“La corsa a farsi prete”....

di p. Nadir Giuseppe Perin

Ringraziamo di vero cuore il nostro carissimo amico p. Nadir Giuseppe Perin, prete-sposato dal 1968, per questo approfondimento che ha scritto per il nostro sito come contributo al dibattito sul tema dei preti sposati. p. Nadir Giuseppe Perin è dottore in Teologia dogmatica presso l'Università Pontificia dell'Angelicum in Roma; specializzato in Teologia Morale all'Università Lateranense - Accademia Alfonsiana di teologia Morale; Diplomato in Psychiatric Nursing presso la Mental Health Division di Toronto; specializzato in scienze psicopedagogiche presso l'Università di magistero dell'Aquila. Per contatti: nadirgiuseppe@alice.it )

Domenica 18 marzo 2012, sul quotidiano “Libero”, alla pagina 14, c’era un articolo di Roberto Pellegrino, dal titolo “ Di necessità, vocazione” e come sottotitolo “ In Spagna per il posto fisso c’è la corsa a farsi prete”.

L’articolista riportava che “lo spot della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), ideato per arruolare nuovi sacerdoti in occasione del seminario del 19 marzo 2012, diceva così : “ Quante volte ti hanno fatto promesse che non hanno mantenuto ? – chiede una voce suadente ... e nove parroci, alternandosi, assicurano : “ Non ti promettiamo una busta paga con tanti soldi, ma un lavoro fisso e sicuro”. E ancora “ Non sarà un lavoro perfetto, ma non ti pentirai mai della scelta, potrai unire le persone in matrimonio, consolare e difendere chi soffre, essere un valido aiuto”.

Queste parole incoraggianti sono accompagnate dalle musiche di cori gregoriani per invitare i giovani a farsi avanti. Un modo, come commentano i giornali, per spiegare che la fede, oltre ad essere un divino bisogno dell’anima è anche una necessità più concreta, per vivere, avere una casa e, soprattutto, un lavoro a tempo indeterminato.

Si tratta di un’opportunità che, nella Spagna falcidiata dalla crisi economica e dalla disoccupazione al 22,85%, pari a 5.273.600 di senza lavoro, vale più di un tesoro.

Il giornalista continua: “ Da ieri il videoclip gira sul canale della CEE 13TV, sulle radio del circuito Cope e sul sito www.teprometounavidaapasionaante.com, con l’upload su You Tube e la diffusione sui social network Facebook e Twitter. La campagna per la “vocazione” sta invadendo il Web.

Qual’é il fine di questa iniziativa ? E’ anche quello di assicurare un lavoro ai tantissimi disoccupati che vogliono percorrere la strada della fede, conquistandosi una stabile indipendenza economica con stipendi di 900,00 ; 1300,00 euro mensili, con vitto e alloggio garantiti.

L’idea di abbracciare la causa religiosa nella Spagna attuale, sembra davvero l’unica possibilità di trovare un lavoro sicuro. I giovani “mileuristas” che con il loro stipendio misuravano il confine sociale tra la povertà ed un lavoro dignitoso, si sono estinti. Sono arrivati i “ nimileuristas” che, se sono fortunati ed hanno ancora un lavoro, guadagnano 500-700 euro mensili, quando nella fascia di età tra i 17 anni ed i 25 anni, la disoccupazione colpisce al 51,4 %, contro il 30% italiano. Questo è il contenuto dell’articolo di Roberto Pellegrino.

Ognuno è libero di fare le sue osservazioni ed i suoi commenti.

Personalmente trovo lecito domandarsi se un domani – dal momento che il numero dei preti attivi nel ministero è in continua diminuzione, tanto da lasciare molte comunità prive del quotidiano “sostentamento sacramentale”- sarà possibile trovare sui canali delle varie Conferenze Episcopali delle nazioni del mondo, un invito, anche, ai tanti preti sposati – sparsi, esclusi ed imbavagliati, che vivono nelle numerose comunità parrocchiali e diocesane, a ritornare all’esercizio del ministero presbiterale – con la propria famiglia (moglie e figli) – a servizio di quelle comunità ecclesiali che sono rimaste senza alcun sostegno sacramentale a causa della carenza di presbiteri.

Se le motivazioni addotte nello spot della Conferenza Episcopale Spagnola, sopra riportate, sono “ Non ti promettiamo una busta paga con tanti soldi, ma un lavoro fisso e sicuro”. E ancora “ Non sarà un lavoro perfetto, ma non ti pentirai mai della scelta, potrai unire le persone in matrimonio, consolare e difendere chi soffre, essere un valido aiuto”- e valgono per i giovani disoccupati (indipendentemente dalla chiamata di Dio- vocazione- al ministero presbiterale) perchè non dovrebbero valere anche per i “preti sposati”, allontanati dal ministero, perchè hanno detto “SI” a Dio che li chiamava (vocazione) alla vita matrimoniale, dopo averli chiamati, prima, alla vita presbiterale?

Potrebbe essere anche questo un modo per attuare l’invito di Gesù di pregare “ il Padrone della messe perchè mandi tanti operai nella sua messe”! Gesù, d’altra parte, non ha specificato se questi “operai” dovevano essere sposati o celibi, giovani o vecchi, uomini o donne, occupati o disoccupati !

Emerson ha definito una “comune erbaccia” “ una pianta le cui virtù non sono state ancora scoperte”.

Dalla esperienza che nasce dalla quotidianità della vita emerge un dato ben conosciuto, ormai, da tutto il popolo di Dio: cioè, come la chiesa gerarchica ed istituzionale consideri i preti sposati come delle “male erbe”, ma non per il fatto che “sono andati a letto con una donna”, ( peccato grave di impurità) ma perchè “hanno sposato la donna con la quale sono andati a letto” ( sono venuti meno alla promessa di rimanere celibi). Ed è proprio per questo : “ perchè hanno sposato la donna con la quale sono andati a letto” che - al di là di ogni ipocrisia di facciata, mascherata da belle parole - questi preti perdono, irrimediabilmente, l’affetto, la stima e la considerazione dei propri confratelli e del proprio vescovo diocesano. Perdono il loro stato clericale e vengo “ridotti” allo stato laicale, come se questo “stato laicale” fosse il contenitore di quella parte di “Popolo di Dio” che, nella comunità ecclesiale, non “contano nulla” perchè non hanno alcuna voce in capitolo, ma solo il dovere di “obbedire” a tutto ciò che dall’alto viene “imposto”, ma mai “proposto”, come invece, fa il Signore nel Vangelo : “ Se vuoi....”

Se è vero quanto afferma Emerson che la pianta considerata da tutti come “ comune erbaccia” altro non è che “una pianta le cui virtù non sono state ancora scoperte”, questo significa che, molto spesso, nella nostra vita di relazione, siamo impegnati a situare, ad ogni costo, le persone entro categorie di comodo, con la conseguenza che finiamo col minimizzarne il valore o con l’escluderle e allontanarle da noi stessi e dalla vita di relazione all’interno delle varie comunità, senza però che ci sia un motivo oggettivamente valido.

Ci serviamo del sesso, dell’età, del ceto, del censo, della razza, della religione, dello stato ( chierici e laici), della nazionalità, di qualunque cosa e appiglio che la legge da noi voluta e codificata ci consenta, pur di stabilire la distanza tra noi e chi da noi consideriamo un “diverso”.

Questo, naturalmente, avviene perchè il nostro impegno a situare, ad ogni costo, le persone entro categorie di comodo, ci esenta dall’ingombrante compito di pensare secondo il Vangelo, di valutare ogni singola persona come un individuo autonomo, distinto dagli altri, ma sempre degno di attenzione, di rispetto e di amore e non ci accorgiamo che la totalità delle persone da noi incontrate, è meritevole di una considerazione superiore a quella che noi siamo disposti ad accordarle.

Se è vero che l’amore non riapre, ma cura le ferite del passato, mi auguro che le varie comunità ecclesiali, parrocchiali e diocesane, illuminate dallo Spirito di Dio, nella Pasqua del Signore risorto che si ripete ogni domenica quando celebriamo l’ eucaristia per fare memoria di LUI , possano scoprire che , in realtà, questi preti sposati, le loro mogli e figli – considerati come delle “male erbe” - sono invece dei fiori” davanti ai quali non abbiamo sostato il tempo necessario per apprezzarli come meritano.

Non dobbiamo usare il passato come l’incudine sul quale percuotere il presente e il futuro. Chi crede in se stesso e vive fiducioso ogni momento, trova la vita molto più allietante, perchè ha imparato a capire che il passato è un luogo ove serbare i ricordi, non i rimpianti; che il futuro reca promesse, non costante apprensione e che il presente è tutto ciò di cui abbiamo realmente bisogno.

Un abbraccio caloroso e fraterno a tutti i preti sposati, alle loro mogli, ai loro figli, con l’augurio di ogni bene, felicità, gioia e serenità nel Signore risorto; uniti nella preghiera “ ut omnes unum sint, sicut Tu Pater in me ed Ego in Te”, in spirito di fraterno amore, stima, rispetto, aperti alla collaborazione ed alla condivisione di tutto ciò che siamo ed abbiamo, con tutti coloro che, ogni giorno, hanno la sensazione di non esistere, ma di morire perchè non amati.

Solo così, penso che potremo essere, anche da “preti sposati”, assieme alle nostre famiglie, dei testimoni veraci e credibili del Vangelo nel mondo di oggi, in continuo cambiamento.

Buona Pasqua!

P. Giuseppe dall’Abruzzo.



Giovedě 05 Aprile,2012 Ore: 14:54