Riflessione
Possiamo crederci ancora?

di Stefania Salomone

(Quando l’amore irrompe nella vita di un prete e di una donna)


Tante storie, tutte diverse, tutte uguali.
Chi è destinato a soffrire di più, il prete, la donna?
Questo davvero non è dato di sapere. Ciascuno a modo suo è costretto a rinunciare ad una parte di sé.
Il prete, se “si lascia innamorare”, deve necessariamente rinunciare ad una sorta di tranquillità dettata dal sentirsi a posto con la coscienza. Più che altro potremmo parlare di assomiglianza ad uno stereotipo di vecchia data, al quale però è molto legato, per formazione, per tradizione, per la gioia dei suoi genitori, per la paura del giudizio, per mantenere una reputazione limpida e cristallina che non sia occasione di scandalo per se stesso e per la chiesa (istituzione).
Per una mentalità “laica” queste non sembrerebbero grandi rinunce… eppure non è così. Chi ha guardato negli occhi uno di loro nel momento in cui deve scegliere di amare e lasciarsi amare in un modo che pensava essergli precluso, sa di cosa sto parlando.
Sembra che tutto il suo castello ben architettato da anni crolli all’improvviso e senta mancare la terra sotto i piedi, come se stesse facendo un lungo scivolone, stesse per essere risucchiato da un gorgo nero e sconosciuto che percepisce come male.
Anche se nel cuore avverte che qualcosa di bello e inaspettato (?) si sta facendo strada con insistenza, cerca di opporre ogni resistenza possibile affinché questo non avvenga. E quando la resistenza dovesse risultare vana, nulla deve lasciar trapelare che l’irruzione, suo malgrado, è avvenuta.
Da qui una angosciosa altalena tra la forza che lo sospinge verso l’ignoto e le parole della legge, ripetute, come una cantilena funebre, per anni dai formatori e/o confratelli.
Possiamo onestamente affermare che sia una situazione facile da gestire? Solo chi c’è passato sa quanta e quale resistenza ha opposto, e anche dopo aver deciso in un senso o nell’altro, capitolando o meno, sa qual è il prezzo del lasciare il ministero o, in alternativa, del portare avanti una relazione d’amore sottobanco.
Nel primo caso si ritroverà ad essere un nessuno fra tanti. Dagli onori dell’altare all’infamia del tradimento. E nel caso richiedesse la dispensa dovrà anche intraprendere tutto il percorso necessario, che certo non facilita una strada già in salita. Ricostruire tutta la propria vita, professionale, emotiva, sessuale, imparando a rendere conto e a condividere le giornate con una compagna.
Nel secondo caso vivrà in un perenne alternarsi di momenti felici pieni della gioia propria di una unione, alla sensazione di essere un fuorilegge. Vivrà sempre con la paura di essere scoperto, si imporrà un ministero ancor più falsamente “perfetto” per fugare o prevenire ogni possibile dubbio sul suo conto.
La donna, dal canto suo, non ha certo vita più facile. Se molto osservante, percepirà il suo sentimento come una azione di disturbo nel sacro ministero del prete. E non sarà facile liberarsene, ma di solito ce la fa.
Dopodiché inizierà un lentissimo approccio al rapporto dando fondo a tutta la sua capacità di ascolto, di comprensione e alla sua pazienza. Perché ci vuole tanta pazienza per saper aspettare, soprattutto ce ne vuole per gestire una presenza intermittente e isterica.
Ci vuole tempo per riuscire a capire se il prete ti ama veramente o meno, perché lui non lo dice. Magari lo fa capire con piccoli gesti, ma, non appena se ne parla, di solito la frase è “noi siamo solo amici”. Comincia così la dicotomia tra le parole pronunciate e quelle impronunciabili presenti già negli sguardi. La donna sa perfettamente cosa c’è in quegli occhi, ma non può dirlo, pena la fuga immediata di lui.
E passa il tempo nell’attesa che lui faccia chiarezza in se stesso e accetti quello che prova. Intanto la donna ha già ampiamente dimostrato e svelato il proprio sentimento ed è talmente coinvolta che, nonostante l’incertezza, non accetterà “distrazioni”.
Da qui in poi non è possibile generalizzare.
Alcune vedono improvvisamente il sogno sfumare perché lui, di solito pressato da un confessore o superiore, o più semplicemente dal proprio senso di colpa, se la da a gambe.
Altre acconsentono ad iniziare e a portare avanti una storia clandestina in cui non esisterà nessuna parvenza di una normale vita di coppia, ma che, nei casi fortunati, garantirà una presenza costante dell’uno al fianco all’altro; alla lunga però il rapporto, costretto in ranghi troppo limitati e limitanti, potrebbe non durare.
Altre, ancor più fortunate, dopo un primo periodo di clandestinità, vedono realizzarsi il proprio sogno. Teniamo ovviamente conto di tutte le difficoltà del caso: avere accanto una persona che dovrà tentare di ricostruirsi da zero, che avrà ricadute clericali o inevitabili colpi di coda, che ogni volta che vedrà o sentirà parlare di un prete o che incontrerà per caso un parrocchiano, sentirà riaffiorare il dolore della sua “necessaria rinuncia”.

Eppure l’amore è una cosa bella… Ma chi è coinvolto nelle situazioni che ho sintetizzato, può crederci ancora?



Giovedì, 13 settembre 2007