Breve nota sul relativismo.

di Rosario Amico Roxas

Si intrecciano le discussioni intorno al “relativismo”, ma senza chiarire cosa  sta nel calderone relativistico, esprimendo condanne generalizzate o assoluzioni formali.

Bisogna partire dalla considerazione che il relativismo non è una teoria o una ideologia, bensì un “metodo” di analisi e, quindi, di valutazione, che, per avere valenza scientifica, non può operare scelte a monte secondo i modelli culturali evidenziati da una sola parte.

L’esigenza di uno studio approfondito delle varie culture si è fatta urgente alla luce della mondializzazione che prevede una possibile e necessaria integrazione tra popoli di culture diverse. L’imposizione di una cultura, senza le dovute tappe frutto di analisi sociologiche, antropologiche, etiche, psicologiche, lungi dall’essere viatico di integrazione diventa una forma mimetizzata di coercizione. 

L’elemento estraneo che si inserisce dentro una cultura diversa deve affrontare il problema della ri-socializzazione, intesa come adeguamento ai nuovi parametri vigenti nella cultura ospite.

In un primo momento scatta lo “shock culturale” che può essere facilmente superato se la cultura ospite favorisce il nuovo arrivato e ne promuove l’integrazione; ma quando la cultura ospite manifesta ostilità  e rifiuto allora avviene  un “eclissi culturale” (v. Rosario Amico Roxas, Tunisie: le defi du 2000, ed. Universitaires La Manhnuoba, Tunisi 2001), inteso come mancanza di ogni riferimento: manca la propria cultura perché disapprovata e respinta e manca la nuova cultura perché non favorita nel recepimento, nella comprensione e nell’adattamento.

Tutto ciò provoca una regressione culturale che porta il nuovo arrivato a richiudersi dentro i propri valori, come in un torre, isolandosi dal contesto che lo respinge. L’analisi sociologica serve proprio a questo, a valutare le condizioni migliori perché l’integrazione diventi un momento costruttivo e non demolitore del patrimonio che ognuno porta con sé.

Devono essere gli stessi appartenenti al nuovo gruppo, adeguatamente istruiti, che devono farsi portatori delle nuove norme e dei nuovi modelli culturali e condurre per mano il proprio gruppo verso l’accoglimento dei valori culturali che li ospitano; ipotizzare, come avviene, il metodo coercitivo conduce inevitabilmente a scontri  e incomprensioni difficilmente sanabili.

L’idea dell’eclissi culturale che svuota i singoli di ogni valore e li lascia sbandati dentro un coacervo di ipotesi che non conoscono, rappresenta l’antitesi del dialogo e del confronto.

Peraltro viene denigrato il relativismo, ma solo per poterlo applicare lì dove più conviene:

il federalismo fiscale è relativismo perché  premia talune regioni che per motivi contingenti si ritrovano a godere di una migliore e più proficua produttività, per penalizzare le altre che quei motivi contingenti e temporanei non hanno.  

L’utilizzo differenziato della giustizia è relativismo, specie quanto propone tolleranza zero per taluni reati e massima tolleranza per altri reati, addirittura legiferando per ammorbidire l’impatto del reato con il concetto di giustizia, come la depenalizzazione di taluni reati.

L’uso della Sanità non equilibrato è relativismo quando fornisce servizi primari da una parte e malasanità da un’altra. E così via.

Trasportare poi l’anti-relativismo sul terreno della ricerca del giusto e del non giusto, del vero e del falso, rischia di riportarci ad una nuova sofistica, dove giusto e vero coincidono con le scelte del più forte e servono solo a dilatare sempre più la forbice che divide i possessori dai nullatenenti, i produttori dai consumatori, i creditori dai debitori,  elevando un muro insonorizzato attraverso il quale ogni ipotesi di dialogo diventa impossibile.

Rosario Amico Roxas



Luned́, 05 maggio 2008