Giornata della memoria
È BELLO VIVERE LIBERI

Stampata la biografia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia, Auschwitz n. 81672, edita dall’Istituto Regionale del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia. L’introduzione dell’autrice, Anna DiGianantonio, e la prefazione di don Andrea Gallo.


INTRODUZIONE

“E’ bello vivere liberi” è la frase che Ondina Peteani scrisse quando, in ospedale, a poche settimane dalla morte, slegati finalmente mani e piedi dai lacci che le impedivano di togliersi la maschera ad ossigeno che le era stata applicata, venne sottoposta ad una visita medica per accertarne lo stato di salute complessivo.
Il medico le chiese di copiare una forma geometrica e di scrivere ad occhi chiusi la prima frase che le fosse venuta in mente.
Ondina, l’ultima volta che scrisse, stilò con sofferta calligrafia quello che sentiva profondamente: amore per la libertà, odio per la contenzione cui fu costretta sino all’ultimo dai suoi sempre più frequenti ricoveri ospedalieri.
Dopo la morte il viso non era disteso, ma duro e contratto; sul polso si leggeva il numero che le era stato impresso ad Auschwitz. Lei era 81672. Come ricorda il figlio Gianni quella era la cifra del suo estenuante male.
Ci sembrava che quella piccola e semplice frase sintetizzasse senza retorica l’arco di un’esistenza racchiusa in cinque numeri, piccoli ed apparentemente banali.
Il lavoro che vi proponiamo è la biografia di Ondina Peteani, che per la precocità del suo impegno nella lotta partigiana, fu definita “prima staffetta partigiana d’Italia”. La sua storia attraversa gli anni del fascismo, si spalanca in modo indelebile sulla detenzione nei campi di concentramento e continua nel dopoguerra,all’interno del partito comunista italiano, poi PDS, e nelle organizzazioni degli ex deportati e dei partigiani italiani.
Instancabile organizzatrice culturale e politica, Ondina si spese nella sua attività di ostetrica, all’interno dell’organizzazione dei Pionieri, rendendo l’agenzia libraria degli Editori Riuniti, che gestì con il marito Gianluigi Brusadin, un luogo di incontro e scambio culturale tra intellettuali, operai, artisti e giovani che avrebbero intrapreso diverse professioni e mestieri.
Ondina fu poi impegnata nell’attività di volontariato per prestare soccorso alle vittime del terremoto del 1976, infine fu segretaria dei pensionati, finché la malattia, frutto della detenzione ad Auschwitz, non la immobilizzò per sempre.
La ricostruzione della sua vicenda sarebbe stata impossibile senza l’entusiasmo, la determinazione e la volontà di suo figlio, Gianni Peteani, per il quale il ricordo della madre è diventato un impegno politico e culturale di primaria importanza.
Gianni e quelli che hanno come lui vissuto l’esperienza di avere un genitore internato nei lager sono stati ugualmente vittime.
Hanno conosciuto da vicino le angosce, i ricordi terribili, la disperazione che spesso i genitori non sono riusciti a contenere. Per molti di loro continuare a mantenere viva la memoria è stato il lascito più impegnativo dei sopravvissuti.
Nella ricorrenza de 60° anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, - Giorno dalla Memoria -, Legge dello Stato 211/2000, Gianni è stato invitato a Cassino, la “Dresda italiana”, a ricordare agli alunni della scuola media statale Giovanni DiBiasio, e alla municipalità, cos’è stata la deportazione.Qui ragazzi hanno allestito un vasto programma multimediale, anticipato da una bellissima mostra di disegni sulle immagini che il suo racconto aveva suscitato in loro. E’ un esempio di trasmissione ed elaborazione della memoria molto importante che immagino non dimenticheranno.
Gianni è stato anche il tramite per le interviste raccolte, che sono in numero considerevole.
Alla morte di Ondina molti amici e compagni hanno voluto testimoniare il loro affetto, rendendosi disponibili a raccontare la loro vita e l’intreccio che essa aveva avuto con l’esistenza di Ondina.
Va a lui dunque e agli amici del Comitato permanente Ondina Peteani il mio primo ringraziamento.
Alcuni dei testimoni ci hanno lasciati e questo ci fa comprendere ancora di più l’importanza della conservazione della memoria, perché non c’è storia senza che al suo interno sia dato lo spazio che meritano a coloro che l’hanno vissuta.
Inoltre senza i ricordi dei protagonisti è impossibile riuscire a penetrare quel mondo di emozioni, sofferenze, paure che ha segnato così duramente il periodo della Resistenza e della deportazione. Certo c’è la letteratura ed essa svolge un ruolo insostituibile, ma i racconti dei nostri testimoni hanno avuto il merito di mettere in luce gli ambiti particolari e specifici in cui la storia di Ondina si è svolta. Molto ci sarebbe da scrivere su tutti gli argomenti sommariamente trattati e bisognerebbe farlo subito. Il tempo che passa rischia di cancellare il tessuto di esperienze e di fatti che hanno reso possibile ed intellegibile la nostra vita.
Delle testimonianze, anche molto lunghe, rilasciate dai nostri protagonisti, sono state utilizzate solo alcune parti; altri racconti che non compaiono direttamente sono stati comunque indispensabili a ricostruire il tessuto di relazioni, idee ed atteggiamenti spesso comuni alla straordinaria generazione di coloro che furono antifascisti e che si impegnarono nella Resistenza:una generazione coraggiosa ed anticonformista, che vale la pena conoscere in maniera approfondita per trarre dalla loro esperienza indicazioni e modelli di riferimento anche per il nostro agire quotidiano.
Non è stato facile scrivere la vita di Ondina. Avrei potuto assumere il tono distaccato tipico di chi scrive di storia, ma non sarebbe stato possibile: erano troppo intense le emozioni che i racconti, primi tra tutti proprio quelli di Ondina, mi suscitavano.
Perchè comprimere i sentimenti, assumendo una finta neutralità che non era nelle mie corde? Ho deciso così di modificare un po’ lo stile della narrazione, cercando di trovare un modo di esprimermi intermedio che mi permettesse di narrare una storia basata sulle fonti orali e su altra documentazione con un atteggiamento non asettico.
La storia di Ondina non è una microstoria. E’ stata rinchiusa nello stesso lager, ha conosciuto gli stessi orrori, visto lo stesso abbrutimento che videro milioni di vittime innocentissime, Anna Frank, Primo Levi ed Elie Wiesel, premio Nobel per la pace 1986, accolto all’ONU appena nel 2005, a sessant’anni dalla fine del conflitto, quando all’unisono 45 Capi di Stato s’inginocchiarono a Birkenau-Auschwitz.
E’ giusto dunque che la sua vicenda umana sia raccontata, anche per comprendere i segni indelebili che il lager lasciò ai reclusi. Spesso non conosciamo quale fu la difficoltà a reinserirsi nella comunità per gli internati e quali furono gli sforzi, spesso vani, per tentare un ritorno alla normalità. Le strategie di sopravvivenza di Ondina, gli alti ed i bassi,la determinazione a non piegarsi, a combattere contro il male oscuro della depressione, i successi e le sconfitte, sono l’argomento di questo racconto.
Voglio infine ringraziare gli amici dell’Istituto di storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia che hanno sostenuto questa ricerca con tenacia e pazienza ed in particolare Franco Cecotti,colonna fondamentale dell’Istituto, che ha riletto il testo.
Un grazie particolare a don Andrea Gallo, anima della Comunità San Benedetto di Genova prete sempre a contatto con i bisogni dei più poveri, uomo che sarebbe stato molto simpatico ad Ondina.


Anna DiGianantonio




PREFAZIONE
di
Don Andrea Gallo
COMUNITA’ SAN BENEDETTO
GENOVA


Ho sempre creduto ai «Segni».
La lettura di questa «storia» mi ha concesso di incontrare una Donna: Ondina Peteani, la prima staffetta partigiana d’Italia.
Una ragazzina lavoratrice che nella tragedia della seconda guerra mondiale sceglie la Libertà.
Un incontro utile in questo periodo di imbarbarimento del nostro Pianeta, in cui il virus perenne del fascismo è nuovamente in libera uscita.
Mi sono commosso ritrovandomi a cantare sottovoce con Ondina e la giovane Ucraina, nel campo di concentramento, l’Internazionale.
Mi sono detto: «è vero un nuovo mondo è possibile».
Dal cantiere di Monfalcone, alla resistenza, fino al Lager, un percorso personale, politico per cambiare le istituzioni e il costume con un’intuizione fondamentale: la Donna è una risorsa preziosa e irrinunciabile per una rivoluzione culturale e sociale, per la Pace e la giustizia per tutti gli oppressi.
Ondina cresce in terre di confine dopo la prima e «inutile strage» della grande guerra, tra difficili contraddizioni, a contatto con lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, in un regime totalitario.
Lucidamente, decisamente è giovanissima antifascista della «prima ora». Nel 1944 inizia il Suo Calvario nei Lager nazisti.
Ci ha creduto e ha donato tutto, gratuitamente. «È sopravissuta senza piegare mai».
Non ha predicato la libertà, la giustizia, ma le ha testimoniate.
Chi è senza memoria è senza futuro.
C’è una frattura profonda con revisionismi e capovolgimenti.
È lodevole raccogliere questi frammenti della qualità dell’esperienza umana di Ondina e rilanciarli verso i modelli dei riferimenti culturali: la globalizzazione dei Diritti.
Scoprire, con Lei, la partecipazione.
C’è un filo rosso interminabile della Resistenza. Nel mondo non si interrompe mai: Ondina è un anello di questa catena. C’è entrata e mai ne è uscita.
Non ci indica una traccia da seguire. Stimola ciascuno di noi ad assumersi la propria responsabilità per una scelta democratica, laica, antifascista.

Don Andrea Gallo
COMUNITA’ SAL BENEDETTO
GENOVA



Mercoledì, 23 gennaio 2008