Fuga dall’ora di religione?

di Ermanno Genre

docente di teologia pratica alla Facoltà valdese di teologia di Roma


Nel giro di poche settimane il quotidiano La Repubblica ha dedicato due articoli alla “fuga” dall’ora di religione cattolica degli studenti delle scuole superiori. I titoli: “Torino: un solo alunno a religione, per gli altri il supplente” (31.10.2007); “Ora di religione, studenti in fuga al Nord uno su 4 non frequenta” (19.11.2007). Nulla di nuovo sotto il sole, senonché a la Repubblica risponde, offeso, il quotidiano cattolico della CEI, Avvenire, con un titolo ad effetto: “Fuga dall’ora di religione? No, scappano dalla scuola” (20.11.2007). Se Avvenire avesse letto con un po’ di attenzione la letteratura pubblicata sull’argomento in questi ultimi 20 anni (in particolare le ricerche curate dall’Istituto di Teologia Pastorale dell’Università salesiana), avrebbe sicuramente titolato diversamente.
Anziché interrogarsi autocriticamente sul perché di questo esodo (che non è certamente sempre un esodo verso la terra promessa e verso la libertà) Avvenire si inventa che in realtà questi ragazzi delle superiori “scappano dalla scuola”. Forse scappano anche dalla scuola, ma una cosa è certa: non è l’ora di Insegnamento della religione cattolica (IRC) ad offrire un esempio di credibilità in quella scuola da cui scappano! Metterla in questi termini, come fa il giornale cattolico, è veramente un’operazione poco dignitosa. Serve alla causa cercare di giustificare con argomenti leggeri un’emorragia irreversibile, anziché interrogarsi sulle vere e non presunte cause di questo abbandono?
Che senso ha colpevolizzare chi si avvale di un diritto riconosciuto e accusare la scuola di Stato che finanzia un insegnamento facoltativo? Ha ragione don Michele di Tolve nel dire che attraverso l’insegnamento religioso è sempre anche in gioco un’offerta di senso, ma lo si può ancora gestire in modo confessionale, senza occuparsi di chi è cristiano ma non cattolico o di chi è interessato al fatto religioso ma non in senso confessionale? La risposta è data dai ragazzi e ragazze che scelgono di “non avvalersi”, e fra questi vi sono anche molti cattolici che sarebbero certamente interessati a confrontarsi con i compagni e compagne di classe, in un libero dibattito, in cui non vi sia più una confessione che si pone al centro e di qui giudica ogni cosa. E’ ciò che da anni è avvenuto in quasi tutte le scuole d’Europa, anche nei paesi “cattolicissimi” come la Spagna. Ma l’Italia su questa materia ancora non è entrata in Europa, resta provinciale.
La via maestra per rendere insignificante il cristianesimo nel nostro paese è proprio quella di mantenere l’IRC così com’è, insegnanti pagati a fare lezione ad un alunno, perché per l’ora di religione non si accorpano le classi: “i costi non riguardano noi” dice don Bruno Porta. E’ proprio così? Enrico Panini, della CGIL, fa il conto e sostiene che l’accorpamento produrrebbe un risparmio di 37 milioni di euro. Non riguarda l’intera cittadinanza che paga l’IRC questo risparmio?
Il difetto è nel manico, e tale resta anche là dove vi sono (e vi sono, eccome) degli ottimi insegnanti di religione cattolica. La CEI continua a far quadrato attorno all’IRC, è un suo diritto sancito dal nuovo Concordato. Ciò che non è invece un suo diritto è di impedire che la scuola di Stato istituisca un insegnamento curricolare del fatto religioso per tutti gli studenti, in modo non confessionale, provvedendo a formare adeguatamente gli insegnanti. Ci vuole del tempo, ma è possibile, perché è quanto avviene in genere al di fuori dei confini nazionali. Saprà il nuovo PD raccolto attorno a Veltroni assumere responsabilmente questo problema che il ministro Fioroni si è ben guardato dall’affrontare? (NEV 47/07)

Per approfondimenti: E.Genre, F. Pajer, L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, ed. Claudiana, 2005.



Giovedì, 22 novembre 2007