Il relativismo dell’anti-relativismo

di Rosario Amico Roxas

E’ diventata una moda rifiutare il relativismo, indicarlo come “il male assoluto”, metterlo all’indice per presupposte alterazioni al predominio della ragione. Ma nello stesso tempo viene usato il medesimo relativismo per elaborare le teorie anti-relativismo.
Non è un paradosso, bensì la realtà nella quale viviamo, anche se troppo distrattamente.
Il “relativismo” iniziò il suo itinerario ai tempi di Pericle, quando si sviluppò una nuova aristocrazia, quella dei mercanti, degli artigiani, degli usurai, cioè l’aristocrazia del denaro e del potere che il denaro porta con sé; fu la nuova aristocrazia che si sostituì alla precedente basata sulla proprietà terriera e, quindi, sull’economia del lavoro, per spostare l’interesse sull’economia delle capacità intellettuali dell’uomo. Il sistema democratico, che fu il primo della storia dell’uomo, divenne demagogia, dove veniva privilegiata la ricerca del piacere, del lusso, dell’edonismo e anche della cultura, ma non come conoscenza, bensì come mezzo per aggiungere al potere del denaro anche il prestigio della cultura.
Questa nuova prospettiva formò il terreno di coltura dei sofisti, abili parlatori che sostenevano la causa dei più forti, intesi come i più potenti.
Iniziò l’analisi circa la valutazione di ciò che è giusto, che avrebbe dovuto sostituire ciò che veniva indicato dalle leggi dello Stato con ciò che veniva universalmente accettato come legge di natura.
Il primo passo lo segnò Protagora, affermando: “L’uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono", dando inizio alla elaborazione di un quesito che dura da secoli: “La realtà è costituita dell’ ”essere” o dal “divenire” ?”
Le implicazioni divennero enormi, perché entrò in discussione la staticità della realtà o il suo sviluppo; nel secondo caso chi avrebbe dovuto e potuto interpretare “il giusto” nel tipo di evoluzione da sviluppare ?
Così il quesito si spostò sulla ricerca di un principio di validità universale:
Per natura è giusto ciò che piace”, ma questa affermazione scatenava l’individualismo e promuoveva l’affermazione “homo homini lupus”, trasformando la società in una grande giungla dove ogni individuo avrebbe cercato la propria affermazione.
Così l’affermazione d venne “E’ giusto ciò che piace al più forte”; ma cosa avrebbe identificato “il più forte” ? Giunse il chiarimento: “il più forte è colui che sa usare meglio la parola”, intesa come elemento di comunicazione.
A questo punto emerge plateale l’analogia con i nostri tempi, e l’emergere di un nuovo Gorgia.
Ci hanno regalato la democrazia, che è diventata demagogia, sostenuta dall’apparenza delle parole, mentre l’uso del linguaggio per comunicare è diventato monopolio dei detentori dei mezzi di comunicazione di massa, che riescono a farsi sentire, effettuando un costante lavaggio del cervello che arriva anche al convincimento subliminale.
- Anche i rapporti con lo Stato e le sue leggi subiscono una modificazione secondo l’indirizzo suggerito dal relativismo sofista: “Per prudenza e utilità bisogna rispettare la legge ma trasgredirla solo se conviene e modificarla quando si ha la forza per farlo.”
· Mi pare superfluo sottolineare le analogia con i nostri ultimissimi tempi, specialmente a fronte della visione della vita: “Di fronte al dramma della vita l’unica consolazione è la parola, che acquista valore proprio perché non esprime la verità ma l’apparenza. La parola crea un mondo di sogno dov’è bello vivere.”(Le due citazioni sono recuperate da Gorgia: Sul non-essere e sulla natura”).
Così la verità assoluta non esiste, emergendo un relativismo che investe tutto lo scibile; per contrastare tale relativismo non resta che utilizzare il medesimo relativismo per affermare ciò che le parole sostengono e le apparenze dimostrano.
Basterebbe solo saper distinguere il relativismo etico dal relativismo culturale per dare spazio alla dialettica del divenire, che può essere unificabile solo nel profilo etico, universale e valido per tutti, escludendo ogni pretesa di primato per razza, religione, o cultura.

Rosario Amico Roxas



Lunedì, 28 aprile 2008