Celibato:
Ogni cosa è stata detta, ma tutti i problemi restano aperti

di Wolfgang Beinert (Facoltà teologica di Ratisbona, Germania)

Riprendiamo questo articolo dal sito: http://www.queriniana.it/teologia.asp


Tre constatazioni ha fatto l’arcivescovo di Friburgo Robert Zollitsch: il celibato dei preti è un dono per la chiesa. Oggi è difficile trasmetterlo ai giovani. «E naturalmente il legame tra sacerdozio e celibato non è teologicamente necessario», così Zollitsch nell’intervista a Der Spiegel del 18 febbraio. Un addio al celibato l’ha chiamato una rivoluzione, un’ingerenza nella vita interna della chiesa cattolica, un fatto che senza un nuovo concilio non sarebbe possibile. Uno dei suoi confratelli ha pensato che la legge del celibato sarebbe «ora e in futuro» immutabile e del resto «è stato già detto tutto una volta e per sempre».

L’ultima frase è probabilmente poco contestabile - altrettanto poco quanto la constatazione che sulle cause e la prevenzione delle infiammazioni dell’appendice tutto sia già stato espresso. Per questo non ci si deve preoccupare delle persone con l’appendicite? Nella misura in cui l’intestino cieco è un problema, bisognerà parlarne e soprattutto studiarne le soluzioni. Visto che si fa la prima cosa e sulla seconda ci si deve riflettere - e sia per diletto sia per rimediare a una sofferenza entrambe le cose succedono - come prima misura igienica si dovrebbero tenere pulite le ferite eventualmente presenti.

Innanzitutto c’è da constatare che nella discussione in sé presa non viene preso in esame il celibato in quanto tale. Il celibato «per il regno dei cieli» (Mt 19,12) è stato visto sin dall’inizio del cristianesimo come una forma di vita coerente al vangelo. Ed esistono infinite testimonianze di cristiane e cristiani che realizzano questa condizione rendendola gioiosa. Al primo posto dunque ci sono i membri degli ordini religiosi, sia maschili che femminili, per i quali il non essere sposati fu sempre, è e deve rimanere senza discussione una componente irrinunciabile dell’esistenza monacale. Il celibato è una liberazione per una grande dimensione e libera quelle forze dell’amore che contribuiscono in modo decisivo al bene del mondo.


Gli sposati nella Chiesa orientale

Oggi non si può più dire che il celibato sia una scelta di condizione di vita che vale maggiormente rispetto al matrimonio. Non c’è uno stato di perfezione bensì la perfezione di uno stato. Non si possono per questo motivo introdurre come istanza i destini individuali di una realizzazione infelice. A nessuno viene onestamente l’idea di eliminare il matrimonio a causa dei divorzi o l’andare in automobile a motivo degli incidenti.

Ciò che è veramente in discussione è il collegamento sancito dal diritto canonico tra l’autorizzazione a ricevere il sacramento dell’ordine con la rinuncia al matrimonio. Per circa mille anni questa cosiddetta connessione d’obbligo non c’è mai stata nella chiesa nella forma oggi prescritta. È stata introdotta in modo definitivo solo nell’XI secolo da papa Gregorio VII e secondo Joseph Ratzinger «è un modo di vivere che è cresciuto nella chiesa» (Salz der Erde, 1966 [trad. it., Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo, San Paolo, Cinisello B. 2005, 224]). Ma ha anche offerto continuamente materia per la discussione. Non ci fu mai un possesso realmente indiscusso di questo collegamento. Già stanno ad indicarlo attraverso i secoli le esortazioni incessanti delle guide della chiesa.

Non è mai stato valido neppure per i consacrati cattolici e non vale anche oggi per tutti. La regolamentazione del diritto canonico riguarda soltanto i chierici cattolici di rito latino. Per il clero delle chiese uniate dell’Oriente allo stesso modo cattoliche il celibato finora non esiste. Un’eccezione al riguardo sono i vescovi. Per loro universalmente è in vigore la legge a qualunque rito appartengano. Il concilio Vaticano II, che trovò di grande valore la legge latina, ha sottolineato che non «intende mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle chiese orientali» (Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri 16, 1 [n. 1296]). Accanto a questo a partire da Pio XII ha preso spazio una regolamentazione vaticana per cui, nel passaggio alla chiesa romana cattolica, il clero appartenente ad altre confessioni cristiane per corrispondente dispensa può continuare a vivere la condizione matrimoniale e quindi il matrimonio stesso. Da ultimo fu fatto in grande misura uso di questo quando i sacerdoti anglicani cambiarono confessione per protesta contro l’ordinazione delle donne.

Non è stato neppure mai sostenuto che esisterebbe un qualche fondamento teologico stringente che motiverebbe la ragione del celibato. Per contro c’è la citata pratica papale, che altrimenti sarebbe da indicare semplicemente come illegittima. C’è anche il testo del relativo canone del diritto canonico che vede puramente comparativo il celibato dei chierici, che viene indicato come «un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini» (CIC can. 277 § 1). Più facilmente e liberamente; ma anche nel matrimonio evidentemente si può tendere facilmente e liberamente al fine. Nel citato documento del concilio (16, 2 [n. 1297]) sta scritto: «Il celibato, comunque, ha per molte ragioni un rapporto di molteplice convenienza con il sacerdozio».

Si tratta qui dunque per tutte le competenti dichiarazioni disponibili di una affermazione puramente disciplinare di convenienza. Nessun dogma, nessun theologúmenon è necessariamente toccato. Se le cose stessero diversamente, si dovrebbe poter spiegare coerentemente perché in tutti i tempi e, quasi esclusivamente, nella prima metà della storia del cristianesimo non c’è mai stato un divieto assoluto e generale di sposarsi per i chierici. Si deve dunque in modo altrettanto convincente provare che oggi e in futuro non sia pensabile alcuna modifica della regolazione vigente contentuta nel canone 277 § 1. In ogni caso questo è stato discusso nel 2005 in occasione del sinodo generale dei vescovi e nel 2006 il cardinal Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, l’ha verificata.

Di fronte allo stato delle cose bisogna porsi la domanda e questa suona: il celibato del sacerdote diocesano è ancora adeguato? «Tanto angusto è il mondo, quanto ampia la mente. Facilmente convivono i pensieri, ma con violenza nello spazio si scontrano le cose» (Friedrich Schiller, Wallenstein. Il campo di Wallenstein - I Piccolomini - La morte di Wallenstein, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2001, 431 [scena seconda, atto secondo]). In breve il Segretariato della conferenza episcopale ha pubblicato i dati statistici della chiesa cattolica in Germania per il 2006. Essi sono stati confrontati con quelli del 1990. Tutti i diagrammi con i valori di riferimento continuamente volgono al basso: il numero dei fedeli, i battesimi, le prime comunioni, la partecipazione alla messa… Che lascia lo sgomento è l’affermazione: «Nelle comunità parrocchiali i matrimoni sono diventati eventi rari». E le ordinazioni sacerdotali lo stesso. Nell’anno cui ci si riferisce 121 uomini sono stati ordinati. 664 si sono ritirati dal servizio attivo per i motivi più diversi. Solo un quinto scarso è stato matematicamente sostituito. De facto ogni sacerdote novello deve prendere il posto di circa sei altri.


Quando i vescovi avevano famiglia

Nessuno vuole sostenere che la legge sul celibato sia l’unico motivo di questa catastrofica miseria. E neppure si può affermare che non ha alcun ruolo in questo. Ogni sacerdote potrebbe - presupposta un’esperienza pastorale competente - conoscere dei giovani per cui le cose stanno così. Ora c’è da dire che il deficit non è straordinariamente pietoso. Esso mette in questione il compito fondamentale della chiesa. Il Decreto sull’apostolato dei laici dell’ultimo concilio lo riassume concisamente: «Manifestare al mondo il messaggio di Cristo con la parola e i fatti e comunicare la sua grazia. Ciò si attua principalmente con il ministero della parola e dei sacramenti» (6 [n. 933]). Questo però è, nonostante i diritti dei laici, in particolar modo affidato al clero (Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri 6, 1 [n. 1257]). Il numero esiguo dei sacerdoti non permette più a loro di arrivare in ampie zone del mondo. Per la nostra regione ogni cattolico attivo nel frattempo ha preso coscienza di questo fatto.

Se è giusto attribuire, per una parte considerevole, questa condizione di mancanza di un pieno compimento del compito alla legge sul celibato, è comunque difficile vedere come a questa legge si possa ancora riservare un senso di adeguatezza. Certo nella linea della tradizione di metà della storia della chiesa c’è da fare tutto il possibile perché questa sia plausibile - tra l’altro non solo per i chierici potenziali, ma anche per i loro vicini (genitori, amici). Ciò avviene già da molto tempo senza successi rilevanti. Potrebbe forse esserci nella linea della tradizione dell’altra metà della storia della chiesa il provare la regola originaria? Qui era di per sé evidente che il presbitero e il vescovo fossero sposati. Solo se possono tenere ordine in una famiglia - questa è l’opinione dell’autore ispirato - esiste la possibilità di trovarsi nella situazione di guidare la famiglia di Dio (1 Tm 3,2-5 e Tt 1,6).

Ma, allora, che cosa adesso? Qui non c’è l’intenzione di esprimere altro se non una riflessione senza pregiudizi e disposta a dialogare per la fedeltà della chiesa al suo mandato. Proprio come il presidente della conferenza episcopale ritiene suo dovere fare.


Wolfgang Beinert è docente emerito di teologia dogmatica alla Facoltà cattolica di teologia di Ratisbona, Germania.



Giovedì, 13 marzo 2008