La parola ci interpella- incontri
Quando la coscienza è addormentata...

Dal convegno di Cefalù – 15/18 novembre 2007


Rielaborazione di Giuseppe Castellese

La terza giornata di p. Alberto Maggi: Ero forestiero e non m’avete accolto…(Mt.25,43)


Premessa

La sensazione sempre meglio percepita è che il p. Alberto Maggi con i suoi studi biblici non sta rendendo soltanto un prezioso servizio al Vangelo ed alla chiesa, poiché attraverso la rilettura di situazioni socio-economiche e poi psicologico-culturali ci consente una migliore conoscenza dell’uomo e della sua evoluzione. Le considerazioni che stiamo per ripercorrere sullo “status” dello straniero ai tempi di Gesù, ci aiutano a spiegare l’oggi, ci riportano ai tempi che stiamo vivendo come “socìetas cristiana” e “cìvitas occidentale” nella nuova avventura profetica dell’annuncio del Regno di Dio ai nuovi “gentili”. E dunque gustiamo il processo squisitamente sociologico ma anche terminologico con cui ci si guida a meglio identificare la variegata realtà che, comunque, resta tipicamente umana. Tuttavia ciò di cui resto particolarmente grato al p. Alberto è che tramite la sua parola mi è stato dato, sia pure al limitare dei giorni, di “ri-conoscere” il volto del Signore Gesù che poi è il volto del Padre: questo volto, pulito dalle incrostazioni della religione, non solo appare “splendore della verità” che consente a noi “risorti”, di spaziare e vedere oltre, ma torna “credibile” proposta per vivere, qui ed oggi, la speranza della “sinfonia” (sinfonia è il tema ricorrente nella eucaristia di questa giornata conclusiva) che ci vede protagonisti dell’avvento del Regno di Dio.

Lo straniero come nemico

Lo straniero prima di ogni cosa è il nemico: per i romani, in latino, egli era “hostis” (da cui ostìle), perciò il nemico.

Presso i greci, invece, prevaleva la variabile del linguaggio; gli stranieri erano, per una qualche allitterazione di balbuzie, “barbari”, quelli che parlano una lingua diversa, incomprensibile, insomma una balbuzie. Dunque gli stranieri sono tali perché incomprensibili, appunto balbuzienti: non parlano la nostra lingua.

Ma la costante emergente è che “stranieri” rimangono tutti coloro che per qualsiasi motivo non sono come noi, non sono “normali”, sono dei “diversi”. Essi, per qualche motivo, non rispondono ai requisiti di qualità che consideriamo “standard”. Così anche le diversità generazionali (i giovani che vestono, parlano, si atteggiano in maniera incomprensibile, anzi inaccettabile) e poi soprattutto la “religione” che non è la nostra, configurano lo “straniero”.

Per gli ebrei, popolo eletto, il criterio di gran lunga “discriminante” era la legge: la legge di Mosè, fatta passare come legge di Dio, suggeriva che ammazzare il migliore dei pagani equivaleva a uccidere il più schifoso dei serpenti; quello non era un omicidio ma, semmai, “malicidio”, uccisione del male! E così il buon ebreo quotidianamente si ricordava di ringraziare Dio per non averlo fatto nascere donna, non cafone e, soprattutto, non straniero. Aborrivano i puri ebrei persino di essere sepolti con gli stranieri: per la loro sepoltura, i sacerdoti si erano peritati, ad esempio, di acquistare, con il prezzo del tradimento di Giuda, un campo ad hoc.

Gli stranieri, per tutti, sono quanti si presentano “diversi”; non è un problema solo di oggi, ma un bagaglio vergognoso che, assenziente la chiesa, ci portiamo dietro quasi come ineludibile componente genetica.

Ma il Regno di Dio predilige lo straniero: i tre magi

Con Gesù è la rivoluzione copernicana! Nei vangeli lo straniero diventa colui che porta “ricchezza”. Sembra questo un messaggio particolarmente dedicato ad oggi. Ma la chiesa primitiva, di fronte alla radicalità del messaggio di Gesù ha avuto “paura” (non soltanto adesso!) ed ha cercato in tutti i modi di censurarlo.

La censura, per essere precisi, si evidenzia nell’episodio dei magi.

Il fatto sconvolgente è che coloro che per primi percepiscono e annunciano che è nato “il re d’Israele” sono degli stranieri e stranieri della peggiore risma: sono dei ciarlatani, degli imbroglioni, dei truffatori, quelli che venivano chiamati “maghi!

La magia, poi, era un’arte condannata dalla Bibbia, condanna ripresa dalla chiesa fin dal primo suo documento catechetico: la Didachè. Ciò malgrado, resta vero che la opzione dell’evangelista (scelta teologica e non mera cronaca di fatti) di presentare la categoria dei maghi come “prescelti” ad annunciare la nascita del messia, sta a indicare la precisa volontà della “rottura” tra il vecchio e nuovo. La prudenza della chiesa, come al solito, non sa cogliere “integrale” il messaggio dell’evangelista e, per “sopire” (e poi troncare), corre ai ripari: i maghi si edulcorano in “magi”. Inoltre, li si rende ancor più digeribili vestendoli di nobiltà: non si tratta dei soliti “maghi truffaldini” che fanno storcere la bocca ai buongustai dalla “perenne puzza sotto il naso”! si tratta di re, anzi, i “santi tre re magi” che in base ai doni portati (oro incenso e mirra) e per equità distributiva, diventano… uno nero, uno bianco, uno meticcio.

Dunque, al tempo di Erode, a Gerusalemme giunsero dall’oriente i tre magi e costoro, per la “tranquillità” di Erode, re usurpatore, andavano chiedendo dove fosse nato il re dei giudei di cui avevano visto la stella in oriente: venivano a rendergli omaggio. Da questo momento Gesù sarà chiamato dai pagani il re dei giudei. Pilato lo riconosce come tale.

In oriente abbiamo visto la stella

“Abbiamo visto la sua stella”: nella antichità ogni uomo aveva la sua stella che splendeva al momento della sua nascita, lo accompagnava per tutta l’esistenza e si spegneva al momento della sua morte. Anche oggi, in ricordo di tale tradizione, usiamo dire “è nato sotto una buona stella”.

Ma qui la stella fa riferimento ad una profezia: questa annunciava… “una stella sorge in Giacobbe, uno scettro si leva in Israele”, prefigurazione prima del regno di Davide e poi dell’avvento del messia.

L’annuncio è che “è venuto colui che ha lo scettro”, ma non si tratterà dello scettro del comando. Gesù non nasce in una regia!

E dunque arrivano questi stranieri a Gerusalemme che, in una atmosfera rarefatta, danno l’annuncio: a pochi chilometri di distanza, è nato il re.

Ed ecco… il re Erode si spaventò! Normale: era un re illegittimo, uno che, ossessionato dalla paura di perdere il trono, non si limita ad uccidere 10 familiari possibili contendenti ma, morente, ordina la morte dell’ultimo figlio. Perciò presso i romani, invalse la dizione: meglio essere un porco che figlio di Erode. E ciò perché il porco si salvava (Erode in quanto ebreo, non mangiava il maiale) i figli, no.

Lo spavento di Erode è di Gerusalemme

Alla “notizia” si spaventa Erode, ma con lui tutta Gerusalemme si spaventa! È avvenuto qualcosa che terremota la gente e questo perché come Erode era illegittimo, anche nel tempio non abitava più la legittimità, ma al posto di dio vi dominava ormai il mammona, l’interesse. I sacerdoti per interesse si erano prostituiti. E dunque Erode e la città hanno paura per quello che stanno per perdere.

È allora un vorticoso susseguirsi di iniziative: Erode convoca i sommi sacerdoti e gli scribi, si informa, vuole sapere “dove” doveva nascere il messia. Ecco, adesso egli ha capito che, non tanto del re si tratta, ma peggio… del messia, del liberatore. Come Mosè aveva liberato il popolo dalla schiavitù egiziana, il messia avrebbe dovuto effettuare la nuova liberazione.

Erode riunisce il Sinedrio: tutti qui sanno tutto… ma non capiscono niente. Sono informati di tutto, conoscono la scrittura ma non ne comprendono più il significato. Perciò quelli del Sinedrio, alla domanda di Erode poterono rispondere soltanto… “in Betlemme… perché così è scritto nel libro del profeta”.

Quella casta sacerdotale, pregava o faceva pregare per l’avvento del messia, in realtà ne temevano l’arrivo: era convinzione popolare che il messia avrebbe fatto piazza pulita di “questi sacerdoti corrotti e compromessi col potere”. Ecco perché questi sacerdoti collaborano volentieri con colui che sanno può mettere fine all’arrivo del messia. Ma resta vero che quello che non riuscirà al re Erode, riuscirà ai sommi sacerdoti! Un sommo sacerdote è più pericoloso del re Erode.

Il Messia : un capo che pascerà il mio popolo

Matteo cita due profeti con rielaborazione: Michea aveva detto: e tu Betlemme tra le città di giuda non sei davvero la minima, poiché da te uscirà un dominatore. Samuele aveva corretto Michea e l’evangelista completa l’opera nel collage che così recita “un capo che pascerà il mio popolo Israele”. Dunque colui che nascerà a Betlemme non sarà il dominatore, ma sarà un pastore, non uno che domina ma uno che serve. Gesù sarà re, ma non un re che si fa servire, ma un re che si mette a servizio. Gesù si farà servo perché quelli che vengono considerati servi, si sentano anch’essi signori.

La stoltezza di Erode e di Gerusalemme

Allora Erode, chiamati di nascosto i maghi si fece dire da loro esattamente il tempo in cui era apparsa la stella. Erode non vede la stella; Gerusalemme non vede la stella. La stella segno divino non è percepibile nella città santa. Nella città più santa del mondo (Gerusalemme), dove c’è la sede del tempio di dio, dove c’è il sommo sacerdote, i sacerdoti, le liturgie straordinarie, le luci illuminano la notte... lì, non brilla la luce di dio. Per scorgere la luce di dio, bisogna uscire da Gerusalemme.

Gerusalemme fin dall’inizio di questo vangelo, viene presentata in una luce sinistra: la stella dei maghi e Gesù resuscitato non apparirà a Gerusalemme. A Gerusalemme non è possibile scorgere alcun segno di vita perché l’istituzione religiosa è sotto la cappa della morte, delle tenebre. Gerusalemme l’evangelista la denuncerà come la città assassina che da sempre ha ucciso tutti gli inviati e i profeti del Signore.

La menzogna che è in Erode

Erode dice ai magi: andate e quando avete trovato il bambino fatemelo sapere … perché anch’io venga a rendergli omaggio.

L’evangelista sta facendo l’ennesima denuncia: il potere, coloro che detengono il potere (politico o religioso che sia) non è che dicono bugie, ma sono essi stessi “menzogna”. Costoro quando parlano, dicono quello che hanno nel profondo del cuore. Nel cap. 8 di Giovanni c’è una denuncia tremenda di Gesù per i capi religiosi: li chiama figli del diavolo (che è il bugiardo e padre della menzogna).

Guardate i politici… non dicono mai quello che pensano e quando per caso sfugge loro qualcosa…. bene, sono pronti a ritrattare o meglio diranno…beh, sono stato frainteso.

Coloro che detengono il potere in tutti i campi sono condannati a non dire la verità: e quando dovranno dirla, la diranno sempre a metà bocca. San Bernardino da Siena… l’aveva sperimentato, perciò per ben 3 volte proclamato vescovo dal popolo, rifiutò dicendo che a lui piaceva parlare “chiarozzo, chiarozzo”. Se avesse accettato la carica, avrebbe dovuto parlare a mezza bocca. È così: chi entra nelle sfere del potere entra in un ingranaggio, in un meccanismo, un vortice di menzogna che lo attanaglia a tal punto che diventa egli stesso la menzogna.

Fuori Gerusalemme, ritrovano la stella

I magi, dunque, udito il re, partirono ed ecco la stella li precedeva. Ancora una volta non si tratta di cronaca ma di una visione teologica: la stella che va davanti a loro e si ferma sulla casa, è simbolo del pastore che guida il suo gregge; è immagine di Dio di Gesù che guida anche i popoli pagani.

E infine la nota psicologica: vista la stella, i pastori si rallegrarono! questo lo fanno in maniera esagerata… essi si rallegrarono di una gioia grande fortemente!

I maghi, entrati nella casa videro il bambino con Maria, poi entrati nella casa, gli resero omaggio e aperti i loro tesori, gli offrirono oro incenso e mirra.

L’oro simbolo della regalità

Il primo dei doni è l’oro. L’oro era il simbolo della regalità. Allora offrendo oro i magi riconoscono che Gesù non è soltanto re dei giudei ma anche dei pagani. Attraverso l’offerta dell’oro l’evangelista fa comprendere che è cominciato in Gesù non il regno di Israele ma il regno di Dio nel preciso significato che non c’è nessuna persona che possa sentirsi esclusa dall’amore di Dio.

L’incenso offerto da un popolo sacerdotale

A Gerusalemme l’offerta dell’incenso era azione esclusiva dei sacerdoti nel tempio. Ma poi tutto il popolo di Israele riteneva di essere il popolo sacerdotale. Non solo un popolo di re ma un popolo di sacerdoti: un popolo che aveva con dio l’accesso diretto, senza mediazioni. I maghi offrendo l’incenso a Gesù fanno comprendere che popolo sacerdotale sono anche i pagani.

In Concilio era venuto fuori questa formula del popolo come popolo sacerdotale, ma il concetto è rimasto equivoco proprio perché noi confondiamo i sacerdoti con i preti: non arriviamo a capire fino in fondo che un popolo sacerdotale non ha bisogno di mediatori o di sacerdoti. Peraltro “sacerdote” è voce laica e pagana che non ha niente a che vedere con i preti. (presbiteri): coloro che la comunità primitiva sceglieva per un servizio al suo interno.

Mirra: il profumo della sposa

La mirra la troviamo nell’antico testamento soprattutto nel “Cantico dei cantici”: è il profumo della sposa. Ma è dal profeta Osea in poi che il rapporto di dio con il suo popolo diventa quello di uno sposo con la sposa. E questo perché ad Osea… era capitata la tragica esperienza matrimoniale… che l’aveva portato alla decisione di lapidare la moglie: e ne avrebbe avuto i motivi dato che come cammella in calore, quella scappava continuamente di casa. Dalla tragica esperienza matrimoniale, Osea comprende che l’amore di dio per il suo popolo è quello di uno sposo con una sposa anche se infedele, anche se adultera.

Israele si riteneva popolo sposo di dio. Ebbene questa caratteristica, con l’offerta della mirra, non è più esclusiva di Israele perché nei tre magi viene accomunata tutta l’umanità.

Avvertiti in sogno fecero ritorno per un’altra strada

I re magi, avvertiti in sogno fecero ritorno per un’altra strada. In Matteo (che era uno scriba) predomina ancora una volta la visione teologica: la frase sta a indicare che ormai viene abbandonato il vecchio santuario: Gerusalemme non è più il santuario di dio, non più la casa di dio, ma la casa del peccato. E dio dov’è? Dio è in Gesù che l’evangelista ora dice “il dio con noi”. Ecco: è cambiata la prospettiva dell’umanità: non c’è più bisogno che l’uomo vada verso dio perché è dio che va verso gli uomini; non c’è più bisogno di cercare dio, perché è dio che cerca gli uomini. E allora cosa dobbiamo fare? Basta accoglierlo e con lui e come lui andare verso gli altri.



Giovedì, 31 gennaio 2008