Sul celibato
L’AMORE NON PUÒ ESSERE VISTO COME DIVISIONE. CIVILE!

Riprendiamo questo articolo dal sito: http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=28477&idsezione=4

Siamo ormai giunti alla fine della nostra inchiesta a puntate. Ciò che ne è emerso è che i temi del celibato dei preti e delle unioni civili sono ormai una spina nel fianco della Chiesta cattolica. Come si è visto recentemente, questi sono argomenti che trovano sempre e immediatamente risonanza negli spazi dei giornali e delle televisioni, basta una frase di un cardinale, una confessione a cuore aperto di un giovane sacerdote di provincia o una bozza di legge, per far riaprire dibattiti e discussioni. Sono, in realtà, problematiche che richiedono attenzione e riflessioni appropriate perché investono diversi aspetti non solo della vita personale dei preti e più comunemente di due persone che decidono di convivere, ma anche della vita stessa delle comunità cristiane, della Chiesa e dell’intera società italiana. Bisogna continuare a parlarne, ma senza frasi fatte, conclusioni semplicistiche o mezze verità. Per quanto riguarda il problema dei ministri di Dio, in questo momento storico la mancanza di preti celibi e la presenza di sacerdoti sposati stanno causando nell’ambito ecclesiastico una situazione d’allarme riguardo al diritto (battesimale) dei cristiani “di essere serviti dai propri pastori per usufruire delle ricchezze della Chiesa, specialmente della parola di Dio e dei Sacramenti”. Ciò possibile solo per opera di preti celibi. Studi e analisi sulle vocazioni al presbiterato celibatario indicano che nei prossimi anni la crisi tenderà a peggiorare, portando ad una maggiore impossibilità per i fedeli di accedere ai Sacramenti e per i preti anziani di seguire un numero crescente di fedeli. Il canone 292 sancisce che le restrizioni al diritto di un prete di esercitare il proprio ordine è una legge meramente ecclesiastica (una disciplina umana). Come anche il canone 1037, che prevede l’obbligatorietà del celibato. Queste leggi sono di origine umana e possono essere modificate o eliminate per iniziativa umana in previsione di un cambiamento delle esigenze pastorali dei fedeli. Papa Paolo VI il 20 novembre 1965, scrivendo alla Commissione Pontificia per la revisione del Codice di Diritto Canonico, ha affermato che il Codice deve essere coerente con i nuovi modi di pensare. Il Diritto canonico deve, quindi, considerare le necessità del popolo di Dio. Dunque, norme eccessivamente rigide devono essere messe da parte. A comprendere meglio la strada di una probabile soluzione è uno scritto di Paolo Cafà: “Sarebbe giusto che si evitasse l’ingerenza confessionale e religiosa nelle questioni temporali così come lo Stato deve evitare qualsiasi interferenza nelle questioni spirituali, senza critica alcuna, per esempio contro il dogma del celibato”. E c’è di più: il celibato non appartiene certamente ai dogmi; è solo una legge ecclesiastica. Non è compito dello Stato ingerirsi nelle faccende interne della Chiesa, ma i fedeli hanno il diritto, anzi il dovere di contestare non solo le prassi (e questo la Chiesa lo ammette) ma anche i dogmi (e questo la Chiesa non lo consente). Giovanni Paolo II in una sua enciclica affermò solennemente che non ci può essere contrasto tra la fede e la ragione. Ebbene, alcuni dogmi (per es. il peccato originale) sono in aperto contrasto con la ragione. Riguardo ai passaggi storici, il celibato ha avuto origini e motivazioni miseramente umane ed economiche. L’eredità per i figli dei preti sposati comprometteva il ricco patrimonio ecclesiastico che rischiava di assottigliarsi. La legge sul celibato sacerdotale fu resa obbligatoria con la violenza per la sola chiesa di rito romano dal più potente dei papi della storia, Innocenzo III. I preti che violavano questo precetto erano, addirittura, condannati a morte. Certe crisi di carattere affettivo vengono agli uomini e alle donne, si sa. E le crisi possono venire anche ai preti. Ma sembra riduttivo ricondurre tutto alla sfera sessuale. La sessualità deve essere di continuo vigilata, domata e vinta. Il bisogno sessuale però prende la forza che uno gli dà. Chi si rinnova ogni giorno con la meditazione, la lettura spirituale, la preghiera del Rosario, la visita del Santissimo Sacramento, chi spesso si purifica con il sacramento della penitenza, chi conserva la fede e 1’umiltà, costui non ha nulla da temere. Può guidare la comunità ed essere d’esempio. Molti cercano lo scampo dalla crisi con 1’interruzione nel ministero, ma si tratta di un’illusione perché non è con una specie di fuga che si troverà la soluzione. Spesso oggi si afferma che il celibatario non raggiunge la piena umanità perché gli manca la compagna di matrimonio. Per il prete si deve dire che il Signore esige l’autoabnegazione, rinunciando ai valori naturali per i valori soprannaturali. E questa è una legge del cristianesimo, nonché la posizione della Chiesa a sostegno del celibato per i preti. Si avrebbe un maggior numero di aspiranti al sacerdozio se non ci fosse il celibato? Beh, attribuire al celibato la causa della carenza di sacerdoti significa spostare la causa, sembra più un pretesto. Il prete ha diritto al matrimonio come ogni altro uomo e la Chiesa non glielo può impedire: ecco la posizione dei favorevoli al matrimonio sacerdotale. Un’affermazione eretica? No, solo una verità dichiarata a testa alta. Il "diritto al matrimonio" presuppone che chi trova difficoltà nel vivere da celibe sia, quindi, libero di contrarre matrimonio. Tra le conseguenze della soppressione del celibato, due alimentano la preoccupazione ecclesiastica: il prete sposato si troverebbe diviso fra moglie, figli e il fatto che un sacerdote sposato e padre di famiglia trascurerebbe la cura delle anime, il servizio all’altare, 1’amministrazione dei sacramenti, la predicazione, il catechismo, la cura degli ammalati, la visita alle case, l’amministrazione, la preghiera personale, tutti impegni che assorbono la vita di un sacerdote che svolge la sua missione pastorale. Diverse sono le tappe di questo giro del mondo dei preti sposati e diversi sono i personaggi che gravitano intorno a questa realtà sotto gli occhi di tutti: Milingo, don Sante, uomini di chiesa come Bertone, Bagnasco, il cardinale Himmes, Ruini, Marini, l’Abbé Pierre, il vescovo di Sidney, don Serrone, il Papa, favorevoli e sfavorevoli, fino ad arrivare ai casi coraggiosi di alcuni preti sposati usciti allo scoperto. Il viaggio continua nel quotidiano e nell’ordinario perché chi dice che il prete della parrocchia accanto casa nostra non abbia il desiderio puro e semplice di sposarsi? E se il pretino di quella chiesetta di campagna fosse favorevole ad eliminare il celibato obbligatorio per i sacerdoti? E se una suora ambisse a diventare prete? Il gioco dei “se” coinvolge davvero tanti aspetti di una società mutevole dove “vecchio” è un altro modo di dire antico e non il muro posto davanti al “nuovo” che vuole compiersi attraverso il cambiamento. Tutto passa perché si trasforma e non c’è limite alle “cose buone e giuste”. L’altra spina nel fianco della Chiesa, dicevamo è la polemica sulle unioni civili e la loro regolarizzazione. Come abbiamo visto sia dalla nostra inchiesta ma anche più semplicemente accendendo la tv, questo è un altro argomento molto importante e di alta risonanza mediatica. Se da una parte si nega il matrimonio a preti e suore, dall’altro invece si nega un altro tipo di convivenza, l’unione civile. In una società dove i sentimenti vanno e vengono e “finché morte non vi separi” sembra ormai una cosa molto difficile da attuare, nasce l’esigenza di testare o provare a stare insieme prima di fare in grande passo. Un po’ per questo, un po’ per la “caduta” del matrimonio (vedi l’aumento esponenziale negli ultimi 10 anni dei divorzi) e un po’ perché convivere senza il sigillo del prete non è più scandalo, siamo di fronte a nuove realtà di scelte e vite, e tra queste scelte vi è il vivere insieme senza sposarsi. La tendenza delle coppie italiane è questa, si va a convivere senza essere passati prima per l’altare o in comune. Come sempre il caso italiano è a sé poiché la stragrande maggioranza di queste unioni poi vanno a confluire nel matrimonio, da qui una differenza abissale con gli altri paesi dove invece chi decide di convivere lo fa per tutta la vita e senza sposarsi. Abbiamo visto che sia per i numeri (564mila coppie di fatto contro 22milioni di famiglie sancite dal matrimonio) che sia soprattutto perché poi le unioni more uxorio vanno a finire nel matrimonio, la famiglia non sembra essere messa in discussione né portata alla disgregazione come ci era stato profeticamente prospettato dalla Chiesa e dalle associazioni in difesa della famiglia. I problemi invece sembrano altri, i divorzi in primis come già detto sopra, i nuovi disagi sociali che vivono e affrontano tutte le società occidentali nella complessità e la frammentazione dei problemi. Se prima Stato e Chiesa andavano a braccetto e l’italiano coincideva sostanzialmente col cristiano, da trent’anni a questa parte le cose sono molto cambiate e gli italiani vivono ormai la loro fede senza tener troppo conto dei fulmini e dei veti che arrivano dal Vaticano. La convivenza senza matrimonio era uno scandalo, un peccato, non a caso era definita anche come “concubinaggio”, oggi nessuno userebbe più questi termini che vengono invece visti come offensivi. Una domanda sorge spontanea, che sta succedendo alla Chiesa? Perché tutte polemiche si sono concentrate in quest’ultimo periodo? A un’attenta analisi, questa domanda trova già un errore di fondo, in realtà quello che sta accadendo oggi è il frutto di un cambiamento trentennale della società italiana, in una parola la Chiesa ha perso la sua influenza, come tutte le istituzioni che hanno una certa storia, si è secolarizzata. La secolarizzazione è quel fenomeno per il quale la società nel suo complesso non adotta più un comportamento sacrale, si allontana da schemi, usi e costumi tradizionali, da posizioni dogmatiche e aprioristiche, questo avviene soprattutto in campo religioso. Viene investito tutto il sistema dei valori, modificandoli e, con essi, trasformando anche le identità, le appartenenze, comprese quelle laiche o laicizzate. Importanti sociologi come Weber, Luhmann e Berger hanno analizzato questo processo che ha investito tutte le società occidentali, quest’ultimo studioso in particolare evidenzia come l’esito finale della secolarizzazione si traduca, a livello del sistema sociale, in un’enorme crescita di complessità e dei relativi problemi di legittimazione e controllo, e quello che vediamo ogni giorno ne è la conferma, basta guardare un tg o aprire un qualsiasi quotidiano. Sembra dunque sia in atto una sorta di scristianizzazione della società con la conseguente minor influenza ed incidenza sulla società civile da parte della Chiesa che, infatti, ha perso nel corso di questi trent’anni gran parte della sua carica morale e di controllo. La sua legittimazione viene messa in discussione, un processo non solo esterno ma anche interno ad essa, non a caso abbiamo analizzato in particolar modo le “voci da dentro”. Tuttavia una parte della teologia ha interpretato in maniera totalmente diversa questa tendenza, ossia come una realizzazione nel concreto del cristianesimo. Comunque sia, quello che è evidente agli occhi di tutti, è che la prima corrente di pensiero è molto più veritiera e reale. Inutile negarlo, cresce il numero di preti sposati (più di 100.000 nel mondo, 20.000 solo negli USA) e in tutta la storia della Chiesa cattolica la pratica porta al costume e il costume porta alla legge nell’interesse spirituale; non si può essere indifferente ai milioni di coppie che preferiscono l’unione di fatto, solo in Italia il 13% delle coppie punte del 20% nel nord Italia. Esistono nuove forme sociali oramai riconosciute, nuovi tipi di famiglie, come le coppie omosessuali, quelle allargate e quelle ricostruite e tutte hanno diritto a un riconoscimento non solo sociale ma anche da parte dello Stato che, se riuscirà a liberarsi dai finti principi di comodo, potrà legiferare in merito. I segni dei tempi richiedono l’ascolto con apertura di cuore e di mente e la sfida che la Chiesa deve fronteggiare oggi è raggiungere l’unità attraverso la diversità. Nessuno chiede alla Chiesa di stravolgere i propri principi, questo non sarebbe accettabile né tantomeno giusto. Ma la tentazione di centralizzare e controllare è forte e deve essere evitata, come deve essere evitato il no a priori senza l’apertura di un dialogo, cosa alla quale assistiamo sempre più spesso. Come finirà? ... lo scopriremo solo vivendo comunque adesso ho un po’ paura, ora che quest’avventura sta diventando una cosa seria..”. Grazie Lucio...



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Lunedì, 08 ottobre 2007