Il relativismo e la preghiera

di Rosario Amico Roxas

IN ordine alla diatriba tra relativismo e anti-relativismo, si inserisce anche un aspetto che per la religione è fondamentale: il pensiero rivolto a Dio nella preghiera.

Che ci piaccia o meno (a noi non piace) la religiosità è diventata uno strumento che dovrebbe scandire il tempo come un pendolo che oscilla tra laicismo e clericalismo, lasciandosi scappare il vero contenuto che si allontana sempre più dalla cultura moderna e post-moderna.

Per questo desidero aggiungere una interpretazione personale, che non vuole insegnare nulla a nessuno, ma solamente fornire i dati di un’esperienza.

Premesso che la comunicazione è la madre di tutte le scienze, che senza la comunicazione oggi non avremmo neanche la ruota, cosa rappresenta la preghiera oggi, nei giorni del mercato globale, nei giorni acuti dell’anti-relativismo ?

Lo sviluppo dell’homo sapiens sapiens cammina in parallelo con il suo grado di capacità di comunicare che ebbe inizio con l’imitazione dei fenomeni naturali (nella musica) e con l’indicazione gutturale di ciò che stava intono all’uomo per trovare un modo comune di comprendersi. Ma in questa evoluzione naturale si inserì l’evoluzione spirituale che iniziò con il culto dei morti per transitare nella venerazione (non Fede !) di ciò che tornava utile per migliorare le condizioni di vita: la pioggia, il sole, l’acqua, come divinità positive e il loro opposto come divinità punitive. Ingraziarsi le divinità positive divenne un modo di essere, riservato a pochi “eletti” che conoscevano le formule di approccio e di ciò facevano il perno del loro potere.

Ma si consolidò l’esigenza trascendentale che doveva perfezionarsi nel tempo per colmare i vuoti di cui l’uomo se sentiva oppresso. Oggi siamo in un grado abbastanza evoluto di comunicazione (ma solo “abbastanza”), sufficiente per organizzare una regressione, con l’attribuzione all’uomo di capacità interpretative, al punto di potere distinguere, con le sue modestissime capacità, il vero dal falso, il giusto dal non giusto, e rifiutare il relativismo che riconosce a tutti il diritto di essere, sempre ed in ogni modo, se stessi.

Così, per assurdo, compare anche una comunicazione giusta ed una sbagliata, una vera ed una falsa; questa comunicazione è la preghiera che l’uomo rivolge all’Essere superiore in segno della finitezza della quale è consapevole.

Interrompere l’ansia quotidiana cinque volte al giorno per dedicare pochi minuti al pensiero superiore delle proprie finalità, rappresenta per i popoli islamici una “purificazione” dell’operato, che non è mai fine a se stesso se disgiunto dalla superiore finalità che rientra nei disegni di Dio.

Pure questa impostazione sarebbe falsa e non giusta alla luce delle affermazioni dei mentori di un vero che, a sua volta, proprio per contestare il relativismo, diventa relativo.

Verissima l’affermazione nel corso di una conferenza a Caltanissetta: “Sono convinto che la Chiesa, percorrendo la via educativa, abbia scelto una strada molto lunga”. Lo ha detto mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, perché finisce con il cadere nell’educazione di parte e, quindi, proprio nello stesso relativismo che vuole combattere.

Quindi il laicismo, come adesione alla vita del popolo, ai suoi bisogni; ma non c’è nulla di nuovo.

La moltiplicazione dei pani e dei pesci è l’indicazione di aderenza a quei bisogno. Cristo avrebbe potuto concludere la Sua predicazione dicendo alla folla che si era pasciuta della parola di Dio, quindi non avrebbe sentito i morsi della fame; invece moltiplicò i pani e i pesci per definire la nostra “umanità”; dopo 2.000 anni Giovanni Paolo II, nel corso di uno dei suoi pellegrinaggi nel mondo dei diseredati, ebbe a confidare :

“Come è possibile vivere la Fede, se non è possibile vivere ?”

Religiosità e preghiera con laicismo e comizio elettorale non hanno nulla in comune, dovendo rimanere ognuno nel proprio ambito di appartenenza; tentare un cocktail sottrae la religiosità alla sua naturale condizione di “modo di essere” per trasformala in un blasfemo “modo di apparire”.




Rosario Amico Roxas



Giovedì, 08 maggio 2008