Convegno a Genova dell’Associazione «31 Ottobre» sulla multiculturalità in Italia
SCUOLA DELLA REPUBBLICA ITALIANA, MULTICULTURALITA', E LAICITA'. Come costruire una scuola del confronto e del dialogo? - di Stefania Bozzolo

Il Convegno è stato anche occasione per presentare il libro, Quale laicità nella scuola pubblica italiana? I risultati di una ricerca, a cura di L. Palmisano e del Gruppo Scuola e Laicità,


a cura di Federico La Sala

 

Convegno a Genova dell’Associazione «31 Ottobre» sulla multiculturalità in Italia
 
La nuova società nasce solo a scuola
 
Ma come costruire una scuola del confronto e del dialogo se si continuano a tagliare risorse umane e finanziarie? Due soli esempi: l’ora alternativa alla religione e la seconda lingua
 
 La nostra Chiesa valdese di Genova ha messo a disposizione
dell’Associazione «31 ottobre», promossa dagli evangelici
italiani per difendere e potenziare la scuola laica e pluralista,
i propri locali per l’annuale convegno nazionale che si è svolto
sabato pomeriggio 12 settembre e per l’assemblea dei soci
che ha invece avuto luogo la domenica mattina.
I relatori, al di là dei titoli assegnati, hanno trattato il tema
generale della multiculturalità nella scuola nei suoi diversi
aspetti specifici (normativa, azioni, sensibilità collettiva)
avendo però sempre ben presente la situazione attuale
creatasi a seguito dell’approvazione della Legge 94 del
2009, cioè il cosiddetto «pacchetto sicurezza».
 
di STEFANIA BOZZOLO (“Riforma”, 25 settembre 2009)
 
 
ADRIANO Bertolini, dirigente
scolastico e membro
della Tavola valdese, collegandosi
direttamente anche
ai contenuti degli Atti sinodali
sulla Legge 94 e al tema del
sermone di apertura del recente
Sinodo stesso («fate il
bene della città»), ha messo
l’accento sul senso di sudditanza
che gli atti legislativi approvati
in questi ultimi anni in
Italia provocano nei cittadini
stranieri. Ha illustrato in modo
veloce ma esauriente la
normativa della scuola italiana
la quale si richiama ai principi
dell’integrazione e dell’interazione
per offrire occasioni
di incontro e scambio.
 
In questo
senso si possono trovare in
diverse realtà esperimenti
significativi e, come li definisce
Clotilde Pontecorvo*,
persino commoventi stante
le poche risorse generalmente
disponibili. Purtroppo le
nuove norme in materia di
cosiddetta sicurezza, contrastano
con la normativa complessiva
e persino con la precedente
legge sull’immigrazione,
nota come Bossi-Fini.
 
I bambini stranieri hanno
tutti il diritto/obbligo a essere
iscritti a scuola, secondo la
loro età, a prescindere dalla
loro condizione. La normativa
traccia un sistema di opportunità
e non di mera assimilazione
allo status di italiano,
anche attraverso strumenti
di accoglienza quali
questionari bilingue e mediatori
culturali. Nelle indicazioni
per il curriculum 2007 si
dice che le radici culturali diverse
devono trasformarsi in
una opportunità.
 
Ma tutto
questo è collegato alla disponibilità
di risorse, soprattutto
umane: una esemplificazione
in questo senso è rappresentata
da compresenza e da
contemporaneità degli insegnanti,
dal personale tecnico
aggiuntivo. Alla contrazione
di risorse messe direttamente
a disposizione dallo Stato dovrebbe
potersi far fronte con
aiuti da parte degli enti locali
che non versano in una migliore
situazione. I tagli fin
qui operati vanno a colpire
punti valoriali: la possibilità
di integrazione multiculturale,
l’alternativa all’Insegnamento
della religione cattolica
(Irc); elementi peraltro che
sono il frutto di un percorso
di costruzione del progetto
educativo durato anni.
 
Manca l’integrazione
 
Mostafa El Ayoubi, caporedattore
della rivista Confronti,
ha messo in evidenza come il
complesso normativo illustrato
da Bertolini non possa nella
pratica funzionare perché
non è supportato da un piano
complessivo di integrazione.
In modo pragmatico, su un
piano civico e laico, ha posto
una domanda: per quale motivo
dovremmo «perdere tempo» a parlare di necessità
dell’integrazione? E la risposta
che ci ha dato si è rivelata
semplice, quasi ovvia: perché
ciò è funzionale alla costruzione
di una società meno
conflittuale e più pacifica. E il
luogo per eccellenza dove è
possibile educare alle diversità
culturali, al confronto con
altri, che pensano diversamente
da noi, è la scuola.
 
 Ma
per fare questo occorrono risorse
umane ed economiche
dedicate e collegamenti organici
con altre istituzioni. Un
esempio fra tutti della scarsità
di investimento è rappresentato
dalla improvvisazione
nell’insegnamento della seconda
lingua oltre l’italiano;
lingua straniera che non solo
non è bagaglio culturale della
stragrande maggioranza degli
insegnanti ma per la quale
non vi è nemmeno una seria e
reale programmazione di aggiornamento
specifico.
 
Eppure
il fenomeno dei bambini
stranieri presenti sul nostro
territorio e frequentanti le nostre
scuole è stato costantemente
in crescita negli ultimi
dieci anni; e ancora, questi
stessi bambini nati in Italia o
qui arrivati piccolissimi, fra
15-20 anni faranno parte a
tutti gli effetti della popolazione
dello stato. Ma che cosa
fa lo Stato per loro?
Qui El Ayoubi ha introdotto
due punti fondamentali e
spesso sottovalutati. Innanzitutto
il concetto di cittadinanza.
 
 
Per lo Stato italiano
sei cittadino per appartenenza,
per discendenza. Il bambino
nato in Italia da genitori
stranieri potrà chiedere di diventare
cittadino solo con la
maggiore età: ma appunto
avanza una richiesta che,
quindi, deve essere accettata;
e non sempre avviene. Non
essere cittadino pone molte
limitazioni, prima fra tutte
quella psicologica di essere
comunque «altro» rispetto alla
generalità, per esempio,
dei propri coetanei.
 
Il secondo
elemento è quello della
mancanza di laicità, dal quale
deriva l’assenza di un modello
organico di integrazione,
nonché alcune particolarità
italiane come l’insegnamento
dell’Irc e la sua sempre maggiore
presenza, seppure non
dichiarata, in altre discipline
scolastiche. Il relatore ha sottolineato
come una buona
educazione multiculturale
possa scongiurare lo scollamento
degli stranieri dal resto
della società, che produce
la nascita dei ghetti e dei fenomeni
che oggi vediamo svilupparsi
nelle banlieue francesi,
così come di scuole confessionali
specifiche per ogni
gruppo religioso.
 
La voce del migrante
 
L’intervento di Eric Darko,
predicatore locale nelle chiese
del VII Circuito, ci ha permesso
di prendere coscienza dalla
viva voce di un «migrante»
delle difficoltà quotidiane e
delle discriminazioni che subisce
chi viene da un altro
paese. Darko ha sottolineato
che si dovrebbe parlare più di
inserimento che di integrazione,
termine che può facilmente
indurre in fraintendimenti,
e come la normativa da una
parte e l’atteggiamento di
molti dall’altra fanno sì che
l’immigrato si senta messo ai
margini. Malgrado le difficoltà
che ci ha raccontato anche attraverso
brevi ma spesso dolorosi
aneddoti dai quali
emerge un razzismo strisciante
e purtroppo diffuso, ha saputo
offrirci una testimonianza
di fede, che sostiene l’individuo
e lo sprona a non abbattersi,
a non smettere di lottare
per i propri diritti.
 
Luogo di incontro e dialogo
 
Infine è intervenuta Nunzia
Notaristefano, in rappresentanza
della Federazione giovanile
evangelica italiana (Fgei),
che ha individuato la scuola
come luogo privilegiato di incontro
e dialogo, dal quale gli
stranieri possono partire per
inserirsi nel tessuto sociale e
gli italiani per conoscere altre
culture; quindi luogo di relazione,
luogo dove nasce il desiderio
di costruire la società
di cui si fa parte.
 
La scuola
non deve essere uno spazio di
parcheggio ma di educazione
reciproca di tutti gli attori
coinvolti (studenti, famiglie,
insegnanti), non solo di educazione
e apprendimento ma
di transizione, ponte tra culture
e generazioni, vivendo le
differenze come una «complicata
ricchezza».
 
Il tema della
scuola si collega inoltre con
l’«Essere chiesa insieme», ponendo
l’accento sul significato
di «chiesa» cioè di condivisione.
La scuola è tema centrale
della ricerca della Fgei, quale
punto di incontro tra vita religiosa
e vita della società.
 
Il Convegno si è concluso
con interventi che hanno posto
l’accento soprattutto sulla
necessità di garantire spazi di
multiculturalità e sulla difficoltà
della scuola italiana,
anche nelle sue espressioni
più laiche e rispettose delle
diversità, a garantire l’insegnamento
alternativo alla religione
cattolica.
 
* Clotilde Pontecorvo, pedagogista Università di Roma,   
 
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Una ricerca del sindacato in collaborazione con le chiese
La scarsa consapevolezza laica dell’Italia
 
 
 
Il Convegno è stato anche
occasione per presentare la
pubblicazione dei risultati di
una ricerca, svolta con la collaborazione
delle chiese valdesi
e metodiste di Liguria,
Basso Piemonte e Puglia, della
Flc-Cgil oltre ovviamente
all’«Associazione 31 ottobre»,
condotta per cominciare a
esplorare la realtà dell’Insegnamento
della religione cattolica
e delle attività a esso
alternative nella scuola pubblica.
Inoltre il libro riporta
interventi di un seminario tenuto
nel marzo 2008 a Savona,
nel quale si è trattato di
laicità nella scuola pubblica.
 
La lettura evidenzia un
quadro abbastanza sconfortante
dal quale emerge la
scarsa consapevolezza e le
difficoltà delle famiglie a far
rispettare il diritto a non avvalersi
dell’Irc, materia, questa,
che acquisisce sempre
più un carattere curricolare,
con continui tentativi da parte
degli organi ministeriali di
maggiore collegamento alle
altre materie, mentre contestualmente
si contraggono le
risorse dedicate alle attività
alternative, come più volte
evidenziato dagli interventi.
 
Il problema centrale è a parere
di chi scrive rappresentato
dalla scarsa consapevolezza
nella società italiana della dimensione
laica.
 
Nella presentazione
al libro, Morena Piccinini,
segretaria nazionale confederale
Cgil, ricorda l’ordine
del giorno approvato durante
il XV Congresso della stessa
organizzazione sindacale, che
«richiama i temi della laicità e
della conoscenza, nel quale si
afferma che il “principio della
laicità” è diretta espressione
di una società pluralista e inclusiva
che si arricchisce del
contributo di tutti, garantendo
lo scambio e il reciproco rispetto,
senza imporre una
propria visione del mondo,
ma unicamente le regole che
la Costituzione italiana ha posto
alla base della nostra convivenza
civile. (…) La laicità è
un abito mentale che deve essere
sostenuto da una scuola
che sappia respingere condizionamenti
(….) così che si
possano formare cittadini
consapevoli, tolleranti, predisposti
alla pace e alla collaborazione
tra i popoli»*. (s.b.)
 
* Presentazione del libro Quale
laicità nella scuola pubblica italiana?
I risultati di una ricerca, a
cura di L. Palmisano e del Gruppo
Scuola e Laicità, pag. 5.


Martedì 22 Settembre,2009 Ore: 20:36