrazio gli amici che mi hanno fornito parte delle fonti d’informazione. Infine, presento alcuni dati generali.

- Giorgio Perlasca (1910-1992), italiano, agi’ a Budapest, spacciandosi per il console spagnolo, che era fuggito. Salvo’ cosi’ da 5.200 a 6.000 ebrei riparandoli nella "casa rifugio" extraterritoriale, sfornando documenti falsi, trovando cibo per tutti, strappando ragazzi dal "treno della morte". Era stato fascista e aveva combattuto in Spagna da quella parte. Divenuti noti i fatti dopo quasi mezzo secolo, e’ stato riconosciuto "uomo giusto" in Israele (7).

- Gino Martinoli, italiano (di cui parla Natalia Ginzburg in Lessico famigliare), ingegnere dirigente della Olivetti di Ivrea, sottrasse al carcere e alla deportazione 800 antifascisti, tra cui molti ebrei, facendoli passare per impiegati della Olivetti (azienda protetta perche’ lavorava per i tedeschi). Nato nel 1901, ha ricoperto molti importanti incarichi industriali, e’ morto il 26 dicembre 1996 (8).

- Paul Grueninger, svizzero, gendarme alla frontiera con l’Austria, chiusa dalla Svizzera agli ebrei in fuga dopo l’Anchluss, nel 1938, perche’ - dissero - "la barca e’ piena". Grueninger lascio’ entrare illegalmente in poche settimane 3.000 ebrei. Fu aiutato dalla complicita’ di alcuni colleghi, ma si assunse tutta la responsabilita’. Condannato, perse il lavoro e la pensione. Fu riabilitato politicamente solo dopo la morte, nel 1993 (9).

A questo proposito merita segnalare il discorso tenuto dal Presidente della Confederazione Elvetica, Kaspar Villiger, davanti alle Camere federali, il 7 maggio 1995, in occasione del cinquanesimo anniversario della fine della guerra (10). Il Presidente svizzero riconosce che "neppure la Svizzera ha sempre agito come avrebbero richiesto i suoi ideali", ammette che la piccola Confederazione si salvo’ con cooperazioni e concessioni parziali alla Germania (successivamente, fra il 1996 e il 1997, sono emerse rivelazioni sulla ricettazione compiuta da banche svizzere di denaro e beni sottratti dai nazisti agli ebrei). "Malgrado tutta la comprensione per le difficili circostanze di allora, non possiamo ignorare che anche la Svizzera si e’ macchiata di colpe". In particolare, c’e’ un fatto che si sottrae a qualunque giustificazione: "Si tratta dei molti ebrei che, respinti alla frontiera svizzera, andarono incontro a morte certa. La barca era veramente piena?". Questa domanda e’ sviluppata da Villiger in un vero esame di coscienza nazionale. Poi il presidente, dopo aver ricordato che "molte svizzere e molti svizzeri contribuirono a salvare migliaia di profughi ebrei, assumendosi il rischio di conseguenze personali", sembra alludere non solo a Grueninger, ma ad altri casi analoghi, quando dice: "Alcuni di loro furono addirittura puniti per questo, ma seguirono valori etici che piu’ tardi sono diventati fondamenti del diritto internazionale e svizzero d’asilo". Su questi casi Villiger conclude: "Non possiamo piu’ correggere sentenze che ai nostri giorni sembrano incomprensibili: possiamo pero’ offrire alle persone interessate il riconoscimento morale che e’ loro dovuto". Abbiamo detto della riabilitazione politica. Successivamente, si e’ avuta notizia che il processo per la riabilitazione giuridica si e’ celebrato in pochi giorni e concluso il 30 novembre 1995 (due anni dopo la morte di Grueninger): il presidente del tribunale del distretto di San Gallo ha sentenziato che "Paul Grueninger ha salvato numerose vite e dunque non ha violato alcuna legge" (11).

- Karl de Bavier, svizzero, console a Milano, concesse il visto d’ingresso a 1.600 ebrei, prima che lo fermassero (12). - Imhof, svizzero, console a Venezia, diede lo stesso aiuto ad almeno 500 ebrei (13).

Hans Georg Calmeyer, tedesco, si fece assumere nell’amministrazione civile tedesca nell’Olanda occupata e arrivo’ proprio a capo di un ufficio per gli affari razziali, allo scopo di sabotare la persecuzione degli ebrei, che aiuto’ in molti modi. Sono documentati 2.899 casi di ebrei da lui salvati, ma probabilmente furono quasi 5.000. Provo’ rimorso per non aver fatto di piu’. Nella Germania democratica soffri’ isolamento e disprezzo, mentre vedeva i persecutori di ebrei ritrovare agiatezza e ruoli sociali (14).

- Anton Schmid, tedesco, maresciallo della Wehrmacht, responsabile dei lavoratori forzati ebrei, pare che si facesse pagare dagli ebrei che salvava. Probabilmente quei soldi gli occorrevano per corrompere, come faceva Schindler. Fu riconosciuto "giusto" dallo Jad wa-Schem di Gerusalemme dopo lunga esitazione, ma era stato fucilato dai nazisti come traditore il 2 aprile 1942 (15).

- Maria Helena Francoise Isabel von Maltzan, contessa tedesco-svedese, personalita’ anticonformista, di famiglia nazista, fu attiva nella resistenza antinazista a Monaco. Nascose, nutri’ e curo’ piu’ di 60 ebrei in casa propria a Berlino. Vissuta in difficolta’ nella Germania democratica, aveva 85 anni nel 1994 (16).

- Donata e Eberhard Helmrich, coniugi tedeschi, lui ufficiale della Wehrmacht, aiutarono gli ebrei fin dalla "notte dei cristalli" del 9 novembre 1938. In vari modi ne salvarono almeno 100. Anche per loro il dopoguerra fu amaro, mentre tornavano sulla scena tanti vecchi nazisti (17).

- Berthold Beitz, tedesco, ha vissuto la storia piu’ simile a quella di Schindler: anche lui dirigeva una fabbrica in Polonia e impiegava lavoratori ebrei che proteggeva per semplice umanita’. Arrestato nel ’43, scampo’ alla condanna a morte per un colpo di fortuna. Unico tra questi "eroi silenziosi", ha fatto carriera dopo la guerra, fino a divenire presidente della Fondazione Krupp, il colosso dell’acciaio (18).

- Raoul Wallenberg, giovane diplomatico svedese, salvo’ 100.000 ebrei ungheresi (19). Questo risulta il numero piu’ alto, per quel che cio’ puo’ significare. Anche a lui e’ stato dedicato un film, presentato nel 1992 a Berlino. Wallenberg scomparve misteriosamente in qualche parte dell’Unione Sovietica. Si puo’ giustamente definirlo il primo martire del diritto d’ingerenza umanitaria (20). Operando col piu’ ampio mandato del suo governo e disponibilita’ di mezzi anche di fonte statunitense, precisamente allo scopo di salvare gli ebrei, proprio a Budapest dove imperversava addirittura Eichmann per sterminarli, Wallenberg adempi’ il compito che con slancio aveva accettato, con una determinazione, un coraggio fisico, una inventiva inarrestabile, un’astuzia inesauribile e romanzesca, un’abilita’ di manovra fra ungheresi e tedeschi, una franchezza assai poco "diplomatica", una totale assenza di rassegnazione all’eliminazione anche di un solo ebreo, una liberta’ e spregiudicatezza nel far prevalere del tutto le ragioni umane sulle regole politiche e diplomatiche, tutte doti tali che riempiono di grande ammirazione. La sua azione principale consistette nel rilasciare migliaia e migliaia di passaporti svedesi di protezione a qualunque ebreo, e nel difenderne accanitamente il valore, arrivando a strappare fisicamente dai treni della deportazione quanti piu’ ebrei poteva. La sua determinazione riusci’ a far revocare, alla vigilia dell’arrivo dell’armata rossa, l’ordine di distruzione del ghetto dato dal comando tedesco. Si calcola cosi’ che, tra il suo arrivo a Budapest (9 luglio 1944) e la liberazione della citta’ ad opera dei russi (12 gennaio 1945), Wallenberg abbia salvato la vita di circa 100.000 ebrei. L’ammirazione e’ piu’ grande se si pensa che, mentre aveva salvato dallo sterminio i condannati con migliaia di passaporti, non penso’ a salvare se stesso e all’arrivo dei russi non aveva predisposta una documentazione che lo proteggesse. Cadde quindi in sospetto di collaborazionismo, agli occhi dei sovietici, perche’ aveva promesso ripetutamente il riconoscimento svedese al governo ungherese che cercava di sottrarsi alle pressioni naziste, allo scopo di averne l’aiuto, che infatti piu’ volte ottenne, nel salvataggio degli ebrei. La sua scomparsa all’interno dell’Unione Sovietica (ucciso? impazzito? morto naturalmente?), senza che sia mai venuto un chiarimento convincente, costituisce un mistero internazionale, indagato da Vecchioni nella seconda parte del suo libro.

- Chiune Sugihara, console giapponese a Kaunas, in Lituania, con azione simile a quella di Perlasca e di Wallenberg, salvo’ almeno 6.000 ebrei (qualcuno calcola anche 10.000) tra la fine di luglio e la fine di agosto 1940, rilasciando, contro l’eplicito e ripetuto divieto del proprio governo, visti di transito ad ebrei polacchi in fuga, dopo l’occupazione nazista del loro paese (21). Bisogna dire che la Lituania non era soggetta all’impero nazista, ma indipendente, finche’ non fu occupata e annessa all’Unione Sovietica proprio in quelle settimane, il 3 agosto. Pero’ il Giappone era alleato della Germania ed ogni aiuto agli ebrei era un atto ostile allo stato nazista. Percio’ l’azione di Sugihara, che segui’ la coscienza contro l’ordine del suo governo, era un’autentica resistenza alla violenza razziale. Scrive la moglie: "Egli diceva che quello che deve primeggiare tra gli uomini e’ l’amore e l’umanita’. Per conformarsi a questi ideali, egli disobbedi’ al suo governo". E rischio’ non poco: "Mio marito ed io sapevamo perfettamente che un’azione come questa rischiava di attirare su di noi la Gestapo". Espulso dai sovietici, il primo settembre parte con la famiglia per Berlino e arriva infine in Romania, come console. Finita la guerra e rientrato dopo un penoso periplo in Giappone, e’ subito dimesso con disonore dal servizio diplomatico, per aver disobbedito. Vive di vari mestieri. Nel 1968 e’ riconosciuto da uno degli ebrei salvati, consigliere nell’ambasciata di Israele a Tokio. Nel 1985 il governo israeliano gli conferisce la medaglia di "giusto tra le nazioni", titolo riconosciuto per la prima volta ad un giapponese. Ma Sugihara e’ malato e muore il 31 luglio 1986. Un busto in suo onore e’ eretto nel parco della sua citta’ natale, Yaotsu; una via e’ dedicata al suo nome nella citta’ lituana di Vilnius; a questo punto il governo giapponese, in fretta e in tono minore, riabilita Sugihara, senza una parola di scuse. Non era gradita all’ufficialita’ la memoria di un uomo che aveva reso onore al suo paese con la disubbidienza.

- Non includiamo in questo elenco aperto le azioni collettive di difesa degli ebrei perseguitati dai nazisti (22), per limitarci agli "altri Schindler", come ci siamo proposti. Ma, nel quadro dell’assistenza dei danesi agli ebrei, merita un cenno Georges Ferdinand Duckwitz, tedesco, addetto all’ambasciata in Danimarca. Saputo del progetto di cattura degli ebrei danesi, Duckwitz, dopo aver tentato di impedirla con interventi in Danimarca, in Germania, in Svezia, avviso’ segretamente i dirigenti della Resistenza danese (23). E’ pur vero che altri tedeschi giudicavano un errore quell’operazione, data la rischiosa tensione tra popolazione danese ed occupanti, e percio’ non e’ chiaro se la motivazione di Duckwitz fosse principalmente umanitaria, in disobbedienza al suo governo, o addirittura concordata col plenipotenziario Werner Best (24). Il contatto con la Resistenza fu comunque un atto illegale, rischioso e coraggioso, che salvo’ molti ebrei.

- Infine, diversi nomi, anche molto noti, alcuni dei quali pagarono con la vita, come Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo luterano, vengono ricordati dallo storico della Resistenza tedesca Peter Hoffmann come organizzatori di una rete clandestina di solidarieta’ con gli ebrei o con altri perseguitati, che venivano aiutati a fuggire dal paese (25). Registro qui con tristezza il fatto, testimoniato a Torino il 17 ottobre 1996 da Jacques Semelin, reduce da un giro di conferenze in Germania: Dietrich Bonhoeffer, a quella data, non era stato ancora riabilitato nel suo Paese.

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Questo modesta raccolta e’ di natura sua incompleta, per fortuna. E’ bastata la proiezione televisiva su Raiuno del film Schindler’s List, la sera del 5 maggio 1997, visto da 12 milioni di spettatori, perche’ sui giornali comparisse notizia ancora di "altri Schindler".

"La Stampa" del 7 maggio da’ questa notizia (con piccolissima evidenza): "Due Schindler italiani", cioe’ due preti salesiani, don Francesco Antonioli e don Armando Alessandrini, sono stati premiati, alla memoria, dall’ambasciatore d’Israele a Roma per l’accoglienza che dettero a giovani ebrei durante l’occupazione nazista nella scuola di cui erano responsabili. Nello stesso giornale, lo stesso giorno, compare una intervista di Guido Davico Bonino a Nuto Revelli. Lo scrittore annuncia che sta preparando un libro su un prete cuneese, Raimondo Viale (1907-1984), antifascista, condann ato al confino, partigiano, che si prese cura di circa 350 ebrei polacchi, francesi, tedeschi, sconfinati dalla Francia nelle montagne cuneesi, e li protesse uno ad uno. Il libro di Revelli e’ poi uscito dall’editore Einaudi nel 1998 (26).

Un altro caso emerge col tempo: nel 1998 esce il libro di Gabriele Nissim, L’uomo che fermo’ Hitler, edito da Mondadori (una anticipazione su "La Stampa", 7 aprile 1998, in un articolo di Gustaw Herling; una intervista all’autore di Carmela Marsibilio su "Il Segno", settimanale di Bolzano 21 novembre 1998). Il libro racconta la vicenda di Dimitar Peshev, ministro della Giustizia e poi vice-presidente del Parlamento bulgaro, uomo di destra (come Giorgo Perlasca), che condusse un’offensiva politica nel Parlamento e nel paese contro il piano segreto del re Boris e del governo di Filov, antisemita, di accondiscendere alle pressioni tedesche per la deportazione dei cinquantamila ebrei bulgari, benvoluti nella societa’ e difesi dalla Chiesa ortodossa. Peshev perdette la sua carica politica, ma svento’ la deportazione. Fu condannato dai sovietici che occuparono la Bulgaria come politico reazionario (vedi l’analoga sorte di Raoul Wallenberg) a quindici anni di prigione, ridotti ad un anno e mezzo, e mori’ povero ma libero. Nissim sottolinea che Peshev "e’ stato l’unico personaggio politico di un paese filotedesco che, dopo essersi fatto abbagliare dal nazismo e avere sottoscritto le leggi razziali, ha capito l’insensatezza di quel regime e ha compiuto uno di quei miracoli che hanno cambiato la storia" (27).

L’azione personale di Peshev e’ innegabile, ma si inserisce in una molto significativa azione di massa della popolazione bulgara in difesa degli ebrei, come risulta dalle pagine dedicate da Jacques Semelin al caso bulgaro nella sua opera specifica Senz’armi di fronte a Hitler (pp. 172-175), gia’ citata (si veda qui la nota 22).

E’ significativo che si continui a scoprire persone che, a loro rischio, aiutarono gli ebrei contro i piani nazisti di sterminio. "La Stampa" del primo luglio 1999 da’ qualche notizia su Bill Barazetti, cittadino svizzero, che aveva studiato ad Amburgo all’inizio del periodo nazista. Avendo capito le intenzioni di Hitler, si dedico’ ad aiutare gli ebrei a fuggire dalla Germania, mentre lavorava come spia per conto della Cecoslovacchia minacciata. Catturato, quasi ucciso a percosse, riusci’ avventurosamente a fuggire in Polonia, quindi in Cecoslovacchia. Qui, nel 1938, organizzo’ un treno per l’Inghilterra di 663 bambini e giovanetti ebrei, protetti da documenti perfettamente falsificati, procurati da Barazetti. I bambini si salvarono tutti. Barazetti non parlo’ mai a nessuno, neppure ai suoi quattro figli, di quella sua impresa. Solo nel 1992 una studiosa, quasi per caso, scopri’ la parte da lui avuta in quel salvataggio. Nel 1999 Barazetti aveva 85 anni, viveva malato e povero a Horn-Church, nell’Essex, Inghilterra. Si e’ fatto vivo per chiedere aiuto ad uno dei bambini allora salvati, Hugo Marom, ex-pilota da caccia, il quale si e’ messo alla ricerca degli altri bambini di allora, dai quali raccogliere fondi per sostenere la vecchiaia del loro salvatore (28).

Il francescano polacco Massimiliano Kolbe, ucciso ad Auschwitz il 14 agosto 1941, e’ molto noto per essersi offerto di morire in luogo di altri selezionati per la morte, padri di famiglia. Meno noto e’ il fatto che fu arrestato a Niepokalanow per aver dato rifugio a centinaia di ebrei destinati al campo di sterminio (29).

Giovanni Palatucci, poliziotto ricco di sensibilita’ umana, responsabile dell’ufficio stranieri della questura di Fiume, tra il 1937 e il 1944 salvo’ da tremila a cinquemila ebrei, falsificandone i documenti. Scoperto da Herbert Kappler e deportato a Dachau, matricola 117826, vi mori’ nel 1945 a trentasei anni. Il libro che narra la sua storia ci da’ anche i nomi di alcuni suoi collaboratori: Americo Cucciniello, Alberino Palumbo, Feliciano Ricicardelli, ma tace sui tanti funzionari di polizia che, nella repubblica di Salo’, collaborarono coi tedeschi (30).

Un altro libro di Gabriele Nissim, racconta la storia di Moshe Bejski, lui stesso ebreo salvato da Schindler, che e’ stato dal 1970 al 1985 presidente della Commissione dei Giusti dello Jad wa-Schem, ed ha abolito la graduatoria morale che prima veniva stabilita tra i Giusti, salvatori di ebrei, ricordati a Gerusalemme. Fu lui a fornire al regista Spielberg i documenti su Schindler e a perorarne l’inclusione tra i Giusti, nonostante qualche sregolatezza personale (31). Un quotidiano, nel darne notizia, ricorda altri nomi di salvatori di ebrei, rintracciati e registrati da Bejski, qui non ancora menzionati: Aristide Sousa Mendes, console portoghese a Bordeaux nel ’40, cacciato senza pensione per avere stampato migliaia di visti; Armin Wegner, intellettuale tedesco, che nel ’33 scrisse a Hitler rimproverandogli la persecuzione degli ebrei, quindi imprigionato, frustato per cinque mesi, abbandonato da tutti; una prostituta polacca, che andava coi nazisti, ma nascondeva in casa alcuni ebrei (32).

Il film Il pianista, di Roman Polanski, in programmazione nel 2002 e 2003, racconta una storia vera: nella Varsavia occupata e violentata, sul finire della guerra, un capitano dell’esercito tedesco scopre Wladyslaw Szpilman (protagonista del film), famoso musicista ebreo di radio Varsavia, sfuggito alla deportazione e nascosto in una soffitta. Il capitano gli chiede di suonare, e’ commosso dalla sua musica, lo aiuta a sopravvivere fino all’arrivo dei russi. Il capitano tedesco si chiama Wilm Hosenfeld, e morira’ nel 1952 in un campo di prigionia sovietico. Il libro, scritto nel 1946 dallo stesso Szpilman (33), nell’edizione italiana contiene diciotto pagine di estratti dal diario del capitano Hosenfeld (pp. 209-226), tra il gennaio 1942 e l’agosto 1944, in cui egli registra senza mezzi termini le violenze naziste su oppositori politici interni e su popolazioni occupate, parla con precisione, gia’ nell’aprile ’42, di cio’ che avviene ad Auschwitz, non crede alla vittoria tedesca perche’ "l’ingiustizia alle lunghe non puo’ prevalere" e perche’ "ora noi abbiamo sulla coscienza sanguinosi crimini a causa delle orribili ingiustizie commesse nell’assassinare i cittadini ebrei". Sente riferire questi fatti, a cui non partecipa direttamente, ma stenta a credervi. Se questo e’ vero, considera un disonore essere un ufficiale tedesco. Chiama pazzi, canaglie, bestie, i tedeschi che fanno queste cose. "Come siamo codardi a pensare innazitutto a noi stessi e a permettere che cio’ accada. Dovremmo essere puniti per questo. (...) Noi permettiamo che vengano commessi simili crimini, rendendocene complici". Attribuisce queste crudelta’ all’allontanamento da Dio. Apprende e descrive con orrore i particolari delle deportazioni a Treblinka. E’ a conoscenza di parecchi ebrei nascosti in Varsavia. "Ho capito con assoluta certezza che avremmo perso la guerra perche’ ormai non aveva piu’ senso" e ritiene che sia ormai "una guerra totalmente condannata dall’intera nazione". Riferisce tra virgolette la testimonianza (l’ha avuta personalmente?) di un ebreo sulle violenze subite. E’ "un’onta che non potra’ mai essere cancellata, e’ una maledizione dalla quale non ci libereremo mai. Non meritiamo alcuna pieta’. Siamo tutti colpevoli. Provo vergogna ad andare in citta’. Qualsiasi polacco ha il diritto di sputarci addosso. (...) Ogni giorno che passa mi sento peggio". Si pone la stessa domanda che si ponevano gli ebrei nei lager: "Perche’ Dio non interviene?" e risponde che l’umanita’ e’ abbandonata al male perche’ ha abbracciato il male. "Quando i nazisti sono saliti al potere non abbiamo fatto nulla per fermarli. Abbiamo tradito i nostri ideali (...) e ora noi tutti dobbiamo accettarne le conseguenze". Registra le disfatte militari e la demoralizzazione. Ma la popolazione tedesca, che egli crede in maggioranza ormai contraria al regime, e’ impossibilitata a ribellarsi, e l’esercito "e’ disposto a lasciarsi condurre alla morte". "Abbiamo usato metodi mostruosi (...) tutto e’ andato perduto".

La personalita’ di Hosenfeld, il suo animo e la sua azione risultano illustrati nel libro meglio che nella breve parte finale del film. Il capitano insegna a Szpilman come meglio nascondersi, gli dice che si vergogna di essere tedesco. Szpilman lo definisce "l’unico essere umano con indosso l’uniforme tedesca che io abbia mai conosciuto". Nell’appendice al libro (pp. 227-239), scritta di recente da Wolf Biermann, si apprende che Hosenfeld, che aveva gia’ fatto la prima guerra mondiale, era nella vita civile un insegnante elementare generoso, gentile, tenero coi suoi alunni, affettuoso e materno con i bambini in difficolta’. In Polonia aveva gia’ salvato un ragazzino dalla fucilazione, rischiando la propria vita; poi un giovane ebreo, Leon Warm, fuggito dal treno dei deportati, assumendolo sotto falso nome al proprio servizio. Aveva anche comperato scarpe e cibo per i bambini polacchi. All’inizio dell’occupazione tedesca, Hosenfeld, pregato dalla moglie di Stanislaw Cieciora, soldato polacco fatto prigioniero, lo aveva fatto liberare ed era diventato amico di questa famiglia, che frequento’, andando anche a messa insieme a loro. Salvo’ anche un prete loro parente, impegnato nella resistenza polacca, e cosi’ un loro conoscente, il signor Koschel. Hosenfeld, dalla prigionia russa, dopo la guerra, scrisse alla moglie un elenco di ebrei e di polacchi da lui salvati, in cui il quarto nome era quello di Szpilman. Warm, andato in visita dalla moglie di Hosenfeld, ebbe questo elenco e, tramite Szpilman, lo fece trasmettere dalla radio polacca.

A Biermann, autore di questa appendice, Szpilman racconta di avere tentato, nel 1950, di aiutare Hosenfeld, quando seppe che si trovava prigioniero dei sovietici. Si umilio’ ad elemosinare l’intervento di Jakob Berman, potente e odiato capo della polizia comunista polacca, al quale racconto’ come il capitano tedesco aveva salvato la vita di moltissime persone. Berman effettivamente si attivo’, ma gli dovette rispondere che i sovietici non volevano liberarlo perche’ il suo reparto aveva avuto a che fare con lo spionaggio.

Nella prima edizione polacca del libro (peraltro subito tolto dalla circolazione), nel 1946, Szpilman si vide costretto a far passare il capitano Hosenfeld per austriaco, invece che tedesco, perche’ in quel momento in Polonia non era possibile rappresentare un ufficiale tedesco come buono e generoso.

Nel 1995 il nome di Wilm Hosenfeld non compariva ancora nel Viale dei Giusti, a Gerusalemme. Wolf Biermann si augurava che a piantarlo fosse Wladyslaw Szpilman. Il quale e’ morto novantenne nel 2001. Non sappiamo al momento se l’albero per Hosenfeld sia stato piantato. Sulle donne tedesche della Rosenstrasse, abbiamo parlato al momento dell’uscita del film omonimo di Margarethe von Trotta, dei suoi meriti e dei suoi limiti.

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4. I "baciaebrei" tedeschi noti ed ignoti

Ripetiamo che questa "lista" di altri Schindler e’ aperta e incompleta. E’ triste dover annotare che Calmeyer, la contessa Maria Helena, i coniugi Helmrich, dopo la fine della guerra e del nazismo, soffrirono in patria non solo delusione, ma anche disprezzo. Cosi’ tocco’, del resto, anche a Schindler: quando la sua storia fu resa nota dalla stampa, "gli fischiarono dietro per le strade di Francoforte, gli gettarono delle pietre, un gruppo di operai lo scherni’ e gli grido’ che avrebbero dovuto cremarlo insieme agli ebrei. Nel 1963 prese a pugni un operaio che lo aveva chiamato ’baciaebrei’". Per questo fatto Schindler fu condannato da un giudice locale a pagare i danni. "Mi ucciderei - egli scrisse ad un amico americano - se non sapessi di dar loro una soddisfazione" (34). L’insulto "baciaebrei" tocco’ anche, a Vienna, a Raimund Titsch, austriaco cattolico che, nello stesso lager in cui opero’ Schindler, aveva anche lui protetto gli ebrei e raccolto documentazione fotografica sui maltrattamenti per futura memoria (35).

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5. Berlino "judenfrei"

Lo scrittore e regista Marek Halter ha girato un documentario di quattro ore, dal titolo Tzadek (giustizia e carita’, in ebraico), sui "Giusti", i salvatori di ebrei. Ne ha rintracciati e intervistati 36 nel mondo. Questi coraggiosi solitari vanno distinti da chi opero’ in organizzazioni, come i congiurati contro Hitler e il gruppo della Rosa Bianca (36).

I "Giusti fra i popoli" onorati a Jad wa-Schem sono 18.240. Di questi, i "Giusti fra i tedeschi" sono 358 (37). Questi, piu’ quelli ancora ignoti, sono gli "altri Schindler" tedeschi. Quanti potranno essere stati in tutto? Al Centro per le ricerche sull’antisemitismo dell’Universita’ tecnica di Berlino si calcola che quando, il 19 maggio 1943, il governo nazista dichiaro’ Berlino "judenfrei", cioe’ "liberata dagli ebrei", vivessero nella citta’ almeno 1.400 ebrei clandestini, i cosiddetti "U-Boote" (sommergibili), nascosti ed aiutati da tedeschi non ebrei. Poiche’ l’esistenza di un clandestino era conosciuta in media da 4-5 persone, si conclude che, nella sola Berlino, almeno 6-7.000 tedeschi sfidavano la morte per proteggere gli ebrei. In tutta la Germania i "sommergibili" dovevano essere circa 4.000. Percio’ alcune decine di migliaia di tedeschi proteggevano gli ebrei a loro rischio.

Calcolando anche i casi in cui l’aiuto falli’, il Centro berlinese stima che siano stati fra 50 e 80.000 i tedeschi impegnatisi ad aiutare gli ebrei. Il numero e’ considerevole, confrontato con l’immagine prevalente di una Germania tutta passiva di fronte alla crudelta’ nazista, quando non complice. Di tutte queste "storie di ordinario eroismo" non piu’ di qualche centinaio sono note. Pochissimi dei loro protagonisti hanno avuto un riconoscimento in Germania. In occasione dell’uscita di Schindler’s List, i giornali tedeschi hanno raccontato alcune di queste storie. Altre sono raccolte nel libro Sie waren stille Helden (Furono eroi silenziosi), uscito alla fine del 1993 (38). Qui abbiamo nominato alcune decine di "altri Schindler", di cui una decina tedeschi.

Dunque, 50-80.000 tedeschi aiutarono coraggiosamente gli ebrei. Sui circa 70 milioni di tedeschi - tale era la popolazione nel 1940 - essi rappresentano l’1 per mille (senza contare la diminuzione della popolazione per i molti morti in guerra, che accresce la percentuale). Avviciniamo a questi il numero degli oppositori interni al nazismo: da uno (secondo Salvadori) a tre milioni (secondo Vaccarino) si contano i tedeschi imprigionati nei lager per ragioni politiche, non razziali. Furono tanti? Pochi? Vorremmo evitare la questione quantitativa, sebbene non priva di significato e interesse, per concludere con l’indicazione sostanziale che qui ci inporta: anche nella Germania dominata dallo hitlerismo era possibile resistere, sabotare, disobbedire agli ordini, proteggere i minacciati. Chi lo fece salvo’ vite umane, e il significato del mondo. Era possibile. Dunque e’ possibile, anche in situazioni difficilissime quanto altre mai, comportarsi da umani, salvare l’umanita’, la qualita’ umana di chi cade e di chi sopravvive.

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Note

7. Quello di Perlasca e’ il caso piu’ noto in Italia. Cfr. Enrico Deaglio, La banalita’ del bene. Storia di Giorgio Perlasca, Feltrinelli, Milano 2002. La Rai trasmise il 30 aprile 1990 un documentario-intervista seguito da quattro milioni di spettatori, Omaggio a Giorgio Perlasca. Nel periodo del film su Schindler, i quotidiani tornarono a parlarne, per esempio "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23, e "la Repubblica", 10 marzo 1994.

8. Cfr. "Avvenire", 8 aprile 1994, e "Il Risveglio Popolare", settimanale di Ivrea, 11 aprile 1994, p. 3 sull’azione di Martinoli per gli ebrei. Sulla sua vita, all’indomani della morte: "La Stampa", 27 dicembre 1996, p. 23, e "Il Risveglio Popolare", 9 gennaio 1997 e 27 giugno 1997. Dieci giorni prima di morire, Martinoli presento’ egli stesso al pubblico, nell’Universita’ di Torino, il suo libro sul Novecento Un secolo da non dimenticare, Mondadori, Milano 1996.

9. Biografia di Stefan Keller, Grueningers Fall, ora in francese col titolo Delit d’humanite’. Cfr. "Corriere della Sera", 16 febbraio 1994, p. 27; "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23; "la Repubblica", 10 marzo 1994.

10. Kaspar Villiger, A 50 anni dalla fine della guerra, in "Dialoghi di riflessione cristiana", Locarno, giugno-luglio 1995.

11. Cfr. "l’Unita’", 28 novembre 1995, e "la Repubblica", 1 dicembre 1995.

12. Cfr. "Corriere della Sera", citato.

13. Cfr. "Corriere della Sera", citato.

14. Cfr. "Avvenimenti", 25 maggio 1994, pp. 22-23.

15. Cfr. "Avvenimenti", citato, p.23.

16. Cfr. "Avvenimenti", citato, p. 23, e "l’Unita’", 21 aprile 1994, p. 13.

17. Cfr. "l’Unita’", citato.

18. Cfr. "l’Unita’", citato.

19. Cfr. "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23, e "la Repubblica", 10 marzo 1994. Si veda soprattutto Domenico Vecchioni, Raoul Wallenberg, l’uomo che salvo’ 100.000 ebrei, Prefazione di Giovanni Spadolini, Eura Press Edizioni, Milano 1994.

20. D. Vecchioni, op. cit., p. 126.

21. Ho trovato le prime informazioni su Sugihara in "Internazionale", 5 novembre 1994 (articolo di Uwe Schmitt su "Frankfurter Allgemeine", che annuncia un libro del sociologo americano Hillel Levine, Sulle tracce di Sugihara: la banalita’ del bene), poi altre piu’ precise negli articoli di Jean-Francois Riviere, Chiune Sugihara, un "juste", in "Non-violence actualite’", ottobre 1995, e di Giovanna De Stefani, La "lista" di Sugihara, in "Avvenire", 26 luglio 1995. Questi due articoli (specialmente l’ultimo) attingono al libro della moglie di Sugihara, Yukiko Kikuike, tradotto in francese, Visas pour 6.000 vies (Visti per 6.000 vite), Ed. Picquier, Arles 1995 (in preparazione la traduzione inglese).

22. Tra queste azioni collettive, con intere popolazioni per protagoniste, sono da ricordare in primo luogo quelle che in Danimarca e in Bulgaria salvarono la gran parte degli ebrei. Cfr. Jacques Semelin, Senz’armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993, pp. 160, in particolare per la Danimarca pp. 183-186, per la Bulgaria pp. 172-175. Sulla Bulgaria v. anche: Olivier Maurel, Comment furent sauves les Juifs bulgares, in "Non-violence actualite’", dicembre 1995. Ricordiamo anche la protezione degli ebrei attuata con metodo e coraggio dalla popolazione del villaggio di Chambon sur Lignon (narrata in un capitolo inedito Un villaggio nella Resistenza, di Sergio Albesano), e il rifugio dato a cento ragazzi ebrei, di vari paesi europei, la maggior parte sotto i 14 anni, dato da tutti gli abitanti di Nonantola (Modena), nelle loro case, fino a quando riuscirono a portarli tutti in salvo in Svizzera (cfr. Simonetta Pagnotti, I ragazzi dell’Orsa Maggiore. Una rievocazione inedita di Resistenza civile 1942-1943, Edizioni Paoline, 1995. Su una iniziativa attuale di solidarieta’ tra i popoli a Nonantola ispirata a quell’azione, vedi il mensile "Confronti", settembre 1996, pp. 24-25).

23. Cfr. Semelin, op. cit., p. 184; Jorgen H. Barfod, Danmark 1940-1945, Frihedsmuseets Venner, Kobenhavn 1984, p. 21.

24. Cosi’ secondo Patrice Coulon, in Les lecons de l’histoire, Resistances civiles et defense populaire non-violente, "Les dossiers de Non-violence politique", n. 2, 1983, p. 34. Seconda edizione nel 1989.

25. Cfr. Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo, cit., pp. 77-78, 82-83 (dove parla di circa 3.000 casi di tale resistenza), 90, 150. "La persecuzione e l’uccisione degli ebrei fu per molti cospiratori il motivo principale che li spinse a entrare nell’opposizione clandestina" (p. 174).

26. Nuto Revelli, Il prete giusto, Einaudi, Torino 1998. L’attivita’ per gli ebrei di don Viale, che nel 1980 fu invitato ed accolto a Gerusalemme come uno dei "giusti d’Israele", e’ narrata alle pp. 47-55, 65, 70, 98-104, 107. 27. Gabriele Nissim, L’uomo che fermo’ Hitler, Mondadori, Milano 1998.

28. Bill, il ladro di piccoli ebrei, di Dennis Eisenberg, in "La Stampa", 1 luglio 1999.

29. Cfr. l’articolo di Luigi F. Ruffato in "Avvenire", 14 agosto 1999, p. 17.

30. AA. VV. Giovanni Palatucci, il poliziotto che salvo’ migliaia di ebrei, Edizioni Polizia di Stato, 2002.

31. Gabriele Nissim, Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creo’ il Giardino dei Giusti, Mondadori, Milano 2003.

32. Cfr. "La Repubblica", 19 dicembre 2002, p. 15.

33. Film tratto dal libro di Wladislaw Szpilman, Il pianista, Baldini & Castoldi, Milano 1999.

34. Th. Keneally, op. cit., p. 380.

35. Ivi, p. 215-217. Nel capitolo citato "Quelli dell’ultima ora" abbiamo visto che i disertori, in genere, furono trattati allo stesso modo nella Germania del dopoguerra.

36. Cfr. "La Stampa" e "la Repubblica", citati.

37. Traggo questi dati da "La Repubblica", 19 dicembre 2002, p. 15.

38. Traggo la maggior parte di questi dati dall’articolo di Paolo Soldini, in "l’Unita’", 21 aprile 1994, p. 13. Giorgio Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa 1938-1945, Feltrinelli, Milano 1981, denuncia a p. 87 il fatto che la popolazione cattolica tedesca, salvo pochi casi, fu indifferente al destino degli ebrei e informa che i soccorritori di molti ebrei a Berlino furono, per lo piu’, di estrazione operaia (fonte: Gunther Lewy, I nazisti e la Chiesa, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 419) e spesso di nessuna chiesa.

(Fine - la prima parte e’ apparsa nel notiziario di ieri)

Tratto da
LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 804 del 9 gennaio 2005



Mercoledì, 12 gennaio 2005