IL CANTO DEL CIGNO.

(Come si diventa schiavi e impotenti)


di Renzo Coletti

L’ultima svendita industriale italiana, per non dire l’ultima vergogna di un governo fantoccio, dimostra, qualora ve ne fosse stato bisogno, quanto siamo totalmente colonizzati e condizionati dal nuovo impero mondiale anglo americano. Mentre residui intellettuali non trovano risposte e tantomeno soluzioni coerenti ed incisive, l’analfabetismo politico, etico, emotivo, social culturale, palleggia con le responsabilità da attribuire sia a destra sia a sinistra. Il popolo italiano non trova il bandolo della matassa e si rende responsabile con la sua ottusità e il suo immobilismo. Analizzando l’ovvio e la realtà, gli occhi si aprono, le orecchie odono, il cervello riparte. Non sono un super tecnico, non sono neppure geniale, ma ho semplicemente visto una spina staccata e… Ora immaginate pure di guardare la televisione, e concentratevi sino alla prossima pubblicità. Sarò molto parco in proposito, ma potete interrompere ogni qual volta avrete raggiunto il sovraccarico sensoriale. Per orientarsi in una società, complessa come l’attuale, bisogna partire dalle prime cause che conducono ai giorni nostri. Le scelte economiche e sociali della Germania nazista non differivano, per molti aspetti, da quelle statunitensi e dell’italia fascista. Lo Stato e le corporazioni d’allora finanziarono le grandi opere ed i servizi sociali come le autostrade, l’assistenza sociale e, nel caso della Germania anche la sanità. La forza lavoro a basso costo permise l’apertura di filiali industriali americane in Germania, trovando in patria sostenitori ed ammiratori della politica repressiva che Hitler aveva instaurato. L’America, costretta ad entrare in guerra per l’avanzata sovietica su Berlino, fu ovviamente determinante per l’esito del conflitto. Il popolo americano, condizionato dalle restrizioni di una economia di guerra, chiedeva a gran voce la svolta liberista e la competizione che ne sarebbe derivata. Una tale trasformazione non era gradita a quei gruppi industriali e alle corporazioni che avevano tratto profitto e garanzie sino ad allora. Bisognava trovare una soluzione. Il presidente Truman la trovò e la usò senza indugi. Nasceva così il famoso piano Marshall. Lo spauracchio comunista venne utilizzato nel caso italiano, territorio a forte presenza marxista e sindacale, per convincere il congresso americano ad approvare il piano che disinnteressatamente doveva rimpinguare la nostra economia e proteggerci dal comunismo. Ebbe così inizio un controllo più capillare dei mercati italiani. Le agevolazioni concesse per le importazioni sul nostro territorio aumentarono il controllo politico, militare, industriale, che la perdita della guerra aveva di fatto creato. Furono utilizzati a tal fine tutti i mezzi possibili. Dal broglio elettorale del 48, alla strategia della tensione e quindi lo stragismo.La successiva caduta del muro di Berlino offrì le condizioni ideali per smantellare il sistema politico economico. Iniziarono le privatizzazioni e le chiusure o quasi dei gioielli industriali italiani. Potremmo citare ad esempio, senza entrare nel merito, la Olivetti, tutto il settore petrolchimico (Montecatini, Edison, Montedison, Eni, ecc.), la televisione, e persino l’industria automobilistica, nonostante fosse stata quella più protetta e privilegiata. La ricerca quasi inesistente, una politica corrotta, la volontà di non competere per non danneggiare le industrie statunitensi, crearono le condizioni di dipendenza di ogni progetto e limitò quegli imprenditori geniali che avrebbero potuto garantirci il primato in molti settori industriali d’avanguardia. Ma veniamo all’aureonautica italiana.
L’industria aeronautica italiana ha prodotto nel corso dell’anno 6523 apparecchi e 14 820 motori. I lavoratori in essa occupati toccano le 100 000 unità. In presenza di tali cifre, può dirsi che l’Italia sia or­mai una potenza tra i paesi produttori di aerei.
Peccato che l’anno cui tale dato si riferisce sia il 1918, non il 2002. Nel 2002 la nostra in­dustria aeronautica ha consegnato, ad opera di Ale-nia Aeronautica (Gruppo Finmeccanica) una ventina di fusoliere dell’aereo bimotore turboelica da tra­sporto regionale ATR 42/72, numeri che indicano il rango dei posti disponibili a seconda dei modelli; ol­tre a una quindicina di velivoli «executive» P. 180 da sette-nove posti firmati Piaggio Aero, anch’essi biturbo. Sia gli ATR che i Piaggio, per quanto am­modernati e tuttora competitivi sui rispettivi merca­ti, hanno ormai un’età abbastanza inoltrata per un aereo: sono infatti entrati in servizio rispettivamente nel 1984 e nel 1986.
Ad essi si possono aggiunge­re una quarantina di aerei per l’addestramento di pi­loti da caccia costruiti dall’Aeronautica Macchi, da fine 2002 controllata anch’essa da Finmeccanica tramite Alenia.
In totale, salvo errore, si tratta d’una produzione annua di 50-60 aerei interi di piccole dimensioni, di cui soltanto 15 destinati all’aviazione commerciale, più 20 mezzi aeroplani civili di grandezza medio-piccola. Nessuno di tali aerei è dotato di motori progettati in Italia. Quelli dell’ATR, ad esempio, sono forniti dalla Pratt & Whitney Canad e vengono montati sull’ala negli stabilimenti del pari ner EADS a Bordeaux. Sebbene le stime siano complesse, poiché entro ciascuna delle aziende citate vari tipi di produzione si sovrappongono, gli addetti diretti alla costruzione di tali aerei dovrebbero aggirarsi in complesso sulle 3000-4000 persone.
L’occasione per diventare grande nel settore dell’aeronautica civile fu offerta all’Italia tra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Sulla base di un memorandum d’intesa siglato un paio d’anni prima, e dei risultati di un gruppo di lavoro comune ancora precedente che aveva delineato il progetto di fattibilità di un aereo europeo da 300 posti, nel mar­zo ’69 a Bonn i governi francese e tedesco si accor­dano per produrre insieme un aereo civile di grande capacità in grado di opporsi al dominio delle case sta­tunitensi Boeing e McDonnell-Douglas, che più tardi sarebbe stata assorbita dalla prima. I francesi pro­pongono come partner l’Aérospatiale, società a par­tecipazione statale; i tedeschi, la Daimler-Benz Ae­rospace. Nel 1970 viene ufficialmente costituito un consorzio in un quadro giuridico francese, lo Airbus GIE, dove la sigla sta per Groupement d’Intérêt Eco­nomique, con sede a Parigi. Nel 1974 la sede sareb­be stata trasferita a Tolosa, dove opera tuttora, in­sieme con uno dei maggiori stabilimenti del gruppo, quello impegnato nell’assemblaggio finale dei gigan­teschi aeromobili. Un anno dopo la sua fondazione entrano nel consorzio la British Aerospace, che ave­va appena acquisito il primigenio partner inglese di Airbus, la Hawker Siddeley, e la spagnola Construc­ciones Aeronáuticas S.A.
Fin dai primi contatti tra i paesi interessati fu pro­posto anche al governo italiano di partecipare al con­sorzio. Ciò in considerazione sia dell’alto statuto tec­nologico della sua industria aeronautica, sia dell’im­portanza che rivestiva l’avere in un consorzio creato con dichiarate ambizioni di primato internazionale uno dei principali paesi fondatori della Comunità Eu­ropea. Il nostro governo si mostrò subito riluttante. Giudicava troppo onerosa per il bilancio la quota di ingresso nel consorzio necessaria per avere in esso un qualche peso decisionale. Temeva che il tentativo di produrre aerei così grandi sarebbe stato quasi certa­
mente un insuccesso commerciale: la classe politica italiana ha sempre avuto idee vaghe su ciò che signi­fichi essere un imprenditore, il tipo che si assume un rischio collegando tra loro diversi fattori di produ­zione. V’è anche ragione di credere che il governo italiano non desiderasse dare un dispiacere all’indu­stria americana, dimostrando in questo caso di esse­re più atlantista della Gran Bretagna. Dopo aver ter­giversato un paio d’anni decise di rimanere fuori dal consorzio Airbus. Fu probabilmente la decisione più dannosa per la nostra aeronautica civile, e per il pae­se, che un governo italiano abbia preso in tema di po­litica industriale.
In sintesi, l’Airbus è stata ed è l’iniziativa meglio riuscita in campo tec­nologico ed economico che paesi europei abbiano in­trapreso nell’ultimo mezzo secolo.
Nel 1999 all’Italia si era aperta nuovamente una porticina per entrare nell’ impresa Airbus. Nulla più di una porticina, perché si trattava di partecipare al­lo sviluppo d’un solo modello di aeroplano, e per di più di tipo militare, a fronte della dozzina e passa di modelli commerciali presenti nel catalogo di Airbus. Il varcarla avrebbe comunque permesso di diventare partner titolare del consorzio. In tale anno veniva co­stituita, dopo un lungo periodo di lavori preparato­ri, la Airbus Military Company allo scopo di costruire l’aereo militare da trasporto A-400M, destinato a so­stituire i vecchi C-130 della Lockeed in servizio pres­so diversi paesi europei, Italia compresa. La Finmeccanica avrebbe dovuto parteciparvi con una quota del 15%. Sennonché nello stesso anno l’Italia ordinava una ventina di aerei C-130 modificati, investendo in essi una quota di capitale superiore a quella che avrebbe dovuto sborsare la Finmeccanica per parte­cipare alla nuova società. Per fare entrambe le cose sarebbero quindi venuti a mancare i fondi. Motivo addotto dal governo per la decisione: non possiamo aspettare il 2015 per ammodernare la nostra flotta da trasporto militare - quasi che gli aerei si ordinino so­lo quando quelli in servizio cominciano ad andare in pezzi. Tre anni dopo, la partecipazione al progetto A-400M viene definitivamente affossata dal gover­no Berlusconi. Altri motivi addotti ufficialmente: l’aereo Airbus costa troppo, lo stato del nostro bi­lancio per la difesa non ce lo permette. I C-130 ame­ricani ristilizzati in fondo vanno benissimo. E i «ver­tici militari» attribuivano una «bassa priorità opera­tiva» al programma.
Quanto è costato all’Italia restar fuori dal con­sorzio, poi società Airbus ? Vi sono, nei bilanci delle attività e delle politiche industriali, elementi tangi­bili e intangibili. Un elemento tangibile è il persona­le occupato in un’azienda o in un settore. La costru­zione di grandi velivoli commerciali è un’attività ad altissima intensità di lavoro e di conoscenza. Per quanto sia cospicuo in essa l’uso della progettazione assistita dal calcolatore e l’impiego di macchine a con­trollo numerico, l’intero ciclo di fabbricazione, alle­stimento e montaggio di un grande aereo richiede ol­tre 250 000 ore di lavoro umano specializzato. Come s’è detto l’Airbus dichiarava nel 2002 d’avere 46 000 dipendenti. Almeno tre volte tanti erano quelli del suo indotto distribuito in quasi tutta la UE. Poiché i diversi partner nazionali sono stati ben attenti a questo aspetto, la distribuzione dei dipendenti nei diversi paesi risulta grosso modo proporzionale alle loro quote di partecipazione. Se l’Italia avesse par­tecipato fin dall’inizio a Airbus con una quota del 20%, non superiore a quella della Spagna o del Re­gno Unito - al presente partner minoritario della so­cietà -, oggi si ritroverebbe quindi all’incirca con 8000-9000 dipendenti Airbus, e circa 25 000-27 000 nell’indotto. In totale, intorno a 35 000 posti di la­voro altamente qualificati.
Ciò che è accaduto successivamente non è molto importante, ma sappiamo tutti come sta finendo la nostra compagnia di bandiera e chi ha avuto le responsabilità maggiori. Cosa si cela dietro una simile ignoranza imprenditoriale e quali effetti si vogliono raggiungere sembra terreno sconosciuto e impossibile. Pensare che i nostri governanti abbiano intenzionalmente dissolto la nostra industrializzazione, abbiano intenzionalmente creato le condizioni per un licenziamento di massa e prodotto una crisi senza precedenti, sembra poi mostruoso e inverosimile. Pensate invece cosa abbia significato la legge sulla flessibilità e la mobilità, poi pensate a tutti i tipi di contratti di formazione, al precariato e allo sfruttamento degli exracomunitari e gli stipendi da fame che ci vengono dati e proposti sempre più bassi e insufficienti, quindi le industrie che vanno all’estero o producono in parte, sempre più incisiva, in nazioni a costo lavoro quasi zero, poi tirate le somme. Ricordatevi dei dati sopra citati, quindi immaginate cosa abbiamo perso in posti di lavoro, ricchezza procapite, dignità lavorativa, e servizi sociali, scolastici, sanitari, pensionistica e sicurezza in tutti i sensi. Cercate di cogliere negli occhi di chi vi parla di famiglia, di coppie stabili, di matrimoni come sacramento, di chi parla dei vostri figli, l’ipocrisia e la malafede e la diabolicità del messaggio!
Come può esistere un mondo di pace, una famiglia stabile, come può nascere un figlio a chilometri di distanza, se la madre lavora a Milano e il padre a Palermo? Come dice Bossi: “La deregulation” non è la fine dell’uomo sociale e l’inizio dell’uomo merce? Ti uso e ti getto, se mi va bene ti sposto, altrimenti ci rivedremo all’inferno. Lo schiavo di un tempo aveva trattamento forse migliore. Cibo e alloggio erano garantiti, come un minimo di vestiario. Se analizzassimo i problemi psicologici che la nostra società ci imprime come un marchio, si dovrebbero scrivere dei trattati.
Abbiamo parlato di aeronautica e terminiamo con essa.
Quanto segue non è fantascienza, ma realtà già sperimentata in realtà di guerra. Leggete e poi pensate: “siete ancora tranquilli? Volete Berlusconi santo subito? Germania ed Italia intenderebbero acquistare dagli Stati Uniti rispettivamente cinque e quattro MQ-9 Reapers (prima noti come Predator-B), i nuovi UAV bombardieri che gli USA hanno da poco iniziato a schierare in Iraq ed Afghanistan: lo riferisce l’agenzia AFP, citando notificazioni al Congresso statunitense da parte della Defense Security Cooperation Agency (DSC).

Entrambi i Paesi intenderebbero usare i droni «per la protezione di truppe schierate al suolo, per garantire la sicurezza regionale e per motivi di interoperabilità con gli Stati Uniti», secondo quanto dichiarato dalla DSCA al Congresso.

LA SCHEDA:
Il Reaper, noto anche come “cacciatore killer”, vola più veloce, più in alto e più lontano del suo predecessore MQ-1 Predator. Può imbarcare quattro missili Hellfire and due bombe a guida laser da 230 chili (contro i soli due missili Hellfire del Predator) e, guidato da due persone (pilota e operatore dei sensori), può spingersi fino a circa 5.000 chilometri di distanza e rimanere in volo fino a 24 ore tracciando il bersaglio per lunghi periodi o effettuando missioni di ricognizione e sorveglianza.
I Reapers sono realizzati dalla General Atomics Aeronautical Systems e costano ciascuno 53,5 milioni di dollari. Hanno un’apertura alare di 20 metri , una lunghezza di 11 e una velocità massima di circa 400 chilometri orari.
Giunti a questo punto si possono trarre delle conclusioni. La forza distruttrice che ha l’impero anglo americano e israeliano, sono da incubo , il potere economico e politico non sono da meno, le tecnologie e le leggi sulla sicurezza sono più che da incubo, il fine è infernale e si chiama mondializzazione. Nessun governo mondiale può nascere da una logica democratica e umanistica, nessuna globalizzazione può emergere se non da un caos organizzato e controllato artificialmente, nessun impero è mai sorto spontaneamente e pacificamente. Se oggi il caso Alitalia dimostra quanto sia putrido il mondo politico ed economico, se ciò che definiamo destra, centro, sinistra, si frantuma in un confronto di questa portata, se il sindacato non è in grado di gestire né tantomeno proporre scelte e argini da non superare, cosa può esserci dietro l’angolo della Storia? Se ho iniziato parlando del confronto tra nazismo tedesco e politica economica americana,, ho ricordato il piano Marshall , è per far comprendere che oggi la scelta per la creazione del governo mondiale non possono prescindere da questa identica logica. La guerra se non c’è bisognerà inventarsela, se c’è il nemico ha già più volti intercambiabili. La vecchia Europa, un tempo culla di molte civiltà e faro indiscusso del mondo conosciuto, vive la frantumazione in una unificazione forzata sia finanziaria che militare. Sarà forse il trampolino verso l’oriente e in particolare l’ex U.R.S.S., oppure qualcosa non funzionerà? La nuova fisica ci insegna che una variabile, anche minima, può interagire con altre forze e diventare dominante. Se la farfalla può creare un ciclone, un a idea ed un nuovo ideale potrebbero soffocare il mostro che ci sta guidando. La Terra non permetterà che un suo figlio possa distruggerla, ma cambierà solo il suo affetto verso chi si meriterà la sua stima.

Renzo Coletti.


(I dati citati provengono dal libro di Luciano Gallino: “La scomparsa dell’Italia industriale” Einaudi editore.)



Martedì, 23 settembre 2008