IN MORTE DI ALESSANDRO MAGGIOLINI

di Ernesto Miragoli

L’11 novembre scorso è morto mons.Alessandro Maggiolini, vescovo emerito di Como da poco più di un anno in quanto il 14 gennaio 2007 ha salutato ufficialmente la Diocesi che ha retto per 18 anni, stabilendosi in un appartamento accanto alla Cattedrale dove il suo successore, Mons. Diego Coletti (milanese come lui e proveniente dalla diocesi di Livorno) spesso lo vedeva in confessionale, ministero al quale il vescovo Alessandro (già malato perché operato di cancro al polmone) dedicava moltissimo tempo tornando così a quello che era il suo lavoro preferito quando era giovane prete.
Il mio ricordo del vescovo Alessandro parte proprio da qui, dal ministero del Sacramento della Penitenza. Sì, lo conobbi in duomo a Milano, dove confessava e dove mi ero recato per incontrarlo in quanto a Como, con alcuni amici, avevamo messo in piedi una radio d’ispirazione cattolica. Ero un giovane seminarista e mi presi l’incarico di un commento religioso al giorno. Don Sandro Maggiolini teneva una fortunata rubrica alla radio dal titolo "Ascolta, si fa sera". Lo abbordai fra una confessione e l’altra e mi diede appuntamento fuori dal Duomo di Milano. L’aspettavo fumando e mi chiese una sigaretta che gli offrii volentieri. Parlammo della mia rubrica e mi diede qualche consiglio.
Ci saremmo rivisti molti e molti anni dopo quando, alla rinuncia di mons.Teresio Ferraroni (milanese anche lui - Como è destinata ad essere colonizzata da Milano - vescovo che mi ordinò prete e con il quale collaborai molto da vicino), Alessandro Maggiolini da Carpi fu trasferito a Como.
Gli scrissi per chiedere un appuntamento che mi fissò tramite il suo segretario. L’esordio non fu cordiale. Con un tono un po’ altezzoso ed imperioso mi fece accomodare nel solito studio privato del vescovo che non frequentavo più da anni e m’apostrofò con un :"Mi dica!" S’aspettava forse da me qualche rilievo polemico perché sapeva del mio interesse per la causa dei preti sposati e si capiva che era sulla difensiva. Lo smontai subito parlando di quello studio che frequentavo quando aiutavo il suo predecessore, della mia famiglia e del mio lavoro. Lo misi a suo agio (pensavo che dovesse essere lui a mettere me a mio agio, ma andava bene così) e si sciolse: commentò che ci vedeva volentieri in duomo alla messa, mi parlò del suo ministero sacerdotale ed episcopale e, quando gli ricordai l’incontro di Milano di molti anni prima, mostrò d’avere buona memoria e fumammo una sigaretta. Mi stupì perché s’alzò dalla scrivania, prese un faldone dall’armadio e si sedette sulla poltrona accanto per documentarmi che non avrebbe mai voluto essere vescovo e che sulle prime rinunciò, poi accettò per obbedienza. Così passò un’ora ed io, conoscendo i meccanismi curiali, per paura d’essere congedato senza aver raggiunto il mio scopo, cambiai decisamente argomento ed affrontai quello dei preti sposati. Dopo un breve preambolo - in cui egli mi disse che aveva letto il mio libro che s’era procurato - chiesi esplicitamente un aiuto: "La chiesa - dissi - non può fare finta che non ci siamo, non può continuare a lasciarci nel limbo dell’incertezza, non può arroccarsi sulle posizioni che sono anche le sue affermando che la scelta celibataria l’abbiamo compiuta con scienza e coscienza. La chiesa non solo deve in primis aiutare i preti che lasciano il ministero, ma anche coinvolgerci per studiare un nuovo modo di fare pastorale e soprattutto pensare ad un futuro dove il celibato sia facoltativo e non consustanziale al sacerdozio. Le offro aiuto, eccellenza! Quando qualche prete della nostra diocesi fosse in crisi, io sono disposto ad incontrarlo. Può darsi che lo recuperi al sacerdozio come ho già fatto, può darsi che l’aiuti a vivere bene il passaggio. Meglio di come lo vissi io quando mi sentii abbandonato dalla mia chiesa comense. Le chiedo aiuto: lei è membro della Commissione CEI per la Dottrina della Fede. Porti questo argomento all’ordine del giorno. Istituiamo una commissione paritetica che, senza clamori e senza annunci alla stampa, affronti il problema. Studiamo soluzioni. Insomma: è meglio cominciare a parlare piuttosto che nascondere la testa sotto la sabbia".
S’irrigidì. Mi disse che la chiesa non ha mai fatto lo struzzo, che non era in suo potere neppure portare all’attenzione della CEI questo problema che rimaneva di competenza vaticana.
Anche qui cercai di metterlo a suo agio (facendo violenza a me stesso ed al mio caratterino) e replicai che non stavo accusando, stavo solo offrendo e cercando collaborazione. Si ammansì e mi rispose che non poteva fare nulla perché non voleva. Il suo convincimento era che il prete cattolico romano dovesse essere maschio e celibe. Qui la discussione finì.
Mi omaggiò delle solite cose per i miei figli, un rosario e delle immagini religiose da lui siglate. Mi congedai.
Ci rivedemmo spesso in duomo dove non mancava di salutare e fare un buffetto alla mia ultima nata. Ci scrivemmo - sempre per mia iniziativa - e qui si chiuse il nostro rapporto.
Che dire del vescovo Alessandro?
Non riesco ad unirmi ai peana che in questi giorni si sono levati da ogni parte in morte del vescovo Alessandro e mi spiego. Come si sa, immagino il Paradiso (perché ai Novissimi io credo) come una grande orchestra dove ognuno trova un suo strumento da suonare quando il Direttore lo chiama. Ad Alessandro, che ci sarà entrato senza anello episcopale e croce pettorale, penso che sia stata affidata la viola da gamba che è uno strumento a sette corde ed ha un’estensione notevole. Era considerato lo strumento che meglio d’ogni altro sapeva imitare la voce umana in quanto ipersensibile ad ogni variazione della pressione dell’archetto sulle corde perché essa si suona - contrariamente al violino o anche al violoncello - tirando e premendo. Sandro non fu un "cattolico", fu un "vescovo cattolico" che tirava e premeva. Tirava menando fendenti contro chi osasse anche solo un poco ipotizzare altre verità che non quelle dogmatiche riconosciute dalla chiesa istituzionale (non risparmiando neppure principi della chiesa che sono sicuramente più intelligenti e preparati di lui, come ad es. il card. Martini) e premeva per mantenere lo statu quo ecclesiale che, probabilmente, per lui era rassicurante. Il vescovo Sandro ha lottato una vita per la preservazione della fede con le armi che aveva: un’intelligenza non molto aperta, una vis polemica ben affinata, uno status ecclesiale che gli permetteva di fare l’ "éveque terribile" senza troppi rischi. Sotto (e mai avverbio fu più vero) il suo episcopato la diocesi di Como rifulse in immagine e basta: venne il papa Giovanni Paolo II (non ho visto particolari sussulti di autenticità cristiana dopo quella visita), tre sacerdoti divennero vescovi (sfortunati i meritevoli preti che sono nati e morti o invecchiati prima dell’episcopato maggiolinense) e poi…poi…basta. No,anzi! Il vescovo era impegnato a scrivere libri che regolarmente avevano ampia eco, ad andare in TV, a bacchettare i politici locali che andavano sottomessi al pontificale della festa patronale di S.Abbondio e ad apparire su un giornale o l’altro tirando e premendo su un argomento di fede o di costume con l’immancabile premessa: unico vescovo italiano facente parte della commissione vaticana per la stesura del nuovo catechismo cattolico. Mi spiace fare stecca nel coro anche commentando il testamento spirituale: ha ricordato solo alcuni preti che gli sono stati vicini nel momento della malattia elencando nome e cognome (è proprio sicuro che gli altri, magari quelli lontani geograficamente, impegnati nel ministero pastorale non l’abbiano ricordato?), ha chiesto - e questo mi sembra davvero troppo!- di essere seppellito in duomo accanto all’altare della madonna. Già: finire nell’anonimato della storica basilica romanica di S.Abbondio dove sono sepolti gli ultimi suoi predecessori era troppo poco per lui, autore di libri, ex direttore della Rivista del Clero Italiano, membro della Commissione Teologica per il Catechismo della Chiesa Cattolica, già vescovo di Carpi e di Como…In Paradiso l’hanno accolto perché il Paradiso l’ha meritato in quanto ha vissuto con coerenza il suo essere vescovo cattolico osservantissimo e lo merita sopportando uno come me che non riesce a tesserne l’elogio e si duole d’osservare che, al momento della sua morte, tutti i suoi critici sono spariti.


Ernesto Miragoliwww.webalice.it/miragoli



Venerdì, 14 novembre 2008