Lettera aperta…a me stesso

di Rosario Amico Roxas

Roxas,
ti chiamano tutti così, nessuno usa il tuo nome, neanche i familiari; anche i “fratelli” palestinesi di Hammam Liff ti hanno ribattezzato Abou Roxas, cioè “padre” dei Roxas che seguiranno. Due coppie hanno chiamato “ben Roxas” i loro figli, in ricordo della reciprocità di amicizia che ci legò per qualche anno. L’idea di “padre” (abou) e di figlio (ben) nella cultura arabo-coranica non è a carattere biologico ma etico, come un messaggio che si tramanda. Poveri figli, che non vedo ormai da oltre 8 anni; si portano addosso un messaggio che si svuota giorno dopo giorno perché i contenuti si sono dimostrati lontani dalle realtà.
E adesso cosa fai ?
Elabori i ricordi senza il coraggio di realizzare un bilancio.
Scrivi con il cuore, mentre la mente azzera tutte le tue convinzioni.
Quelle madri, quelle moglie, quei figli urlanti nel tentativo di esorcizzare la morte, di scacciarla via, sono la proiezione di tutti gli incubi, e non sono il frutto di un sogno movimentato, ma è la realtà che si impone con tutta la sua crudezza, riservata solo ai più deboli e agli indifesi.
Può essere tossico il pane ?
Può essere mortale l’amore ?
Anche qui tutto è relativo; dipende dalle persone, dipende da ciò che si fa, dipende da chi si è.
Chi insegue il suo pane per darlo ai figli, chi accompagna quel pane con l’amore, come il solo companatico di cui dispone, allora di pane si può morire, allora si può morire anche d’amore.
Poi tutti rientra nella dinamica quotidiana, c’è la nazionale di calcio che sovrasta la nazionale del dolore, c’è la seconda carica dello Stato che assicura. “Lo Stato non abbandonerà i familiari di queste vittime, specie i minori”; manca anche il pudore di chiamare ognuno con il proprio nome, manca la consapevolezza di identificare le mogli come vedove e i figli come orfani, ai quali dovrebbe essere garantito di che vivere, ma con il solo pane, perché quel companatico morale, che donava un sapore irrepetibile, nessuno potrà mai sostituirlo.
I “fratelli” palestinesi mi dettero il loro nome perché per loro capii e scrissi “la nostra terra non sa di pane, come la nostra casa non sa d’amore”.
Ciò che scrissi per loro adesso acquista valenza per tutti coloro che sono assoggettati alla durissima legge della disuguaglianza, in un mondo che divide inesorabilmente i persecutori e i perseguitati, accomunati entrambi ad un destino pieno di incognite.

Quando la terra non sa di pane
(Ai fratelli Palestinesi e non solo…)
Nell’oscurità del tempo
è stata scritta la nostra condanna,
nera fuliggine dentro uno scorcio di cielo.
I figli di Sem e di Abramo
rivendicano il diritto ad esistere uccidendosi a vicenda,
mentre le parole d’amore
dell’Unico Dio si perdono
nell’inospitale deserto dei valori.
Ci hanno vestiti con gli abiti del perdente,
con la maschera della ferocia, con le ciabatte del burattino,
mentre nel nostro petto c’è la corazza del combattente.
Le reliquie della meschinità, la crudele avidità,
hanno vanificato ogni sforzo, violentando la verità:
Abele si è suicidato.
Il destino dei vinti ha mortificato la nostra volontà,
ma non il nostro diritto di esistere.
Cerchiamo di mettere le briglie alla memoria,
per dimenticare millenni di persecuzioni,
ma tutto torna alla mente con impietosa crudezza,
tutto si ripete con drammatica puntualità.
Naufraghi dentro la pozzanghera degli egoismi,
cerchiamo invano una parola di solidarietà,
una riva amica non venduta al più forte.
La felicità è un’eco lontana che non ci appartiene da secoli;
balenio di speranze, sogni, illusioni,
tragica memoria di tante amarezze senza alcuna gioia,
tante rinunzie e nessuna vittoria.
Scorre dentro il nostro sangue il tempo impietoso,
continua l’inutile ricerca della nostra Patria,
senza un attimo di sosta.
Presagio di una fine che non ha avuto un inizio.
In questa tragica realtà
la nostra terra non sa di pane,
come la nostra casa non sa d’amore.
Morti dentro, cercano ancora di ucciderci.
La Speranza è un sogno da ricchi !
Solo orizzonti offuscati da nuvole gonfie di fiele.
Anche il giorno comincia con il tramonto.
Stiamo arrivando all’ultima goccia nel bicchiere.
Cerchiamo un chiodo per appendervi l’anima.

Hallahu akbar (Dio solo è il più Grande).



Abou Roxas
Nome palestinese di Rosario Amico Roxas



Lunedì, 16 giugno 2008