UN DIO CHE SERVE GLI UOMINI

di p. Alberto Maggi

PALERMO - 23 SETTEMBRE 2004 - X SETTIMANA ALFONSIANA


IL PERICOLO GESÙ

Per catturare Gesù, si scatena un’operazione di polizia senza pari. Vengono impiegati “la coorte con il comandante e le guardie dei Giudei” (Gv 18,12). Il termine coorte indica un distaccamento tra 600 e 1000 soldati a servizio del procuratore romano. Le guardie, in servizio al tempio di Gerusalemme erano circa duecento, alle dipendenze del sommo sacerdote. Mentre la coorte era incaricata del mantenimento dell’ordine nella città di Gerusalemme, le guardie lo erano per il servizio interno al Tempio. Tra i due corpi c’era profonda rivalità e inimicizia e, tra l’altro, ai componenti della coorte era proibito l’accesso al Tempio. Ora questi due corpi di polizia sono uniti di fronte a un unico pericolo. Impiegare più di mille uomini armati per catturare un solo individuo - che tra l’altro non solo non oppone resistenza, ma si consegna da solo - vuol significare che questa persona è estremamente pericolosa.

Chi era e che cosa aveva fatto questo Galileo tanto pericoloso?

Le sue credenziali sono pietose. Nel mondo giudaico il documento più antico che ne parla definisce Gesù “un bastardo di un’adultera” (Yeb. M. 4,13), giustiziato “perché aveva praticato la stregoneria, sedotto e sviato Israele” (Sanh. B. 434a). La situazione non migliora nei vangeli, dai quali risulta che gli stessi familiari di Gesù non hanno alcuna considerazione di questo loro strano e ingombrante parente (“neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui” Gv 7,5). Per loro è solo un matto da togliere dalla circolazione, in quanto è il disonore della famiglia: “I suoi, uscirono per andare a catturarlo poiché dicevano è fuori di testa” (Mc 3,21).

Il giudizio negativo del suo clan familiare è abbondantemente confermato

- dalle autorità religiose, che alla pazzia aggiungono una connotazione religiosa, la possessione demoniaca: “Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?” (Gv 10,20; cf 8,52; Mc 9,30);

- dagli scribi, teologi ufficiali dell’istituzione religiosa giudaica, per i quali Gesù è un “bestemmiatore” (Mt 9,3) e come tale meritevole della pena di morte. Per loro quel che Gesù opera accade perché “è posseduto da Beelzebul e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni” (Mc 3,22);

- dai sommi sacerdoti e dai farisei,per i quali “è un impostore” (Mt 27,63);

- dallafolla, per la quale Gesù è uno che “inganna la gente” (Gv 7,13); Gesù era un pericolo pubblico che occorreva eliminare al più presto, prima che il suo messaggio si divulgasse tra la gente (“Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui”, Gv 11,48).

Gesù è riuscito a deludere persino Giovanni Battista, che pur lo aveva riconosciuto come il Messia atteso. Constatato che Gesù si comporta diversamente dal Messia giustiziere che egli aveva annunciato alle folle, gli invia un ultimatum che suona come una sconfessione: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” (Mt 11,3).

Persino molti dei suoi stessi discepoli, una volta conosciuto il programma di questo strano Messia, l’hanno abbandonato: “Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66).

Quando finalmente le autorità riusciranno a catturarlo, Gesù verrà consegnato a Pilato e accusato non solo dai capi religiosi, ma pure dalla sua stessa gente di essere un malfattore: “Se non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato” (Gv 18,30).

È il fallimento totale per questo profetaconosciuto dalla gente come “un ghiottone e un gran bevitore”, uno che non ha frequentato le persone che si addicevano al preteso ruolo di Figlio di Dio, ma che è conosciuto per essere amico della feccia della società: pubblicani e peccatori (Mt 11,19), “gente maledetta che non conosce la Legge” (Gv 7,49), per colpa dei quali è ritardata la venuta del Regno di Dio.

Perché tanto astio attorno alla figura di Gesù? Cosa ha detto e fatto di tanto grave da attirarsi contemporaneamente diffidenza, ostilità, rabbia omicida che lo condurranno a finire, nella più completa solitudine,

- abbandonato dalla famiglia,

- tradito dai suoi discepoli,

- ridicolizzato dai romani,

- deriso dalle autorità religiose,

-  inchiodatoal patibolo riservato ai maledetti da Dio (Dt 21,23)?

II

CHI ERA GESÙ

Per comprendere quel che ha fatto Gesù, e perché lo ha fatto, occorre capire chi era, o meglio chi non era, questo carpentiere di Nazaret di Galilea.

Gesù non è stato né un pio Giudeo, né un riformatore venuto a purificare la religione o il Tempio, come ci si attendeva dal Messia.

   Gesù è venuto a eliminare Tempio e religione.

   Gesù non è neanche un profeta inviato da Dio.

   Gesù è l’Uomo-Dio, manifestazione visibile del Dio invisibile, l’unico che poteva cambiare la relazione tra gli uomini e il Padre.

   E’ stato rifacendosi al Padre, anziché ai padri, che Gesù ha potuto distaccarsi dal mondo culturale giudaico, nel quale era cresciuto ed era stato educato, e dare inizio a un cambiamento radicale e irreversibile non solo della storia ma a ogni fenomeno religioso.

   Gesù ha tentato ed è riuscito a fare quel che a nessun profeta o riformatore religioso era stato possibile.

   Profeti e riformatori sono individui carismatici capaci di dilatare al massimo grado la loro esperienza del sacro e di formularla con modalità nuove. Le loro espressioni inizialmente verranno non comprese, osteggiate e perseguitate, ma poi, col tempo, accettate e assimilate o addirittura imposte.

   Gesù è andato al di là. Gesù non si è mosso nell’ambito del sacro. Ne è uscito.

   Il Cristo non solo ha ignorato nella sua vita e nel suo insegnamento tutto quel che era considerato sacro, ma lo ha sradicato, e per questo ha potuto mostrare il marcio delle sue radici.

   Per Gesù la religione non solo non permetteva la comunione con Dio, ma l’impediva. L’istituzione religiosa, anziché favorirla, ostacolava la relazione con Dio.

   Questo è stato il delitto di Gesù. Il suo crimine è stato quello di avere aperto gli occhi alla gente, di aver mostrato loro il “re nudo” di quell’impostura chiamata religione (per religione s’intende quell’insieme di azioni, di comportamenti e sentimenti che l’uomo deve fare e avere per il suo dio).

   Per questo è stato assassinato.

   Gesù è stato ucciso dall’istituzione religiosa giudaica col pieno assenso dei Romani, perché il Sommo sacerdote e il Procuratore hanno visto in Gesù colui che, distruggendo le sacre basi sulle quali si reggeva la società, avrebbe portato alla rovina il loro mondo.

III

IL FIGLIO DELL’UOMO

a) Daniele

Gesù ha potuto comportarsi in questa maniera perché, ed è la definizione che egli stesso si dà, è il Figlio dell’uomo.

Il Figlio dell’uomo è un tema cruciale per la comprensione della figura di Gesù e della sua attività.

Nei vangeli Figlio dell’uomo è dopo il nome proprio, la denominazione principale di Gesù. Un dato rivelatore dell’importanza di questa denominazione è che si trova sempre in bocca a Gesù e attribuita a se stesso (eccetto Gv 12,34, come risposta della folla).

Figlio dell’uomo è la traduzione di un’espressione aramaica bar nash(a), [ebr. ben’ adam] “figlio di uomo”, e significa uomo. L’espressione non è originaria degli evangelisti, ma si riferisce al Libro di Daniele (Dn 7,13-14), dove si descrive un sogno nel quale il profeta vede la successione di quattro imperi rappresentati dalle bestie, simbolo di crudeltà e disumanità, con le quali si indicavano le nazioni pagane (Ger 4,7; 5,6; Ez 29,3; 32; Sal 57,3).

Dal Mar Mediterraneo, agitato dai “quattro venti del cielo”, salivano “quattro grandi bestie”. “La prima era simile ad un leone e aveva ali di aquila” (Dn 7,4). Il leone, la bestia più importante, rappresenta Nabucodonosor ed era figura dell’impero di Babilonia; la seconda, “simile a un orso” che sta divorando “tre costole” (Dn 7,5), è presentata mezza sdraiata e mezza alzata: sta divorando, ma nello stesso tempo è in posizione d’attacco. Questa bestia rappresenta il regno dei Medi, conosciuti per la loro ferocia (Is 13,17), che succedono immediatamente ai babilonesi.

La terza, “simile a un leopardo” con “quattro ali d’uccello sul dorso e quattro teste” (Dn 7,6), indica il regno dei Persiani, un potere universale e capace di portarsi rapidamente nelle quattro direzioni della terra. Infine la quarta bestia, che supera in ferocia tutte le altre, “una bestia spaventosa” (Dn 7,7), insaziabile e implacabile, tanto da non poter essere descritta se non per le “dieci corna, e i denti di ferro”, indica il regno di Alessandro e dei suoi successori. Le dieci corna sono i re della dinastia dei Seleucidi.

L’apparizione delle quattro bestie indica che nessuna di queste contribuisce a umanizzare il genere umano né a migliorarne l’esistenza; al contrario, la peggiorano per il crescendo di ferocia.

Nel corso della visione Daniele in 7,13 parla di “uno simile a un figlio d’uomo”, cioè un uomo, il quale riceve il potere prima detenuto da Nabucodonosor: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati potere [exousia], gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Dn 7,13-14; 4,33; 5,18).

 L’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza (Gen 1,26), è chiamato a dominare le fiere (Gen 1,28; 9,2), il suo dominio sarà eterno e il suo regno non avrà fine. Gli evangelisti identificano in Gesù questo uomo, in particolare Marco descrive il Cristo che nel deserto “stava con le fiere” (Mc 1,13).

In epoca posteriore al libro profetico la figura umana venne interpretata nella letteratura rabbinica come una rappresentazione del Messia.

Il messaggio di Daniele è che Dio distrugge i poteri politici disumani che, con la loro ingiustizia e crudeltà, opprimono i popoli. Dopo aver ridotto alla rovina o all’impotenza questi regni, Dio inaugurerà un regno universale di carattere umano, degno dell’uomo.

Non sorgerà un impero in più che si aggiungerà alla serie, ma si instaurerà una nuova maniera di regnare, umana, non bestiale, garantita dal figlio dell’uomo.

b) Vangeli

Missione del Cristo è quella di effondere all’umanità una vita di qualità divina, che trasforma l’uomo interiormente infondendogli una nuova vitalità.

Con l’immagine del figlio dell’uomo, gli evangelisti vogliono indicare il trionfo dell’umano sul disumano, cioè la progressiva scomparsa dei sistemi che ostacolano lo sviluppo dell’uomo, e, di conseguenza, la possibilità per l’umanità di avanzare nel cammino della sua maturazione e pienezza.

Nei vangeli, il figlio dell’uomo (Ho huios toû anthrôpou)indica colui agisce in terra come Dio stesso (Mt 9,6), colui che rende presente il divino e la sua forza di vita nella storia umana, e per questo rappresenta il massimo dell’umanità, l’Uomo per eccellenza.

In Gesù si realizza in pienezza la creazione dell’uomo, portandolo a una pienezza umana che include la condizione divina. Il suo impegno d’amore senza limiti agli uomini lo porta al massimo delle possibilità umane e allo stesso tempo lo pone in piena sintonia con la realtà divina, che, essendo amore (1 Gv 4,8), non può non comunicarglisi. Pertanto figlio dell’uomo appare come il punto d’incontro tra il massimo dell’umano e la realtà di Dio, il luogo dove s’incontra e si fonde l’umano con il divino (“Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”, Gv 1,51). Il Messia, contrariamente alle attese del popolo, non sarà un leader politico, ma il detentore della pienezza umana e, con essa, della condizione divina. La sua missione è aprire agli uomini il cammino verso una pienezza come la sua. Gesù non è un sovrano al quale sottomettersi, ma il modello d’uomo al quale ognuno può aspirare.

La pienezza raggiunta dal Cristo non è un privilegio unico, ma Gesù, colui che battezza in Spirito santo (Mt 3,11; Mc 1,8; Lc 3,16; Gv 1,33,) comunica ad altri lo stesso Spirito che è in lui. La partecipazione dello Spirito ricevuto da Gesù indica che altri uomini entrano nella via della pienezza umana e che la denominazione il Figlio dell’uomo include anche loro (“Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”, Gv 1,16).

 L’impegno d’amore di Gesù, per quanto eccezionale e straordinario, è dentro le capacità umane.

Figlio dell’uomo è Gesù, colui nel quale risiede la pienezza dello Spirito, ma è anche modello dello sviluppo umano, connotando pertanto un potenziale senso estensivo a tutti gli uomini. Nel figlio dell’uomo gli evangelisti uniscono due concetti: quello dell’Uomo per eccellenza e quello del prototipo di tutta l’umanità. Gesù, che è al vertice della condizione umana è allo stesso tempo modello e meta per tutti.

IV

DAL POTERE AL SERVIZIO*

   Gesù, figlio dell’uomo, pienezza dell’umanità e manifestazione visibile del Dio che “nessuno ha mai visto” (Gv 1,18), nell’insegnamento e nella pratica si è mostrato come un Dio a servizio degli uomini (Mt 20,28; Mc 10,45; Lc 22,27; Gv 13,1-16) e ha distrutto il concetto di dominio proponendo, e dimostrando di essere, un Dio liberatore.

L’immagine che Gesù ha proposto, completamente sconosciuta nel panorama religioso dell’epoca, cambia radicalmente il concetto di Dio e segna il passaggio dalla religione (intesa come ciò che l’uomo deve fare per Dio) alla fede (quel che Dio fa per l’uomo): non più l’uomo al servizio di Dio, ma Dio al servizio degli uomini.

Questo cambiamento provoca uno sconquasso nella società religiosa come in quella civile, che si sentono minacciate nelle loro stesse radici.

In ogni religione veniva insegnato che l’uomo aveva il compito di servire il suo Signore, un Dio presentato sempre come esigentissimo sovrano che continuamente chiedeva agli uomini, sottraendo loro cose, tempo, energie.

La nuova immagine proposta da Gesù, di un Dio a servizio degli uomini, un Dio che, anziché togliere, dona, e che anziché diminuire l’uomo lo potenzia è alla base della dignità e della libertà dell’individuo.

Questo nuovo volto di Dio comporta un profondo cambiamento non soltanto nel rapporto dell’uomo versoDio, ma pure in quello tra gli uomini, inaugurando una nuova relazione nella quale viene esclusa qualunque forma di dominio: se Dio stesso non domina, ma serve, nessuno può più dominare gli altri e tantomeno può farlo in nome di Dio.   

Ciò causa l’allarme e il panico negli ambienti dove il concetto di libertà era completamente sconosciuto, e dominio e potere venivano esercitati e legittimati dalla religione.

       Gesù, nel suo programma di liberazione totale dell’uomo, met­terà in guardia la sua comunità dai tre grandi valori che la società considera sacri - per valore sacro s’intende una realtà talmente importante che è lecito, per la sua difesa, togliere la vita agli altri o sacrificare la propria - ma che per Gesù sono solo una sata­nica triade Dio-Patria-Famiglia.

Il fascino esercitato dalla triade “Dio-Patria-Famiglia” è potente: attraverso la sottomissione e l’obbedienza ai valori proposti dalla Religione, dallo Stato, dalla Famiglia più ci si sente solidali e partecipi del loro potere e da questi difesi, più si vede con orrore la ten­tazione della libertà che rende soli e vulnerabili.

L’acritico totale consenso alla triade impedisce di sba­gliare: le sue leggi indicano esattamente come comportarsi, e i suoi rappresentanti si offrono come guide severe ma paterne. Infatti, qua­lora si incorresse in una trasgressione di qualcuno di questi va­lori (violazione che verrà denominata disobbedienza, peccato o infrazione, secondo quale dei tre valori verrà infranto), si viene di nuovo benevolmen­te reinseriti median­te una punizione, penitenza o multa, all’interno di questo sistema.

Mentre le trasgressioni sono tollerate, non è così è per il dissenso, che viene visto come un grave attentato alla conservazione del potere e quindi persegui­tato con estrema durezza.

Gesù, per il quale l’unico valore sacro è il bene dell’uomo che si esprime in piena libertà e dignità, denuncerà che quei valori considerati sacri e, apparentemente, a favore del­l’uomo e fondamento della società, sono in realtà il principale ostacolo alla realizzazione del progetto di Dio sull’umanità: che ogni uomo diventi suo figlio raggiungendo la pienezza della condizione divina, che diventi esso stesso Signore (per “signore” non s’intende colui che comanda, ma colui che non ha nessuno a cui dover obbedire).

E proprio questo allarma la società, civile e religiosa: che l’uomo raggiunga la condizione divina, diventi esso stesso Signore e, in quanto tale, ingovernabile (“Se sia giusto innanzi a Dio ascoltare voi più che a lui, giudicatelo voi stessi…”, At 4,19).

Gesù, l’uomo che ha raggiunto la pienezza della condizione divina, verrà perseguitato a morte proprio per questo: “Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto abrogava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5,18).

L’adesione dei discepoli al figlio dell’Uomo li condurrà alla perse­cuzione.  Quanti, credenti e no, aderiscono ai valori del figlio dell’uomo e li difendono, incontreranno l’ostilità e l’odio della società.  

Ogni potere, da quello meno appariscente ma non meno mici­diale della famiglia, a quello civile e a quello sacrale vuole impedire la pienezza umana rappresentata da Gesù. Questi poteri, perseguitando quanti danno l’adesione al figlio dell’uomo, mostrano di essere nemici dell’umanità.

Gesù avvisa i suoi: tenteranno di impedire e di annientare la proclamazione del messaggio e accadrà loro esattamente quel che faranno con Gesù, condannato a morte come bestemmiatore in nome di Dio da parte dei rappresentanti della religione, come pericoloso sovversivo da parte del potere civile e abbandonato dalla famiglia che lo riteneva ormai un pericoloso demente.

I nemici o gli ostacoli alla realizzazione del progetto divino, Gesù li individua nella

- famiglia, dove il marito era l’indiscusso padrone della moglie e dei figli: “sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti... il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire, e sarete odiati da tutti a causa del mio nome...” (Lc 21,16-17);

- nazione, dove chi deteneva il comando spadroneggiava impunemente sui sudditi: “sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia...” (Mt 10,18);

- religione, dove il dominio veniva esercitato in nome di Dio e giungeva dove gli altri ambiti di potere si fermavano: l’intimo della persona, la coscienza: “vi consegneranno ai sinedri e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe...” (Mt 10,17); “viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” (Gv 16,3).

Il comune denominatore di questi tre valori ritenuti sacri è l’uso costante della menzogna, al fine di perseguire il dominio e il controllo sulle persone. Nel vangelo di Giovanni, del diavolo, figura del potere incarnato dalle autorità giudaiche, viene detto che “quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44).

Presentare come un valore quel che mutila o diminuisce l’uomo, questa è la menzogna.

Mentre la verità, incarnata da Gesù, si riferisce a un modo di operare che favorisce la vita, la menzogna è quel che favorisce la morte. Mentre la verità di Gesù è pienezza di vita e di libertà, la menzogna del potere è schiavitù e soppressione di vita.

Avvertiti che da questi valori ritenuti sacri non possono che venire menzogne, i credenti sapranno discernere e interpretare il linguaggio del potere nelle sue diverse forme, e così scoprire che

-  quando, nell’ambito della famiglia, si usa la formula “l’ho fatto per il tuo bene”, in realtà si tende spesso a coprire profondi egoismi e inconfessabili interessi,

-  quando le autorità religiose parlano di “volontà di Dio”, contrabbandano come tale la loro volontà, come Gesù denuncerà: “Avete annullato la parola di Dio con la vostra tradizione… insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Mt 15,6.9),  

-  quando i governanti chiamano “operazione umanitaria” la guerra, e i soldati “costruttori di pace”, e dichiarano che combattono in nome di Dio, che Dio è con loro, che Dio protegge la loro nazione, essi non mentono. È vero che lo fanno per conto di Dio. Ma non certo per il Padre di Gesù, ma per il loro dio, cioè il mamona, l’interesse e il profitto che regola il sistema.

A questi falsi valori che impediscono la crescita e la maturazione dell’uomo mantenendolo in uno stato infantile di sottomissione e obbedienza, Gesù opporrà i veri valori che, comunicando agli uomini energia divina, saranno fattore di crescita per ogni uomo, consentendogli di realizzare in lui il progetto divino: che ogni uomo diventi figlio di Dio mediante la pratica di un amore somigliante al suo (Gv 1,12; Ef 1,4).


dalla famiglia alla comunita’

“Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte”.

Quando Gesù afferma che “i nemici dell’uomo saranno i suoi familiari” (Mt 10,36), parla partendo dalla propria esperienza personale. Non ha avuto alcun appoggio dalla sua famiglia, ma solo difficoltà. I rapporti di Gesù con la propria famiglia infatti sono stati decisamente tragici: creduto da tutti un demente da togliere dalla circolazione (Mc 3,20-21), nessuno del suo ambito familiare ha mai creduto in lui (Gv 7,5).

E Gesù ha parole duris­sime contro la famiglia. Non sono i legami del sangue quelli che uniscono, ma ideali comuni per accogliere i quali si può rompere con la propria famiglia e lasciare persino “moglie o fratelli o genitori o fi­gli...” (Lc 18,29).

Gesù ha ampliato l’angusto orizzonte della fami­glia vincolata dagli obblighi familiari, e l’estende ad ogni uomo, senza distinzione di popoli e razza. L’unità viene realizzata dall’accoglienza dello stesso Spirito e non dall’avere lo stesso sangue: “girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,33-35).

Per poter seguire Gesù e vivere il suo messaggio, occorre per prima co­sa non solo uscire dall’utero, ma tagliare il cordone ombelicale e allontanarsi dalla calda protezione del grembo materno, riven­dicando il proprio diritto di pensare con la propria testa e cam­minare con le proprie gambe.

La sequela a Gesù richiede la piena libertà dell’individuo, che deve rendersi indipendente da tutto quel che gli impedisce piena libertà di movimento, compresi quei rapporti familiari che proprio per la loro costrizione vengono chiamati “vincoli” o “legami”:

“Chi vuol bene al padre o la madre più di me non è degno di me; chi vuol bene al figlio o la figlia più di me non è degno di me; (Mt 10,37).

Gesù non viene a distruggere la famiglia, ma a liberarla da quei ricatti affettivi che impediscono ai suoi componenti di crescere, accedendo a quella pienezza di vita alla quale ogni individuo viene da Dio chiamato.

Per questo Gesù chiede ai figli di sciogliere quei legami di dipendenza dai loro genitori che impediscono ad essi di crescere, e ai genitori di distaccarsi da quei legami verso i figli che condizionano la loro (dei genitori) libertà e impedisce di vivere con pienezza il rapporto marito-moglie riducendosi a essere unicamente genitori.

La famiglia, che si sente minata nelle fondamenta da questa sconvolgente devastante proposta, si difende e reagisce inne­scando un’attività di morte, distruggendo una vita che , in qualche maniera, è pure la propria, “il fratello consegnerà a mor­te il fratello...”

Mentre il vincolo normale tra i membri della stessa famiglia dovrebbe essere la solidarietà, questa si cambia in odio. Agli occhi della società, i credenti in Gesù sono rei di un crimine talmente grave da annullare i più stretti vincoli familiari. Le espressioni usate da Gesù alludono ad un conosciu­tissimo brano del Libro del Deuteronomio (Dt 13,7-12), dove si pre­scrive la morte del fratello da parte del fratello, quella del figlio da parte del padre, etc., in caso venissero da costoro in­citati all’idolatria. L’adesione a Gesù è equiparata a un’apo­stasia o idolatria.

dalla Patria al Regno,

Poche volte nei vangeli appare il termine patria [patris] (Mt 13,54.57; Mc 6,1.4; Lc 4,23.24; Gv 4,44), e sempre in un contesto fortemente negativo, ad indicare un valore o stile contrario a quello proposto da Gesù.

In Mt 13,53, con il termine patria si indica, senza nominarla, Nazareth, la città dello scandalo e del rifiuto di Gesù da parte dei suoi concittadini: “E si scanda­lizzavano per causa sua... Ma Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua” (Mt 13,57).

Gesù presenta ai suoi un’immagine totalmente negativa dei capi del popolo. Egli non riconosce che ci siano dei capi, (“quelli che figurano come capi delle nazioni, le tiran­neggiano e i grandi spadroneggiano”, Mc 10,42ss), e al loro potere oppone un programma di servizio tendente a costruire una società (il Regno di Dio), dove il dominio non esista.

Il messaggio di Gesù è indubbiamente antipatriottico. Lui non riconosce confini, tanto più quando questi vengono po­sti da fanatismi razziali e religiosi. Basti pensare all’inimicizia esistente al suo tempo tra Samaritani e Giudei (Gv 4,9). Gesù, chiedendo da bere alla donna samaritana, non solo elimina la proverbiale su­periorità dei Giudei rispetto ai Samaritani, ma pure quella dei maschi verso le femmine.

Gesù si mostra indipendente tanto dalla situazione che esi­ste tra Samaria e Giudea quanto dalle discriminazione basate sul sesso: non riconosce le divisioni causate da ideologie, tanto meno da quella religiosa e sessuale e offre a tutti, allo stra­niero come alla donna, il dono del Padre, che non distingue tra alcuni uomini e altri, poiché il suo amore si dirige all’umanità intera (Gv 3,16).

Quando un popolo pretende di essere scelto da Dio, benedetto, prediletto, significa che ritiene gli altri popoli esclusi da questa benedizione, razze inferiori da sottomettere o sfruttare, e il Signore viene degradato al ruolo di cappellano militare sempre pronto a benedire gli eserciti.

Il Signore ha liberato Israele dalla schiavitù egiziana perché lui è il Dio che libera gli oppressi (Lc 4,18), ma quel che ha fatto per Israele il Signore lo ha fatto anche per quei popoli che da sempre sono i suoi nemici storici (“Non siete voi per me come gli Etiopi, Israeliti? Oracolo di Yahvé? Non ho fatto uscire io Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftòr e gli Aramei da Kir?”,Am 9,7).

Nei vangeli questi potenti vengono definiti “potenze che stanno nei cieli” (Mc 13,25; Mt 24,29), espressione che designa forze che si presentano come divinità e pretendono di sostituirsi a Dio Padre, l’unico “che è nei cieli” (Mc 11,25.26; Mt 6,1). Sono forze di morte in opposizione alla forza di vita, potenze che usurpano il luogo di Dio ed esercitano il potere di dar morte.

L’ostilità contro i discepoli nasce dalla stessa fonte del potere. E’ il potere come tale che si sente minacciato dalla pro­clamazione della buona notizia e che si difende da questa con la persecuzione, che non è un incidente fortuito, ma l’espressione dell’opposizione irriducibile che esiste tra il messaggio di Gesù e il potere stesso. I rappresentanti del potere non possono tol­lerare quanti professano e propagano un’ideologia opposta, e si difendono con la violenza da tutto quello che intravedono come attacco o minaccia al proprio prestigio ed ai propri interessi.

 L’annuncio del messaggio universale di Gesù farà entrare in crisi i nazionalismi, che tenteranno di impedire in tutti i modi questa proclamazione.  

La proclamazione del messaggio di Gesù a tutti i popoli porterà l’eclissi delle falsi divinità (oscuramento del sole e della luna) e la caduta successiva dei regimi oppressori pagani.

Sarà la “caduta delle stelle” annunciata da Gesù (Mc 13,25). Le stelle rappresentano nel linguaggio della Bibbia i re che, i­norgogliti del loro potere, si arrogavano rango divino, e il loro sentirsi astri denuncia la distanza tra quanti detengono il pote­re e i loro sudditi (è famosa la satira di Isaia con­tro il re di Babilonia: “Come ha fatto a cadere dal cielo la stella del mattino...”, Is 14,12-14).

 La caduta profetizzata da Gesù sarà un fe­nomeno che avverrà in ogni epoca a misura che l’annuncio del suo messaggio sgretolerà i piedistalli dei potenti (“ha rovesciato i potenti dai troni...”, Lc 1,52).

Al concetto di patria Gesù opporrà quello di Regno di Dio.

Mentre la patria sacralizza se stessa (il sacro suolo), ponendo come valore sacro quelli che sono i suoi interessi, nel regno l’unico sacro è l’uomo.

In questo regno i confini non esistono, perché il Regno di Dio è basato su una comunicazione d’amore che non tol­lera limiti geografici o razziali e per questo è universale. In uno scritto del secondo secolo, un autore cristiano scri­ve che i cristiani “vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati co­me stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera” (Diogneto 5,1).

Gesù non è venuto ad innalzare muri di inimicizia contro gli altri popoli, ma ad abbatterli (Ef 2,14), perché l’amore del Signore si estende a tutte le nazioni.

da Dio al Padre,

È illusorio pensare che le religioni possano portare la pace nell’umanità.

Le religioni sono per loro natura violente.

Ogni religione ha la pretesa di essere l’unica assoluta rivelazione della divinità, a riprova della quale rivendica il possesso di un testo sacro, rivelato, comunicato o scritto direttamente da Dio. Questa sacra scrittura, ritenuta espressione definitiva della volontà di Dio, dà il diritto alla religione di dividere le persone tra fedeli e infedeli, tra puri e impuri, di promettere un premio o di minacciare un castigo, innescando forme crescenti di violenza morale, psicologica e, quando le leggi civili lo consentono, anche fisica.

Naturalmente ogni religione è convinta di essere portatrice di pace e che il Satana o il Male sia qualcosa che appartiene alle altre religioni, filosofie o sistemi di potere.

Ogni religione ritiene di avere l’esclusiva della fratellanza e della pace, ma la storia insegna che proprio in nome della religione gli uomini si sono scannati gli uni contro gli altri, uccidendo e massacrando per la difesa del loro Dio.

A questo proposito non va dimenticato che il cristianesimo è stato la religione più omicida che sia mai apparsa nella storia. Nessuna religione ha tanti morti sulla coscienza come il cristianesimo.

Fin dai suoi inizi la violenza è stata la costante della Chiesa. Hanno ucciso più cristiani i papi per imporre la religione cristiana che gli imperatori romani per contrastarla.

Sono incontestabili le radici cristiane dell’Europa, ma sono radici che sono state abbondantemente annaffiate col sangue di milioni di vittime.

La violenza della Chiesa, infatti, non si è rivolta solo agli “infedeli”, musulmani ed ebrei, ma agli stessi cristiani, sia a quelli considerati eretici,che sono stati bruciati, squartati, bolliti, arrostiti, sia alle streghe, torturate e condannate al rogo, ma anche a quanti non si sottomettevano completamente al suo potere. Il tutto in nome del Cristo.

E in nome di Cristo sono stati perpetrati genocidi e stragi: intere popolazioni ed etnie sono state cancellate dalla faccia della terra (basti pensare agli Aztechi e ai Maya, solo per citare i più conosciuti) e altre sono state sottomesse cancellando la loro cultura, la loro storia e le loro tradizioni.

È evidente che l’adesione ai principi di testi ritenuti sacri non è sufficiente per esorcizzare la violenza nei confronti degli uomini. Non basta un testo considerato sacro, occorre che l’uomo venga considerato sacro. Se il bene dell’uomo non viene messo al primo posto come valore sacro, non solo i testi dell’Antico Testamento, ma persino il Vangelo può essere usato per fare il male anziché il bene. San Tommaso arriverà ad affermare, commentando il testo di Paolo “La lettera uccide, ma lo Spirito dà la vita” (2 Cor 3,6), che “Per lettera si deve intendere ogni legge esterna all’uomo, precetti della morale evangelica compresi, che possono uccidere se non esistesse nell’intimo la grazia sanante della fede” (I 2a q.106 art.2).

La Parola di Dio si svela solo a quanti mettono il bene dell’altro al primo posto nella loro esistenza. E’ questa la verità che permette l’ascolto della voce del Signore (“Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”,Gv 18,37). Quando ciò non accade, si rischia di disonorare l’uomo per onorare Dio, come fa il sacerdote, protagonistadella parabola del Samaritano (Lc 10,30-37), il quale, trovandosi di fronte a un ferito, non ha alcun dubbio su quel che deve fare. Il rispetto della Legge divina è per lui più importante della sofferenza del moribondo. Per rispettare la Legge, che proibiva a un sacerdote di toccare un ferito (Nm 19,16), sacrifica l’uomo.

Lo stesso vangelo, quando non è più a servizio del bene e della felicità degli uomini, ma viene usato come strumento di potere per sottometterli, si fa portatore di morte anziché di vita. Il potere esercitato in nome di Dio è il più perverso, perché ha convinto gli uomini della necessità di sottomettersi ai suoi rappresentanti quale unica via di salvezza. Questo rende le persone non solo schiave, ma complici di questa schiavitù accettata e assunta a valore.

Mentre dietro l’obbedienza allo Stato e alla Famiglia si può celare la paura per eventuali ritorsioni, la sottomissione a Dio si radica talmente nell’uomo da fargliela sentire come giusta e necessaria per la propria salvezza.

Gesù mai chiederà ai suoi obbedienza e neanche di obbedire a Dio, alle sue leggi e tantomeno ai suoi seguaci: il termine ob­bedienza (gr. ypakouo) è presente nei vangeli solo cinque volte e mai riferita alle persone, ma sempre ad elementi nocivi e contrari all’uomo: vento e mare (Mt 8,27; Mc 4,41; Lc 8,25), spiriti im­mondi (Mc 1,27), o cose (Lc 17,6).

A Dio, nome comune di ogni religione, Gesù sostituirà il Padre, specifico della fede cristiana.

All’obbedienza a Dio, Gesù contrapporrà l’assomiglianza al Padre, all’osservanza della Legge la pratica dell’amore.

Mentre il Dio della religione discrimina tra credenti e miscredenti, giusti e peccatori, praticanti e non osservanti, il Padre, amante di tutti gli uomini indipendentemente dal loro credo religioso e dalla loro condotta morale, comunica vita a tutti, compresi “gli ingrati e i malvagi” (Lc 6,35).

Se in nome di Dio si può uccidere, in nome del Padre si può soltanto donare la propria vita per gli altri. Nessuna forma di violenza, né fisica, né morale o psicologica è possibile esercitare in nome del Padre amante della vita.

Mentre il culto a Dio sottraeva beni e forze all’uomo, l’unico culto che il Padre chiede è l’accoglienza del suo amore e il suo prolungamento agli altri (Gv 4,21-23). Mentre l’antico culto era una diminuzione dell’uomo di fronte la grandezza di Dio, il nuovo potenzia l’uomo e l’innalza sempre più verso il Padre.


* scheda su

AUTORITA’ E POTERE

Dai due diversi concetti della divinità, quella del Padre della fede e quella del Dio della religione, nascono l’autorità e il potere.

Autorità

Laddove Dio viene concepito come il Padre, che potenzia l’uomo comunicandogli la propria vita fino a che l’uomo abbia la stessa condizione divina, un Padre che mette se stesso a servizio degli uomini, nasce l’autorità, servizio basato sulla competenza.

Il dono naturale che ogni individuo ha, quando viene messo a servizio degli altri viene, potenziato e sviluppato dallo Spirito (carisma, 1 Cor 12,4). Nel vangelo di Marco si trova l’espressione “Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più” (Mc 4,24). Il Padre regala vita a chi produce vita, conducendolo di volta in volta verso una possibilità sempre più grande di dono di sé. Il servizio conduce a maturazione gli individui e tende a far diminuire la disuguaglianza.

Le caratteristiche dell’autorità sono quella di

- non imporre i propri valori, ma di proporli;

- non dirigere la vita altrui, ma di mettersi a servizio degli altri;

- non prendere decisioni per gli altri, ma aiutarli a maturare.

Infine, non esiste una sola autorità nella comunità, ma tutti sono chiamati a esercitare autorità, un particolare servizio alla comunità.

Potere

Laddove Dio viene concepito lontano dagli uomini, insensibile ai loro bisogni e sofferenze, pronto a minacciare, castigare e incutere paura, nasce il potere, sistema che tende a mantenere o ad aumentare la disuguaglianza tra chi comanda e chi obbedisce.

Il potere è un dominio sulle persone basato sulla

- paura, sull’uso della violenza e la minaccia del castigo. Paura che rende l’uomo vile e timoroso.

ambizione:promettendo una ricompensa a chi si sottomette, sfruttando desideri di ricchezza e di successo. Ambizione che rende l’uomo spregevole.

credulità: inculcando un’ideologia che esalta il potere e presenta l’obbedienza e la sottomissione come un bene desiderabile, rendendo l’uomo infantile.



Martedì, 04 gennaio 2005