Credente e ateo

di Aldo Antonelli


Diffondo questo scambio di messaggi solo perché penso possa essere interessante per molti; con la speranza, naturalmente, che il credente sappia riscoprire l’ateismo come parte della sua fede e, d’altro canto, il non credente sappia calorizzare la "fede nuda" delle sue scommesse, per dirla con Pascal, e delle sue utopie.


L’amico salvatore mi scrive

Caro don Aldo,
Ti seguo, attraverso i messaggi che regolarmente mandi ai destinatari della tua mailing list, ormai da qualche anno.
Non sono credente, ma trovo una straordinaria sintonia col tuo modo di vedere e di sentire i fatti che accadono in Italia e nel mondo,
Ques’ultimo messaggio, che condivido appieno, ne è l’ennesima testimonianza.
Da un po’ di tempo mi sto interessando alle origini storiche del cristianesimo, ed ho letto diversi libri interessanti, tra cui alcuni di Bart Ehrman e, da pochissimo, il libro di Corrado Augias sulle origini del cristianesimo.

La cosa che trovo per me inspiegabile è che un cristiano normalmente si qualifica in base alla sua fede, ancorata a due pilastri fondamentali; la figura di Gesù figlio di Dio, e la sua resurrezione; ma, a partire da questa comune fede, il modo di essere dei cristiani nel mondo e nella storia è quanto di più variegato possa esistere.
E’ cristiano e cattolico il missionario che dedica la sua vita ad aiutare i più sfortunati del mondo, come lo è Ruini che va orgoglioso di aver risanato le finanze del Vaticano, vendendo al meglio sul mercato politico la capacità di influenza e di orientamento del voto della Chiesa. Per non parlare poi di quello che è stata la Chiesa nella storia, soprattutto nei secoli della sua massima potenza.

Io non credente penso di essere più in sintonia con te, come senso morale e visione del mondo, di certi rappresentanti della gerarchia cattolica che professano la tua stessa fede, e anzi ne sono (o se ne dichiarano) i custodi.
Allora che importanza ha la fede, se può essere declinata in modi così diversi da essere totalmente incompatibili? Considerazioni del tutto analoghe possono essere fatte per i credenti islamici.

La mia personale conclusione è che la morale delle persone, il loro modo di stare nel mondo e di relazionarsi con gli altri, il loro rispetto vero degli altri, abbia ben poca relazione con la fede professata, ma sia legata a tanti altri fattori di varia natura (biologici, psicologici, filosofici, di educazione, ecc.).

Se così è, non è importante quello che le persone realmente fanno e non la fede che professano?

Ho cercato di sintetizzare il mio punto di vista evitando di scrivere un trattato, ma spero di aver reso la mia opinione.
Mi piacerebbe, se ne hai tempo e voglia, conoscere la tua opinione su quanto ho detto.

Un caro saluto
Salvatore


Ecco la mia risposta
Salvatore,
tu apri un libro strano, difficile e pericoloso perché i suoi capitoli possono essere manomessi, posposti o anteposti, nascosti o evidenziati al punto tale da farne uno strizzacervelli alla cubo di Rubik.
Tu, per esempio, dai per scontato che la fede sia "ancorata a due pilastri fondamentali: la figura di Gesù Figlio di Dio e la sua resurrezione". Ma è proprio così?
Anche per gli ebrei il pilastro della loro fede era l’alleanza con Abramo di cui si ritenevano figli e Gesù smaschera questa loro pretesa col dir loro che "Dio i figli di Abramo li può far nascere anche dalle pietre"!
E Gesù stesso mette in guardia i suoi ascoltatori dal sentirsi garantiti per il fatto di riconoscerlo "Signore" (Cfr. capitolo 7 di Matteo)!
Che cosa è la fede? L’adesione a delle Verità già confezionate?
Forse è più semplice andare per esclusione ed incominciare a dire cosa la Fede non è e quindi, per stare al nostro caso, possiamo tranquillamente affermare che la fede non è adesione alle "verità di fede"!
Forse (e sottolineo forse) questo tipo di fede vale per le "religioni" in genere, compreso il cristianesimo quando questo si declina dentro le categorie della "religione".
Ma il Vangelo, che è la carta costituzionale di chi vuol essere cristiano, è altra cosa.
Non ti scandalizzare, ma voglio portare il discorso ancora più avanti e porre la domanda, a te che ti definisci "non-credente": dove inizia la fede e termina la non credenza?
Ed esiste l’uomo di fede in assoluto, senza dubbi e senza zone d’ombra o, specularmente, il non credente nudo e crudo, anch’egli senza dubbi e senza smagliature?
Io personalmente mi sento l’uno e l’altro. In me la "fede" e la "nonfede" convivono come movimenti dialettici dello stesso sentire.
Per meglio capirci ti riporto il commento alla dodicesima stazione della Via Crucis che ho scritto per la mia comunità.
«Quando fu mezzogiorno si fece buio su tutta la regione sino alle tre dei pomeriggio. Alle tre Gesù gridò molto forte: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato7’» (Mc 15, 33,34).

Dopo queste parole di Cristo, gli atei, i cosiddetti senzadio non sono nostri nemici, ma sono coloro che sperimentano esattamente quel che Cristo ha sofferto in croce.

Non solo.

L’Ateismo, in quanto «destructio idolorum» e non erezione di nuovi idoli, la Fede lo conosce come momento interno a se stessa.

Ciò che si oppone alla Fede non è l’ateismo, ma l’idolatria.
E per fare un aggancio reale alla situazione attuale nostra aggiungevo:
«Io sono convinto che il progetto capitalista attuale sia una idolatria...Sono convinto che nessuna eresia dei secoli passati abbia nociuto tanto al cristianesimo quanto l’idolatria attuale»!
Se ti interessa puoi continuare la riflessione leggendo la meditazione sulla Fede che fa Adriana Zarri, teologa e mistica, sulla rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi "Rocca".
Un abbraccio.
Aldo



Che cos’è la fede?
(Adriana Zarri - Rocca 1 Luglio 2004)


Dov’è che inizia la fede e termina la non credenza? Sappiamo in­fatti che ci si salva per fede, e sappiamo pure che un uomo onesto, anche se non credente, non andrà perduto ma troverà la via della salvezza. E se la via è Cristo («io sono la via, la verità e la vita») e il per­corso salvifico è la fede, dobbiamo dedur­re che quell’uomo ha la fede, anche se non crede in Dio, né nella divinità di Cristo né in quelle che siamo soliti dire «le verità di fede». A questo punto si pone un’altra do­manda: che cos’è la fede? E alla luce di quanto abbiamo detto dobbiamo ancora dedurre che non è l’adesione alle «verità di fede», altrimenti quell’uomo non si sal­verebbe. La fede che salva non sembra quindi consistere nel credere le verità di fede ma in qualche cosa di più ampio e più profondo: un atteggiamento esistenzia­le di disponibilità e di ascolto: uno stato d’animo più che una credenza: ciò che i teologi dicono «la fides qua».
Non sempre quindi i credenti hanno la fede e questi credenti senza fede in realtà sono dei non credenti con l’illusione di credere. E infatti credono, sul piano intellettuale, ma ciò non basta, non è la fede che salva. Dobbiamo ammettere purtroppo che le nostre chiese sono piene di questi non cre­denti. Ma, in compenso, per fortuna, le nostre strade sono piene di credenti ano­nimi ed inconsci; uomini onesti che riten­gono di non credere perché hanno una fede diversa dalla nostra, che non comporta l’adesione alle «verità di fede» e tuttavia è salvifica.
E, se è vero quanto afferma un vecchio adagio «extra ecclesia nulla salus» si pone una terza domanda: dove inizia la chiesa? Quali sono i criteri per definire il «dentro» e il «fuori» di questo recinto che salva? L’istituzione ha dei limiti ben precisi che però non sono salvifici come non è salvifi­ca l’adesione al «credo»: questo condensa­to di verità che ha varie formulazioni (quello oggi più frequente è il niceno-costan­tinopolitano) e che è un utile prontuario ma non serve a salvare. Del resto anche la liturgia ufficiale pone dei legittimi sospetti circa l’ampiezza di quel recinto salvifico, quando, nel secondo canone, parla della chiesa «diffusa su tutta la terra»; e questa non può essere la chiesa istituzionale, che ha una diffusione più limitata e non co­pre tutta la terra. Anche qui dobbiamo pensare che ci si riferisca ad una chiesa dello spirito, costituita da tutti gli uomi­ni onesti e che è la sola al di fuori della quale non esista salvezza. Una chiesa in­teriore che coincide con la fede che salva, della quale fan parte - consapevoli o no - tutti gli uomini che hanno questa interio­re fede.
Ci troviamo quindi di fronte a realtà meno definibili e misurabili, più oscillanti e slit­tanti ma anche più consolatrici, entro le quali si pongono, si muovono e vivono tutti gli uomini onesti, a qualunque cre­denza (o non credenza) appartengano.
La teologia tradizionale ci dice che la fede, insieme con la speranza e la carità, è una virtù teologale infusa nel battesimo. Ma, se quanto abbiamo cercato di dire ha una qualche validità, dobbiamo credere che Dio non sia vincolato ai sacramenti definiti (il cui numero sembra, tra l’altro, influenza­to dalla sacralità del sette) ma possa per­correre altre vie - se si vuole altri sacra­menti - che solo Lui conosce ed ammini­stra. Ci sarà quindi un’altra forma di bat­tesimo nascosto che è il battesimo della buona volontà, attraverso il quale vien do­nata la fede e che possiamo avvicinare a quello che è stato detto il «battesimo di desiderio», anche se di un desiderio incon­scio. In questa luce gli uomini di fede sono gli uomini di buona fede, nel senso più profondo e meno moralistico: gli uomini che, al di là di ogni credo, seguono onesta­mente la coscienza.



Venerdì, 10 ottobre 2008