NATALE A PIU’ VOCI
La festa della nostra umanità

di Piero Stefani

È parola antica della fede che la festa dedicata a celebrare la nascita di Gesù attesti il grande spazio assunto dall’uomo nel cuore di Dio. Il Verbo si è fatto carne affinché Dio potesse congiungersi a ogni cosa impedendo così che la sua creazione cadesse nei gorghi del nulla. In una sua lunga predica (Dies sanctificatus), pronunciata nella notte di Natale del 1440, Nicolò Cusano affermò che tutte le cose conseguono il loro fine ultimo in Dio soltanto mediante Cristo. Per il dotto umanista la scelta di pensare all’essere umano come a un microcosmo è fondamento stesso del darsi del creato: «Infatti se Dio non avesse assunto la natura umana - la quale compendia in sé tutti gli altri esseri come loro centro unificante - l’universo nella sua totalità non sarebbe compiuto e perfetto, anzi non sarebbe affatto un universo».
Da allora è passato più di mezzo millennio e molto è mutato. L’universo misurato con il metro immenso dei miliardi di anni luce è consegnato, in riferimento sia allo spazio sia al tempo, a dimensioni ardue da confrontarsi con la nostra ridotta umanità. Anche sulla terra le epoche si sono allungate a dismisura: alle spalle del nostro essere biologico gli anni si contano a milioni, e per giungere al genere umano c’è voluto un lunghissimo succedersi di specie. In questo contesto culturale l’etica ha perciò scalzato l’ontologia; è la prima e non la seconda il linguaggio più udibile per dire la dignità umana. Non ci importa più essere il centro di tutto; ci basterebbe essere capaci di riconoscerci reciprocamente come prossimo.
Paolo VI scrisse che il Natale «è la celebrazione dell’umanesimo più vero e più bello, giunta all’espressione della sua cosciente maturità» e, ripensando ai suoi maestri di oltralpe, aggiunse: «l’umanesimo vero e completo non può essere che cristiano». Se questo fosse il senso ultimo legato alla nascita di Gesù, il Natale giacerebbe quasi tutto ancora davanti a noi. Anche senza volerlo - e la constatazione aggrava e non alleggerisce la responsabilità collettiva - viviamo in una maniera tale per cui alcuni gruppi umani hanno, di fatto, più diritto di esistere di altri. In questo contesto la centralità etica assume i colori, non effimeri ma neppure rilucenti, del dover essere. Nella realtà fattuale la dignità umana è tradita e avvilita. Attorno alla culla di Betlemme si affolla un’umanità degradata e offesa vittima della perpetua, interminabile violenza fatta dall’uomo sia sull’altro uomo sia su tutto quanto ha in sé alito o linfa di vita. Il bambino si pone là, in mezzo alle creature, tanto per dirci la nostra dignità quanto per indicarci la nostra enorme responsabilità. Il Natale, lungi dall’essere la festa più dolce, è tra tutte la più esigente. Sarebbe addirittura disperante senza la Pasqua, vale a dire senza il giorno che ci consegna a una fede e a una speranza capaci di passare attraverso la morte.
Nelle nostre società il Natale sembra attestare in modo incontrovertibile l’odierno scacco patito dalla volontà di trasmettere la fede di generazione in generazione. Se si ascoltano le voci della gente non è raro udire, per strada, sui treni, sugli autobus, la domanda rivolta al vicino di come trascorrerà il Capodanno. L’inventiva, le scelte, le effimere attese, i desideri più riposti mascheratisi di fatuità si concentrano ormai su quella data. Il 25 dicembre sembra invece essere condannato alla ripetizione. Il numero di coloro che credono per davvero nel Figlio di Dio fattosi uomo si assottiglia sempre più. Nei nostri paesi cristiani la maggior parte delle persone ormai non comprende neppure il senso di un’espressione come «Verbo incarnato». Il cuore del messaggio del Natale è avvolto in una notte priva di stelle. Eppure non è solo facile consolazione affermare che proprio questa situazione ci dà la possibilità di capire, dopo molti secoli, l’autentico significato dell’evangelo.
Il messaggio universale della buona novella sta nell’affermare che nessuno è salvo per il solo fatto di essere là dove si è trovato a nascere. L’appartenenza nominale a un’etnia, a una società, a una collettività, a un gruppo, a una chiesa non è garanzia di salvezza. Quest’ultimo termine può essere rivestito di una miriade di significati tra loro eterogenei, ma al si sotto di essi, anche nel caso in cui non riguardi l’aldilà, resta comunque la presenza di un nucleo accomunante. In un tempo in cui, stoltamente, le identità sono considerate salvifiche, l’evangelo diviene, a un tempo, perenne segno di contraddizione e attestazione di una dignità umana posta a un livello più alto della pura appartenenza collettiva. Tradisce la buona novella chi, prima di proclamare la libertà di coscienza, aggiunge un «nonostante». Ragionare in questo modo: «qui c’è la verità che ti rende felice e rappresenta la piena realizzazione umana, nonostante tutto però tu sei libero e puoi anche rifiutarla», significa non accogliere in pieno il messaggio evangelico. In luogo del «nonostante», ci vuole un «proprio per questo».
Costringere a credere, in qualunque modo ciò avvenga, equivale a rinnegare il Natale. È trascorso il tempo in cui si andava alla messa di mezzanotte per pura consuetudine. È antievangelico averne nostalgia. L’assillo della trasmissione della fede è tanto più reale quanto più si coniuga con il rispetto assoluto rivolto alla libertà di coscienza: quest’ultimo atto è in se stesso garanzia di verità. La figura che oggi forse più di ogni altra rappresenta la trasmissione della fede è quella del padre della parabola lucana. Egli lascia che il proprio figlio gli strappi anzitempo l’eredità, consente che la dissipi e si dissipi lontano e aspetta che egli torni in se stesso (Lc 15,17). Il padre attende il figlio, ma non va a cercarlo. Confida nella più debole e duratura di tutte le armi: la paziente fiducia che la dissipazione non abbia la parola ultima. Però, quando si vede il figlio all’orizzonte, bisogna essere pronti a corrergli incontro non meno di quanto furono solleciti i pastori nel loro recarsi a Betlemme.


Piero Stefani

Articolo tratto da:

FORUM (78) Koinonia

http://utenti.lycos.it/periodicokoinonia/



Venerdì, 28 dicembre 2007