Feste in volo sul Kurdistan?

di Doriana Goracci

"La guerra mi ha portato i miei migliori amici, alcuni poi se li è portati via", così dice Hevi e ha 21 anni, è una donna curda del Pkk, poesia e politica della resistenza.

Il Kurdistan è in Turchia, Armenia, Siria, Iran, Iraq, il suo petrolio è di tutti, è l’agognato primato geopolitico per competere con gli Usa e l’Unione Europea.La Turchia bombarda nuovamente con aerei e poi con l’artiglieria le basi del Pkk in Nord Iraq, lo annuncia lo stesso stato maggiore delle forze armate turche e dice inoltre che le operazioni militari proseguiranno nelle aree di confine tra Turchia e Iraq, "non importa quali siano le condizioni". Si colpiscono le basi della guerriglia curda del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).Ci sono montagne in Kurdistan, lì dove è già Iraq, lì dove è ancora Turchia, in quel confine che fa dire a una guerrigliera davanti a un falò: “Per me il fuoco e la montagna significano la libertà, che è una cosa irraggiungibile”.

Li chiamano ribelli curdi, quelli che da anni muoiono sotto i raid turchi. I curdi si esprimono nelle lingue del paese in cui vivono, come imposto dalle regole scolastiche del luogo, alcuni hanno scordato per sempre l’espressione più autentica del loro popolo, molti hanno pagato con la vita il pronunciare la loro autodeterminazione.

Nelle pagine dei giornali, in questo Natale 2007 apprendiamo che almeno 800 soldati turchi sono penetrati in Iraq, non sono certo pastori...

Intanto a Modena pochi giorni fa di questo dicembre, si è potuto vedere: "Ayazma. Ghetto curdo nel cuore di Istanbul" in cui è descritta in 12 minuti una baraccopoli che sorge nel cuore della moderna Istanbul. Sono seguiti reportage dalla Turchia meridionale e orientale che documentanol’impegno delle associazioni e delle amministrazioni locali italiane per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione curda nel sudest della Turchia, per lo sviluppo di Centri sanitari per donne e bambini dove a differenza degli ospedali turchi, sia possibile avere cure sanitarie ed esprimersi in lingua curda.

Poi ci sono le Madri della Pace, un gruppo di donne nato nel 1999, che iniziarono le marce per giungere ad una vita libera e in comune, dopo aver perso parenti e amici kurdi ma anche turchi e della Georgia. Rivolsero il loro appello anche da Roma dove le conobbi con le Donne in Nero, dicendo: “Uniamo le nostre mani, preserviamo i nostri figli dalla morte e altre madri dal pianto, fermiamo le guerre”. Non furono mai spettatrici ma donne in lotta.“Noi non cerchiamo la vendetta, al contrario noi abbiamo seppellito i nostri dolori nei nostri cuori e stiamo lottando per la pace”. Chissà se ancora pubblicano un periodico bimestrale “BARIS” (termine turco per pace). La loro organizzazione è indipendente.

Di Ocalan, nel frattempo, non abbiamo nessuna notizia, è il loro amatissimo capo rinchiuso da anni in un carcere solo per lui, dove finì grazie all’allora governo e persona di D’Alema, il governo e la politica estera intelligente ed amica che abbiamo ancora. Ma quello che mi preme, perchè di curde e curdi ne conosco nel viterbese e nel Lazio, è sapere che Feste stanno facendo a questo popolo senza pace da anni come la Palestina. Era il 2006 quando Stefano Savona fu premiato con la sua "Primavera in Kurdistan" come miglior documentario italiano dell’anno al Festival di Bellaria, al Cinéma du Réel di Parigi, al Trento Film Festival, al Cervino Cinemountain International Film Festival 2007, al Salina Doc Festival. E’ un film politico e poetico, che narra del viaggio di alcuni combattenti del Pkk (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) dal Nord dell’Iraq verso il confine con la Turchia. Immagini straordinarie ed interviste condotte con amore di vita partigiana, di ragazze e ragazzi che vivono sulle montagne che abbiamo avuto l’opportunità di vedere perchè come ci racconta il regista Savona :“Sono partito da solo con la mia videocamera facendomi prestare 3.000 euro. Non avevo nient’altro. Solo in seguito Arté mi ha dato un finanziamento per il montaggio”, con una sola videocamera (la Sony 150) e un microfono.“Questo vuol dire – sostiene Savona – che film si possono fare con qualsiasi strumento, se uno li vuole fare”.

Il documentario lo vidi quest’autunno a notte fonda, alle 23,50 di un 2 ottobre su Rai Tre. Vi consiglio di andare, quando volete a questo link http://www.minimumfax.com/media.asp?mediaID=7 dove si vede la primavera in Kurdistan, non un Natale che non c’è, nel Paese che non esiste come la Palestina, entrambi Francobolli neri della Strategia Politica e Finanziaria Globale.

Che passino presto queste Feste, per loro e per noi, che torni la vita, quella vera e non quella di un giorno convenzionale per il commercio delle anime e dei corpi.

Doriana Goracci


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Domenica, 23 dicembre 2007