Riprendiamo questo discorso di David Grossman dal quotidiano la Repubblica di Lunedì 28 gennaio. Contiene ampi stralci della lectio doctoralis di Grossman a Firenze, 27 gennaio SEI milioni di ebrei morirono in Europa in un eccidio senza precedenti nella storia dellumanità e dopo il quale lumanità non fu più la stessa. Ecco alcuni interrogativi che la Giornata della memoria risveglia: esiste oggi un dibattito sulla Shoah in quanto awemmento dal significato universale e non esclusivamente ebraico"1. Tale dibattito è significativo, e autentico, oppure, con landar degli anni, si è trasformato in una sorta di obbligo formale? E noi, rappresentanti di questa generazione, di tutti i popoli e le religioni, comprendiamo lincisività e lattualità degli interrogativi che la Shoah ci prospetta e la rilevanza che hanno ancora oggi, soprattutto oggi? Queste domande concernono, peraltro, anche il nostro rapporto con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione del globo; concernono lindifferenza che il mondo mostra, di volta in volta, verso episodi di massacro in Ruanda, in Congo, in Kosovo, in Cecenia, nel Darfur; concernono la malvagità e la crudeltà del genere umano che nel periodo della Shoah si profilarono come concreta possibilità di comportamento. In che modo trovano espressione nella nostra vita e quale influenza hanno sulla conformazione e sulla condotta del genere umano? In altre parole: la memoria che serbiamo della Shoah può essere veramente una sorta di segnale davvertimento morale? E siamo noi in grado di trasformare i suoi insegnamenti in parte integrante del-lanostravita?(...) Mentre gli altri popoli possono, con relativa facilità, evitare di riflettere sulle conseguenze della Shoah - e dunque sfuggire a un dibattito profondo che le concerne - noi, in Israele, siamo condannati a dibatterle ripetutamente, a cadere talvolta nella trappola dellangoscia esistenzialechelaShoahha scavato in noi, a definire gli aspetti significativi della nostra vita nei termini categorici, estremi, che la Shoah ha lasciato impresso in noi. In un certo senso si può dire che ilpopolo ebraico, e di fatto quasi ogni ebreo, sia un colombo viaggiatore della Shoah, che lo voglia o no. Ma affinché questa disquisizione non rimanga a un livello puramente teorico, non appaia come una sorta di dissertazione filosofica distante dagli esseri umani, vorrei raccontarvi una storia diquelperio-do.Nonèunastoriaparticolarmen-te traumatica. Ne ho sentite di più brutte e terribili. Eppure racchiude una tale sofferenza e un tale dolore che da anni non mi dà pace. Si tratta della vicenda di un giornalista ebreo polacco di nome Leib Rochman. Negli anni Trenta del secolo scorso Rochman scriveva per un giornale in yiddish pubblicato a Varsavia. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale fece ritorno alla cittadina nella quale era nato, Minsk Mazowiecki, situata a est di Varsavia, dove si attivò come "assistente sociale" tra gli ebrei del ghetto, facendo meraviglie nel procacciare cibo agli affamati. Nel 1942 sposò Ester, anchella nativa del luogo, e tre mesi dopo i nazisti sterminarono la comunità ebraica. Dei seimila ebrei della cittadina ne rimasero meno diventi. Leib ed Ester, insieme con la sorella minore di questultima, riuscirono a mettersi in salvo e a trovare rifugio presso una donna polacca il cui soprannome era "Ciotka", zia in polacco, unanziana prostituta cordiale e piena di vita. (...) Nel suo sa-lottoCiotkacostruìper Leib ed Ester unaparete-nascondiglio, apoca distanza da quella originaria. Leib, sua moglie e sua cognata vissero nellintercapedine tra le due pareti per quasi due anni. A un certo punto decisero di portarvi anche Haim, il fratellino minore di Ester, tenuto prigioniero in un campo dei dintorni, e consegnarono a Ciotka del denaro affinché si recasse al campo, corrompesse le guardie, liberasse Haim e lo conducesse da loro. Ciò tka si mise in viaggio ma strada facendo bevve un po, divenne allegra, passò accanto a una fiera, sali su una giostra, si diverti e quando finì di spendere tutto il denaro che aveva con sé tornò a casa senza Haim. Quella notte i tedeschi giustiziarono tutti i prigionieri del campo e anche Haim morì. Quando Leib ed Ester vennero a sapere che Haim non era più in vita decisero di salvare un altro ebreo che, per quanto non fosse loro amico stretto, possedeva una vasta cultura ebraica e parlava lalingua della Bibbia. Poiché credevano che non fossero quasi rimasti ebrei al mondo, ritennero indispensabile tentare di salvare chi potesse perpetuare lo spirito e la tradizione ebraica. (...) Rimasero nascosti fino alla fine della guerra, quando poterono uscire. Leib Rochman era molto malato e debole. I cinque abbandonarono il nascondiglio e si misero in viaggio, senzasapereperdove. (...) Ovunque andassero la gente li indicava e diceva stupita, in tono di scherno: ma come, sono rimasti così tanti ebrei? Una notte trovarono rifugio in un campo di prigionieri vuoto, il cui recinto era stato sfondato, e lì trascorsero la notte. Cerano giacigli e tavolacci e su quelli dormirono. La mattina, alloro risveglio, scoprirono di essere nel campo di concentramento di Meidanek, liberato un paio di giorni prima dai russi, e di aver dormito sui letti dei prigionieri. Alla luce del giorno gironzolarono perii campo e allimprovviso videro la Shoah. Non sapevano esattamente che cosafosseawenuto negli ultimi due anni e ora vedevano davanti a sé mucchi di cadaveri e i cumuli di cenere di chi era stato bruciato. Non riuscivano a crederci: tutto era lì, sotto iloro occhi, eppure nonriusci-vano a capacitarsi che fosse successo veramente, che una cosa simile fosse stata possibile. A quel punto si imbatterono in un gruppo di ufficiali e di guardie del campo catturati dai russi. I soldati dellArmata rossa accerchiavano i tedeschi che stavano seduti al centro, prigionieri. Così, nello stesso giorno, Leib e compagni videro le vittime e i carnefici. I carnefici in carne ed ossa. Non qualcosa di astratto, un qualche simbolo del male. Lì, davanti a loro, erano gli assassini che avevano messo in atto il piano della "soluzione finale". Di colpo LeibRochman non fu più in grado di sopportarlo. Corse verso un soldato russo e gli strappò di mano il fucile, con lintenzione di sparare ai tedeschi. Fermo davanti a loro prese la mira, ma non riuscì a premere il grilletto. Quasiimpazzì, urlò, odiò se stesso, ma non potè farlo. Allora gridò, in yiddish: Aufstein, Fallen! - In piedi! A terra! I tedeschi, sicuri che stesse per ucciderli, fecero ciò che ordinavaloro, terrorizzati. Scattarono inpiedie silasciarono cadere a terra, più volte. Leib capì che non sarebbe riuscito ad ammazzarli. Non sapendo cosa fare buttò via il fucile, si ritirò in disparte e scoppiò a piangere, a tossire e per la prima volta sputò sangue. Allora scoprì di essere malato di tubercolosi. Leib ed Ester Rochman ebbero molte altre vicissitudini, attraversarono numerose nazioni e alla fine giunsero nella terra di Israele. Si stabilirono a Gerusalemme ed ebbero un figlio e una figlia. Questultima, lapoetessaRivkaMiriamRochman, è una mia cara e buona amica ed è da lei che ho appreso questa storia. Leib Rochman fu giornalista dellemittente radio israeliana "Kol Israel" ma per gran parte della sua vita si dedicò alla scrittura.Pubblicò due romanzi e una raccolta di racconti che ritengo esempi meravigliosi di letteratura innovativa, profonda, che discende negli abissi dellanimo umano. Questa è la storia sua e di sua moglie Ester. Ci sono altre milioni di storie come questa. Ognipersonamorta, o sopravvissuta, è una vicenda a sé e tutte queste storie, in apparenza, si mantengono su un piano totalmente diverso da quello su cui sono dibattute oggi le grandi "questioni" relative alla Shoah, sempre che siano dibattute. Tali questioni vertono soprattutto sullanegazionedellaShoah, sullincremento del numero dei neo-nazisti in diverse nazioni e sul rafforzamento dellantisemitismo nel mondo. Negli ultimi anni la discussione circa il diritto dei tedeschi di considerarsi vittime di quella guerra al pari di altri popoli, o addirittura di creare una simmetria-- errata e inammissibile a mio parere - tra la loro sofferenza e quella degli ebrei durante la Shoah, si fa sempre più accesa. Le vicende personali di Leib ed Ester Rochman, così come quelle di altri milioni di persone, si mantengono, come ho detto, su un piano diverso, ma senza di esse un dibattito sulla Shoah non sarebbe completo e sarebbe impossibile creare unlegame emotivo trale generazioni future e ciò che avvenne allora. Dirò di più: senza quelle storie personali il dibattito sulla Shoah potrebbe talvolta apparire un tentativo inconsapevole di difendersi dallorrore palese. E, spingendoci oltre, si potrebbe ipotizzare che senza di esse il dibattito generico, di principio, si spegnerebbe lentamente. Proprio le vicende individuali, private, sono il "luogo" più universale, la dimensione entro la quale è possibile creare il senso di identificazione umana e morale con le vittime che permette a chiunque di porsi ardui interrogativi: come mi sarei comportato io se fossi vissuto a quellepoca, in quella realtà? Come mi sarei comportato se fossi stato una delle vittime, o un connazionale degli aguzzini? Ho limpressione che fino a che non risponderemo a queste domande - ognuno per conto proprio - fino a che non ci sottoporremo a questo auto-interrogatorio, non potremo dire a noi stessi di aver affrontato pienamente ciò che avvenne laggiù. E se non lo faremo, dimenticheremo. Più si assottiglia il numero dei sopravvissuti - e malgrado il lavoro di documentazione portato avanti da "Yad vaShem", il museo israeliano dedicato alla memoria delle vittime della Shoah, e, nellultimo decennio, dallarchivio Spielberg - più cresce limportanza dellarte quale possibile mezzo per affrontare questi interrogativi. La letteratura, la poesia, il teatro, la musica, il cinema, la pittura e la scultura sono i "luoghi" in cui lindividuo moderno può affrontare la Shoah e sperimentare le sensazioni e la particolare esperienza umana che la ricerca e il dibattito accademici solitamente non sono in grado di far rivivere.
Martedì, 29 gennaio 2008
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