A PADOVA UN PRETE SU QUATTRO SI TOGLIE LA VESTE

di Federico Bollettin

LE RAGIONI DELL’ABBANDONO


Riprendiamo questo articolo dal sito : http://donfrancobarbero.blogspot.com/
I fatti
A un anno dal provvedimento di sospensione a divinis, firmato dal vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo, e poi notificato a don Sante Sguotti, una riflessione seria e serena su questo fenomeno stenta a prendere piede. Sta di fatto che negli ultimi anni continuano ad aumentare i casi di abbandono da parte di preti padovani, per lo più giovani. Non è stato solo il “caso don Sante” a suscitare rammarico, scandalo e vergona tra i fedeli cattolici praticanti, ma anche quello precedente di don Ugo Moretto, direttore della radio e televisione vaticana. Il 21 febbraio 2002 esce su L’Espresso l’articolo “Don Moretto, papà perfetto” che costerà al giornalista la condanna a due mesi di sospensione dalla professione, assolto dopo tre anni.

Nel bel mezzo dei due scoop più famosi, il 18 aprile 2004 sul Corriere del Veneto viene riportata la celebrazione del matrimonio di don Fabiano Prevedello presieduta da don Giovanni Brusegan. Quest’ultimo verrà immediatamente richiamato dal vescovo di Padova e, dopo qualche anno - ironia della sorte - , inviato nella parrocchia di Monterosso per risolvere il caso del prete innamorato.

Se all’interno dell’ambiente curiale si è preferito mantenere il silenzio, a meno che gli spropositi non arrivassero a livelli insopportabili, sul fronte laico, quasi paradossalmente, si è acceso un forte dibattito che ha riempito per giorni la terza pagina di quotidiani o il forum di numerosi siti internet. Interventi contro o a favore del celibato obbligatorio. Ognuno ha potuto esprimere la propria opinione, liberamente.

I dati

Sfogliando gli annuari che la Chiesa di Padova stampa periodicamente con i nomi e gli incarichi di tutti preti della diocesi, si possono fare alcuni conti. Occorrono un po’ di tempo e di memoria, dal momento che i dati di chi lascia vengono cancellati, nonostante il sacramento dell’ordine sacro -. secondo la dottrina cattolica - rimanga, nell’ordinato, impresso in eterno.
Se prendiamo in esame gli ultimi 10 anni, sono stati ordinati 76 preti diocesani. Coloro che hanno abbandonato il ministero sono almeno 19, mentre coloro che attualmente si trovano in pausa di riflessione si contano su una mano. Questo significa che, approssimando per difetto, a Padova un prete su quattro si toglie la tonaca, come si suol dire.
Senza contare quei casi in cui il vescovo stesso ha consigliato al prete, coinvolto in questioni di ordine pubblico, di dimettersi dall’incarico pastorale (vedi il caso di don Armando Rizzioli, ex parroco di Due Carrare, accusato per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore il 4 novembre 2007, o quello dell’ex parroco di Pontecorvo, don Silvio Cauduro, che chiedeva soldi in prestito e non li restituiva). In effetti, se un simile esodo si verificasse in una qualsiasi azienda, la dirigenza si interrogherebbe sui perchè!

É interessante notare, inoltre, come alcuni preti siano impegnati in attività non riconosciute dal vescovo. Presidenti di associazioni, personaggi da televisione e psicologi fai-da-te perseverano nella loro missione, senza l’approvazione e il timbro del loro massimo superiore. Disobbedienti?

A quanto pare non manca chi ne approffitta di fedeli manipolabili e facoltosi. É noto infatti ai superiori, che un parroco della città abbia prelevato dalla cassa parrocchiale una cifra di circa 800.000 euro per sistemarsi a livello abitativo assieme all’amante. Spostato semplicemente di parrocchia, si spera non prosciughi il conto della nuova comunità. Del resto, per volontà del Diritto Canonico, si conoscono bene le facce e i nomi di chi decide di ritirarsi, ma non quelle di chi tacitamente abusa del ruolo ecclesiastico per soddisfare i propri interessi.

Tutto questo accade in una delle diocesi più importanti d’Italia, sia per estensione geografica sia per fama e prestigio.

Da una recente statistica effettuata tra il clero padovano, due sono le parole che esprimono meglio la condizione attuale della maggior parte dei preti diocesani: “stanchi e sempre di fretta”. Con tutto rispetto per chi svolge il suo impegno nell’onestà e nella continua ricerca, nell’umiltà e nella radicalità evangelica.

Ma quali sono le motivazioni principali che spingono molti preti ad abbandonare il ministero?

Le motivazioni

É difficile entrare nella mente di chi decide o è costretto a lasciare il ministero. Spesso si innalzano muri invalicabili che separano il passato dal presente, i ricordi dai progetti futuri. Quasi tutti si sposano, ma il motivo non è soltanto un innamoramento improvviso. Saranno elencate, in seguito, le motivazioni principali che, volontariamente o involontariamente, inducono il prete, a scendere dall’altare e a sedersi sui banchi dei comuni mortali. Occasione?

1. L’impatto con la realtà, complessa e dinamica, si rivela molto diverso dalle previsioni offerte e dalle aspettative createsi durante gli anni di Seminario. Immaginare come potrebbe essere il futuro non sempre può coincidere con la realtà, fatta spesso di incontri inaspettati, di scoperte illuminanti e di cambiamenti radicali. Trovarsi a fare il funzionario del sacro full time non era contemplato negli ideali evangelici di un ordinando presbitero. La gente vuole un prete burocrate, sempre presente per timbri, chiavi e fotocopie, innocuo predicatore di spiritualismo, lontano dalle dimensioni concrete della vita, da quella economica a quella politica. Alla fine, il prete che apre gli occhi al mondo reale, preferisce trasgredire ad una legge disciplinare, contingente e imperfetta, piuttosto di rinunciare a realizzarsi come uomo e come credente. Insomma meglio vivere da disobbediente felice che sopravvivere da obbediente infelice!

2. L’incontro con la donna, risveglia quegli arcani sentimenti repressi da una razionalità esaltata e da un attivismo narcisista. Superato quell’atteggiamento maschilista e misogeno, presente in una lettura fondamentalistica della Bibbia e di una particolare tradizione cristiana, il prete si riscopre amante e attratto da chi gli è complementare. Il disagio che prima cercava di gestire individualmente e moralisticamente, viene condiviso con la donna, “colei che accoglie” per eccellenza. Asciuga le lacrime, ascolta e consola. Stabilità negli affetti, rapporto alla pari, dimensione familiare sono esigenze talmente forti da far dimenticare le solenni promesse fatte davanti al vescovo, sotto i riflettori del protagonismo e dell’immaturità di chi cresce in cattività.

3. La controtestimonianza di superiori, che predicano bene e razzolano male, sconvolge la sensibilità dei più semplici. Cosa potrebbe pensare un giovane prete, quando scopre che il suo parroco, membro stimato del consiglio presbiterale diocesano, usa intrattenersi, fino a notte fonda, con una catechista sposata, nello studio della canonica? O quando scopre nel suo computer siti pedopornografici? Non trovando il coraggio per correggere il suo maestro, l’aiutante arriva da solo a queste amare considerazioni: “Adesso basta! Preferisco essere vero con me stesso e con gli altri piuttosto che apparire come santo e comportarmi da ipocrita”. Spesso tali situazioni diventano veri e propri traumi che necessitano di un intenso percorso psicoterapeutico.

4. Una gravidanza indesiderata o l’essere stati sorpresi in flagrante, costringono il prete a dare le dimissioni. Chissà, probabilmente avrebbe continuato a mentire e a nascondere la relazione! Ma quando le prove sono talmente evidenti, uscite magari dalle mani di investigatori privati pagati dai parrocchiani stessi, non gli resta che piangere e andarsene con la coda tra le gambe. A meno che l’inominato non ammetta di aver sbagliato e prometta di non caderci mai più. Soltanto in questo modo potrà essere rimpiazzato in una piccola parrocchia di campagna, o in un’altra diocesi del “Terzo Mondo”. Come è successo lo scorso 14 settembre a Chioggia, quando il professore di Sacre Scritture del Seminario Maggiore di Padova è stato beccato a letto con la moglie dell’amico parrocchiano. Il vescovo l’ha difeso, scaricando la colpa sulla donna tentatrice, ed ora starà pensando alla nuova nomina da assegnargli. Difronte alla proposta alettante del vescovo che promette sostegno economico alla donna e al bambino e obbliga il prete interessato a intrapprendere un percorso di “recupero” in un centro specializzato, qualcuno accetta per orgoglio personale. Come nel caso di don Tizio, ex-collaboratore festivo in una parrocchia della zona industriale di Padova. Dopo aver lasciato incinta una ragazza, scappa e trova benevola accoglienza tra le mura del Vaticano, continuando ad esercitare il ministero presbiterale. Attualmente dirige un orfanotrofio in Burundi, mentre suo figlio a Padova non riceve nemmeno una telefonata o un contributo economico.

Le reazioni

Anche se in passato qualche prete è arrivato al suicidio o a fingersi malato mentale per essere rinchiuso in manicomio, attualmente chi abbandona il ministero cerca di rifarsi una vita. Dignitosa si spera. Ma a caro prezzo.

Le reazioni sono diverse, come diversi sono i caratteri delle persone coinvolte e diverse le circostanze che portano ad una scelta così sofferta.
La maggior parte riconosce o si convince di non essere stata all’altezza di un incarico così impegnativo e si abbandona al senso di colpa. Questo atteggiamento lo porterà a patteggiare con il vescovo. In fondo la Chiesa può rimanere ancora un buon appoggio per trovare lavoro e portare a casa il pane. Esiste anche un delegato del vescovo che cerca di incoraggiare il prete stanco a chiedere la dispensa o l’annullamento dell’ordine sacro per mantenere un rapporto di comunione con la chiesa ufficiale.
Durante questo percorso, che sembra essersi accorciato sempre di più, il “traditore pentito” è colpito da una forte crisi di identità, da varie forme di depressione e da un permanente sguardo spento. Terapie psicologiche, farmaci antidepressivi, isolamento e allontanamento diventano le strategie più comuni per sopravvivere. Finchè arrivano la dispensa, il matrimonio in chiesa e la possibilità di insegnare la religione cattolica in una qualche scuola fuori città o addirittura provincia.

Qualcun’altro reagisce con rabbia, per non essere stato ascoltato durante il periodo di crisi. Trattato come un numero e non come una persona, sbatte le porte e sparisce dalla circolazione.

Infine esiste chi non si arrende. Riconoscendo l’assurdità della norma disciplinare sul celibato obbligatorio, continua a sentirsi prete. Il problema però è trovare un luogo dove poterlo esercitare e un gruppo di persone disposte a collaborare. Questo spirito combattivo andrà piano piano affievolendosi a causa di circostanze molto concrete e del contesto sociale in cui vive, ma la sfida interiore continua. Inserito in altri ambienti educativi cerca di portare avanti i valori, umani e cristiani, che prima trasmetteva dentro al ruolo ecclesiastico.

Le questioni aperte

Se alcuni mesi fa il dibattito che fortunatamente si è acceso era legato a singoli personaggi o situazioni, don Sante sì o don Sante no, Milingo sì o Milingo no, perchè non iniziare una riflessione seria e serena sulle questioni che stanno alla base del fenomeno dell’abbandono dei preti?

Quali iniziative proporre?
Una raccolta firme per costringere i superiori a valutare la situazione, ascoltando le varie voci interessate? Certo, qualcuno potrebbe pensare che se l’imput non parte dai vertici del Vaticano, cosa potrebbe fare un singolo vescovo o un comitato locale di preti e laici? Eppure nella storia della Chiesa, le riforme sono sempre partite dal basso, da singoli profeti o da gruppi di persone convinte e testarde. Se il vescovo di Padova concede ad un paio di preti maturi di coltivare una speciale amicizia con le loro rispettive donne, in un rapporto da fratello e sorella, perchè non estendere questa possibilità anche ad altri? Se in alcune diocesi italiane, dove la chiesa cattolica è in stretto contatto con le chiese evangeliche, protestanti e metodiste, e i vescovi concedono ad alcuni preti di sposarsi (ma senza pubblicizzare troppo la cosa!), perchè non spedire in quelle zone i nostri preti con la loro famiglia? Di certo non chiederebbero l’aumento di stipendio! Insomma, di proposte ce ne sarebbero, ma c’è la volontà e il coraggio per attuarle?

Perchè bisogna cercare delle soluzioni?
Chissà, forse è un problema che riguarda una manciata di persone. Un prete su quattro! Ma se il popolo di Dio dovesse accorgersi che alcune regole ecclesiastiche sono di inciampo alla fede e dovrebbero essere rivedute, perchè non alzare la voce? Gli scandali che leggiamo sui giornali e nei quali sono coinvolti preti e religiosi, dove trovano le loro radici? Assenza di democrazia e di partecipazione all’interno della struttura ecclesiastica, celibato obbligatorio, formazione misogina e narcisistica nei Seminari, potere politico ed economico del Vaticano, atteggiamento di superiorità nei confronti delle altre confessioni cristiane, religioni e filosofie di vita...
Da dove cominciare?
É un peccato che una persona preparata a livello teologico, biblico e pastorale sia ridotta a insegnare religione nelle scuole elementari, soltanto perchè ha deciso di sposarsi e farsi una famiglia! Non potrebbe essere più “esperta” di dinamiche familiari e relazionali che, alla fin fine, sono quelle più determinanti nella vita di un essere umano? Lo dice anche san Paolo in una sua lettera: “Perchè se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?” (1 Tm 3,5). Come poter valorizzare l’esperienza di preti che non hanno incarichi dal vescovo per motivi di disciplina ecclesiastica? Quelle piccole comunità cristiane, prive del loro pastore per la forte diminuzione del clero, sarebbero disposte a farsi guidare, nello studio della Bibbia, nella promozione umana e spirituale, da un prete sposato?

Federico Bollettin

Questo breve dossier vuole informare, formare e proporre. Oltre le polemiche e i giudizi. Perchè la gente ascolti anche altre voci e sappia, prima di decidere. Chi fosse interessato a dare un proprio contributo, confermando o contestando quanto detto, può farlo mandando una mail all’indirizzo: bollettin.federico@libero.it
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Federico Bollettin, nato a Padova nel 1975, viene ordinato prete nel 2001. Dopo i primi anni di ministero in parrocchia, dedicati soprattutto al delicato tema della convivenza tra persone di diverse culture, si sposa e continua il suo impegno con maggior determinazione. Compie viaggi in Italia e all’estero per conoscere realtà ecclesiali di base che promuovono il rinnovamento della chiesa cattolica, ispirate al Concilio Vaticano II e alle teologie della Liberazione. Ha frequentato l’Instituto Interculturale di Montreal (Canada) e attualmente collabora con alcune associazioni che promuovono il dialogo interculturale e l’incontro tra i popoli. Ha appena pubblicato per Gabrielli Editori “Bianco e nera. Amanti per la pelle”, romanzo autobiografico.



Domenica, 02 novembre 2008