In questo numero: 1. Salvatore Quasimodo 2. Ed e subito sera 3. Rifugio duccelli notturni 4. Dove morti stanno ad occhi aperti 5. Isola di Ulisse 6. Alle fronde dei salici 7. Giorno dopo giorno 8. Milano, agosto 1943 9. Uomo del mio tempo 10. Anno Domini MCMXLVII 11. Il mio paese e lItalia 12. Ai quindici di Piazzale Loreto 13. Auschwitz 14. Ai fratelli Cervi, alla loro Italia 15. Il muro 16. In questa citta 17. Ancora dellinferno 18. Epigrafe per i caduti di Marzabotto 19. Epigrafe per i partigiani di Valenza 20. Et coetera
1. SALVATORE QUASIMODO
Scomparve il 14 giugno 1968, quarantanni fa. Non scomparira la sua poesia. Qui ne riproponiamo alcuni frutti, alcune gemme.
2. ED E SUBITO SERA
Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed e subito sera.
3. RIFUGIO DUCCELLI NOTTURNI
In alto ce un pino distorto; sta intento ed ascolta labisso col fusto piegato a balestra.
Rifugio duccelli notturni, nellora piu alta risuona dun battere dali veloce.
Ha pure un suo nido il mio cuore sospeso nel buio, una voce; sta pure in ascolto, la notte.
4. DOVE MORTI STANNO AD OCCHI APERTI
Seguiremo case silenziose dove morti stanno ad occhi aperti e bambini gia adulti nel riso che li attrista, e fronde battono a vetri taciti a mezzo delle notti.
Avremo voci di morti anche noi, se pure fummo vivi talvolta o il cuore delle selve e la montagna, che ci sospinse ai fiumi, non ci volle altro che sogni.
5. ISOLA DI ULISSE
Ferma e lantica voce. Odo risonanze effimere, oblio di piena notte nellacqua stellata.
Dal fuoco celeste nasce lisola di Ulisse. Fiumi lenti portano alberi e cieli nel rombo di rive lunari.
Le api, amata, ci recano loro: tempo delle mutazioni, segreto.
6. ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevano noi cantare Con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sullerba dura di ghiaccio, al lamento dagnello dei fanciulli, allurlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
7. GIORNO DOPO GIORNO
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue e loro. Vi riconosco, miei simili, mostri della terra. Al vostro morso e caduta la pieta e la croce gentile ci ha lasciati. E piu non posso tornare nel mio eliso. Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati, ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi. Con noi la morte ha piu volte giocato: sudiva nellaria un battere monotono di foglie come nella brughiera se al vento di scirocco la folaga palustre sale sulla nube.
8. MILANO, AGOSTO 1943
Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la citta e morta. E morta: se udito lultimo rombo sul cuore del Naviglio. E lusignolo e caduto dallantenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno piu sete. Non toccate i morti, cosi rossi, cosi gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la citta e morta, e morta.
9. UOMO DEL MIO TEMPO
Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, - tho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. Tho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse allaltro fratello: "Andiamo ai campi". E quelleco fredda, tenace, e giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
10. ANNO DOMINI MCMXLVII
Avete finito di battere i tamburi a cadenza di morte su tutti gli orizzonti dietro le bare strette alle bandiere, di rendere piaghe e lacrime a pieta nelle citta distrutte, rovina su rovina. E piu nessuno grida: "Mio Dio perche mhai lasciato?". E non scorre piu latte ne sangue dal petto forato. E ora che avete nascosto i cannoni fra le magnolie, lasciateci un giorno senzarmi sopra lerba al rumore dellacqua in movimento, delle foglie di canna fresche tra i capelli mentre abbracciamo la donna che ci ama. Che non suoni di colpo avanti notte lora del coprifuoco. Un giorno, un solo giorno per noi, padroni della terra, prima che rulli ancora laria e il ferro e una scheggia ci bruci in piena fronte.
11. IL MIO PAESE E LITALIA
Piu i giorni sallontanano dispersi e piu ritornano nel cuore dei poeti. La i campi di Polonia, la piana di Kutno con le colline di cadaveri che bruciano in nuvole di nafta, la i reticolati per la quarantena dIsraele, il sangue tra i rifiuti, lesantema torrido, le catene di poveri gia morti da gran tempo e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani, la Buchenwald, la mite selva di faggi, i suoi forni maledetti; la Stalingrado, e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta. I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili, dei vinti, dei perdonati dalla misericordia! Tutto si travolge, ma i morti non si vendono. Il mio paese e lItalia, o nemico piu straniero, e io canto il suo popolo e anche il pianto coperto dal rumore del suo mare, il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
12. AI QUINDICI DI PIAZZALE LORETO
Esposito, Fiorani, Fogagnolo, Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre? Soncini, Principato, spente epigrafi, voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati, Gasparini? Foglie dun albero di sangue, Galimberti, Ragni, voi, Bravin, Mastrodomenico, Poletti? O caro sangue nostro che non sporca la terra, sangue che inizia la terra nellora dei moschetti. Sulle spalle le vostre piaghe di piombo ci umiliano: troppo tempo passo. Ricade morte da bocche funebri, chiedono morte le bandiere straniere sulle porte ancora delle vostre case. Temono da voi la morte, credendosi vivi. La nostra non e guardia di tristezza, non e veglia di lacrime alle tombe; la morte non da ombra quando e vita.
13. AUSCHWITZ
Laggiu, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola, amore, lungo la pianura nordica, in un campo di morte: fredda, funebre, la pioggia sulla ruggine dei pali e i grovigli di ferro dei recinti: e non albero o uccelli nellaria grigia o su dal nostro pensiero, ma inerzia e dolore che la memoria lascia al suo silenzio senza ironia o ira.
Tu non vuoi elegie, idilli: solo ragioni della nostra sorte, qui, tu, tenera ai contrasti della mente, incerta a una presenza chiara della vita. E la vita e qui, in ogni no che pare una certezza: qui udremo piangere langelo il mostro le nostre ore future battere lal di la, che e qui, in eterno e in movimento, non in unimmagine di sogni, di possibile pieta. E qui le metamorfosi, qui i miti. Senza nome di simboli o dun dio, sono cronaca, luoghi della terra, sono Auschwitz, amore. Come subito si muto in fumo dombra il caro corpo dAlfeo e dAretusa!
Da quellinferno aperto da una scritta bianca: "Il lavoro vi rendera liberi" usci continuo il fumo di migliaia di donne spinte fuori allalba dai canili contro il muro del tiro a segno o soffocate urlando misericordia allacqua con la bocca di scheletro sotto le docce a gas. Le troverai tu, soldato, nella tua storia in forme di fiumi, danimali, o sei tu pure cenere dAuschwitz, medaglia di silenzio? Restano lunghe trecce chiuse in urne di vetro ancora strette da amuleti e ombre infinite di piccole scarpe e di sciarpe debrei: sono reliquie dun tempo di saggezza, di sapienza delluomo che si fa misura darmi, sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto marcirono e pieta, sotto la pioggia, laggiu, batteva un no dentro di noi, un no alla morte, morta ad Auschwitz, per non ripetere, da quella buca di cenere, la morte.
14. AI FRATELLI CERVI, ALLA LORO ITALIA
In tutta la terra ridono uomini vili, principi, poeti, che ripetono il mondo in sogni, saggi di malizia e ladri di sapienza. Anche nella mia patria ridono sulla pieta, sul cuore paziente, la solitaria malinconia dei poveri. E la mia terra e bella duomini e dalberi, di martirio, di figure di pietra e di colore, dantiche meditazioni.
Gli stranieri vi battono con dita di mercanti il petto dei santi, le reliquie damore, bevono vino e incenso alla forte luna delle rive, su chitarre di re accordano canti di vulcani. Da anni e anni vi entrano in armi, scivolano dalle valli lungo le pianure con gli animali e i fiumi.
Nella notte dolcissima Polifemo piange qui ancora il suo occhio spento dal navigante dellisola lontana. E il ramo dulivo e sempre ardente.
Anche qui dividono in sogni la natura, vestono la morte e ridono i nemici familiari. Alcuni erano con me nel tempo dei versi damore e solitudine, nei confusi dolori di lente macine e di lacrime. Nel mio cuore fini la loro storia quando caddero gli alberi e le mura tra furie e lamenti fraterni nella citta lombarda.
Ma io scrivo ancora parole damore, e anche questa e una lettera damore alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi non alle sette stelle dellOrsa: ai sette emiliani dei campi. Avevano nel cuore pochi libri, morirono tirando dadi damore nel silenzio. Non sapevano soldati filosofi poeti di questo umanesimo di razza contadina. Lamore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore, non per memoria, ma per i giorni che strisciano tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.
15. IL MURO
Contro di te alzano un muro in silenzio, pietra e calce pietra e odio, ogni giorno da zone piu elevate calano il filo a piombo. I muratori sono tutti uguali, piccoli, scuri in faccia, maliziosi. Sopra il muro segnano giudizi sui doveri del mondo, e se la pioggia li cancella li riscrivono, ancora con geometrie piu ampie. Ogni tanto qualcuno precipita dallimpalcatura e subito un altro corre al suo posto. Non vestono tute azzurre e parlano un gergo allusivo. Alto e il muro di roccia, nei buchi delle travi ora sinfilano gechi e scorpioni, pendono erbe nere. Loscura difesa verticale evita da un orizzonte solo i meridiani della terra, e il cielo non lo copre. Di la da questo schermo tu non chiedi grazia ne confusione.
16. IN QUESTA CITTA
In questa citta ce pure la macchina che stritola i sogni: con un gettone vivo, un piccolo disco di dolore sei subito di la, su questa terra, ignoto in mezzo ad ombre deliranti su alghe di fosforo funghi di fumo: una giostra di mostri che gira su conchiglie che si spezzano putride sonando. E in un bar dangolo laggiu alla svolta dei platani, qui nella metropoli o altrove. Su, gia scatta la manopola.
17. ANCORA DELLINFERNO
Non ci direte una notte gridando dai megafoni, una notte di zagare, di nascite, damori appena cominciati, che lidrogeno in nome del diritto brucia la terra. Gli animali i boschi fondono nellArca della distruzione, il fuoco e un vischio sui crani dei cavalli, negli occhi umani. Poi a noi morti voi morti direte nuove tavole della legge. Nellantico linguaggio altri segni, profili di pugnali. Balbettera qualcuno sulle scorie, inventera tutto ancora o nulla nella sorte uniforme, il mormorio delle correnti, il crepitare della luce. Non la speranza direte voi morti alla nostra morte negli imbuti di fanghiglia bollente, qui nellinferno.
18. EPIGRAFE PER I CADUTI DI MARZABOTTO
Questa e memoria di sangue di fuoco, di martirio, del piu vile sterminio di popolo voluto dai nazisti di von Kesserling e dai loro soldati di ventura dellultima servitu di Salo per ritorcere azioni di guerra partigiana.
I milleottocentotrenta dellaltipiano fucilati e arsi da oscura cronaca contadina e operaia entrano nella storia del mondo col nome di Marzabotto. Terribile e giusta la loro gloria: indica ai potenti le leggi del diritto il civile consenso per governare anche il cuore delluomo, non chiede compianto o ira onore invece di libere armi davanti alle montagne e alle selve dove il Lupo e la sua brigata piegarono piu volte i nemici della liberta.
La loro morte copre uno spazio immenso, in esso uomini dogni terra non dimenticano Marzabotto il suo feroce evo di barbarie contemporanea.
19. EPIGRAFE PER I PARTIGIANI DI VALENZA
Questa pietra ricorda i Partigiani di Valenza e quelli che lottarono nella sua terra, caduti in combattimento, fucilati, assassinati da tedeschi e gregari di provvisorie milizie italiane. Il loro numero e grande. Qui li contiamo uno per uno teneramente chiamandoli con nomi giovani per ogni tempo. Non maledire, eterno straniero nella tua partia, e tu saluta, amico della liberta. Il loro sangue e ancora fresco, silenzioso il suo frutto. Gli eroi sono diventati uomini: fortuna per la civilta. Di questi uomini non resti mai povera lItalia.
20. ET COETERA
Salvatore Quasimodo, tra i maggiori poeti del Novecento, nacque nel 1901 e scomparve nel 1968. I testi che qui abbiamo riproposto abbiamo estratto da Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1995, 2000. Di Quasimodo oltre lopera in versi si legga almeno anche Il poeta e il politico e altri saggi, Mondadori, Milano 1967. Per una prima introduzione: Giuseppe Zagarrio, Salvatore Quasimodo, La Nuova Italia, Firenze 1969, 1974; Gilberto Finzi, Invito alla lettura di Salvatore Quasimodo, Mursia, Milano 1972, 1976; Mirko Bevilacqua (a cura di), La critica e Quasimodo, Cappelli, Bologna 1976.
Tratto da VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA Supplemento settimanale del martedì de La nonviolenza è in cammino
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
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Numero 181 del 20 maggio 2008
Luned́, 26 maggio 2008
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